Poesia africana.Algeria.
Nell'Africa bianca,quella arabo-berbera ,è senza alcun dubbio l'Algeria il paese con il percorso più doloroso e drammatico verso la decolonizzazione e l'indipendenza raggiunte soltanto nel 1972.
Questa poesia di
Kateb Yacine (1929-1989) è la metafora di un saluto al mondo e all’uomo, il
tentativo di conciliare l’individuale con l’universale, attraverso la poesia.
Yacine è uno scrittore, poeta e drammaturgo algerino che scrisse in francese
fino al 1970 ,quando decise di scrivere in arabo considerata la sua lingua
di "combattimento". I suoi grandi amori sono stati la rivoluzione e
la poesia.
Appassionato sostenitore della causa del popolo,soleva scrivere le sue opere teatrali in arabo dialettale,comprensibile da parte di tutti,rifiutando così esplicitamente l'uso della lingua classica,artificiosa ,limitata alle élites culturali.La lingua però che gli permise di raggiungere un pubblico vasto fu il francese,e in quella lingua scrisse la maggior parte delle sue opere.
Formatosi nella lingua del colonizzatore,considerava il francese "bottino di guerra"degli Algerini. Del resto è noto il fenomeno raccontato nei suoi saggi da Frantz Fanon,il medico della Martinica, membro del FLN[1]algerino negli anni della lotta per l'indipendenza di quel paese,per cui quegli stessi algerini che erano sembrati così incapaci di apprendere il francese,lo impararono alla velocità del fulmine ,quando fu deciso che per la buona riuscita della lotta era fondamentale comunicare attraverso il Sahel con le radio in una lingua comune e che la lingua unificante non poteva essere che il francese.La lingua del colonizzatore possiede la facoltà magica della comunicazione diffusa che è oggettivamente negata alle troppo numerose forme dialettali dell'arabo e delle lingue locali .
Inoltre,anche se nella sua famiglia non si parlava più berbero,cercò di studiarlo e si dedicò alla traduzione in quella lingua di alcune sue opere.La sua produzione riflette la ricerca di identità di un
paese multiculturale e le aspirazioni del suo popolo.La sua posizione politica fu sicuramente improntata al marxismo.L'atteggiamento decisamente laico gli alienò la simpatia e il sostegno dei gruppi religiosi del suo paese.
La poesia qui proposta è ispirata a un evidente pessimismo,sia rispetto alle speranze dell'autore che alle opportunità future del lettore.Le espressioni "orizzonti di piombo" e "sogni matti antichi" nei suoi versi sono particolarmente emblematiche del suo sentirsi in un vicolo cieco.
Appassionato sostenitore della causa del popolo,soleva scrivere le sue opere teatrali in arabo dialettale,comprensibile da parte di tutti,rifiutando così esplicitamente l'uso della lingua classica,artificiosa ,limitata alle élites culturali.La lingua però che gli permise di raggiungere un pubblico vasto fu il francese,e in quella lingua scrisse la maggior parte delle sue opere.
Formatosi nella lingua del colonizzatore,considerava il francese "bottino di guerra"degli Algerini. Del resto è noto il fenomeno raccontato nei suoi saggi da Frantz Fanon,il medico della Martinica, membro del FLN[1]algerino negli anni della lotta per l'indipendenza di quel paese,per cui quegli stessi algerini che erano sembrati così incapaci di apprendere il francese,lo impararono alla velocità del fulmine ,quando fu deciso che per la buona riuscita della lotta era fondamentale comunicare attraverso il Sahel con le radio in una lingua comune e che la lingua unificante non poteva essere che il francese.La lingua del colonizzatore possiede la facoltà magica della comunicazione diffusa che è oggettivamente negata alle troppo numerose forme dialettali dell'arabo e delle lingue locali .
Inoltre,anche se nella sua famiglia non si parlava più berbero,cercò di studiarlo e si dedicò alla traduzione in quella lingua di alcune sue opere.La sua produzione riflette la ricerca di identità di un
paese multiculturale e le aspirazioni del suo popolo.La sua posizione politica fu sicuramente improntata al marxismo.L'atteggiamento decisamente laico gli alienò la simpatia e il sostegno dei gruppi religiosi del suo paese.
La poesia qui proposta è ispirata a un evidente pessimismo,sia rispetto alle speranze dell'autore che alle opportunità future del lettore.Le espressioni "orizzonti di piombo" e "sogni matti antichi" nei suoi versi sono particolarmente emblematiche del suo sentirsi in un vicolo cieco.
Kateb Yacine
salve
salute a te vita
mia
e a te mia disperazione
–
eccomi di nuovo
al nulla
che deride la mia
tristezza.
e tu vecchia
testa matta mia –
ti ho riportato
un pezzo di cuore.
salve, salve a
voi tutti –
salve mie antiche
ombre –
ritorno a voi
come solitario
malvisto soldato
e so quali canti
contorti
risuoneranno
stanotte –
c’è la fessura
dove riposò la
mia orgogliosa fronte
in folate di
vento
nelle lagrime di
Dicembre –
sono io, la mia
vita,
raccolta in
polvere.
salve a tutte le
mie cose –
ho seguito
l’uccello dei tropici
sulle meraviglie
del cielo
ed eccomi
insanguinato
e ferito
con un sogghigno
nel cuore.
salve orizzonti
di piombo
miei matti sogni
antichi –
la speranza
fiorisce di là
nel mio giardino
distrutto –
ridicolo tormento
apro il mio becco
per cadere con un
battito d’ali in spine.
salve inutili mie
poesie.
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.....E questa di Youcef Sebti è ugualmente rappresentativa sia dell'influenza culturale,non solo linguistica,del paese colonizzatore,sia della complessa storia sociale del paese.
Se
il corpo fa accendere il desiderio e cantare l’estasi,la sua gestualità è anche
una forma di comunicazione molto immediata,espressiva. Ed è sorprendente
ritrovare stilemi straordinariamente simmetrici in regioni diverse del mondo per dire
l'indifferenza subentrata all'amore o addirittura la violenza che tout court lo sostituisce.
Gestualità lapidarie,
diversamente misogine.
Quella alienata di cui si
serve Prévert per rappresentare, con
pochi tratti incisivi ,l'interno urbano parigino, dove si consuma il dramma
della solitudine della donna di fronte a un compagno che l'indifferenza ha
trasformato in un automa, in un manichino dalle sembianze umane.
Quella estrema che si produce nell'interno algerino, dove
Youcef Sebti[1] ripercorre l'anafora martellante di Prévert per
denunciare in modo inequivocabile la violenza demente della notte nuziale
brutale. L'effetto è di produrre sbalordita indignazione nel lettore, anche per
l'eco dei versi prévertiani, che accresce la sua reazione rabbiosa, quando deve
constatare che in Europa come in Africa, sia pure con moneta molto diversa, a
pagare, nelle difficoltà della coppia, è sempre e comunque la donna.
Bersaglio colpito...per il talento dei due poeti.
Nella tazza
Ha messo il latte
Nella tazza di caffè
Ha messo lo zucchero
Nel caffelatte
Col cucchiaino
Ha girato
Ha bevuto il caffelatte
Ha riposato la tazza
Senza parlarmi
Ha acceso
Una sigaretta
Ha fatto i cerchi
Col fumo
Ha messo la cenere
Nel portacenere
Senza parlarmi
Senza guardarmi
Si è alzato
Si è messo il cappello in testa
Ha messo
L'impermeabile
Perché pioveva
Ed è partito
Sotto la pioggia
Senza una parola
Io mi son presa
La testa tra le mani
E ho pianto».
NOTTE DI NOZZE [3]
Ha messo la chiave
Nella serratura
Ha bussato con violenza
Ha spinto la porta
Con violenza
È entrato
Ha camminato
Ha sollevato il velo
Mi ha rialzato la testa
Mi ha ghignato sul naso
Mi ha spogliata
Si è spogliato
Non mi ha detto niente
Ha rotto uno specchio
Ha fatto tutto
Ha fatto tutto alla svelta
È uscito
Aveva bevuto
Ed io
Ho preso
Le lenzuola fra i denti
E sono svenuta.
[1]Youcef Sebti,poeta algerino
francofono,impegnato nella promozione della letteratura d’espressione araba,giornalista e chimico,nasce
a Dijelli,El Milia,nel 1943, e muore a El Arrach nel 1993, una delle numerose vittime
delle agitazioni politiche del suo paese in quegli anni .
[2] Jacques Prévert,Prima
colazione,da: “Paroles “,Op.Cit. Trad di M.G.Bruni.
[3]Yousef Sebti,Notte di nozze,da:”Anthologie
de la nouvelle poésie algerienne“ Ed. Saint Germain.1986.A cura di J. Sénac
Trad .di M. G. Bruni.
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