sabato 31 gennaio 2015

Una scia di canti.Tagore.XXXII








.Quando arrivò il momento

in cui dovevamo salutarci,

come una nuvola che

solennemente scenda,

ebbi solo il tempo di legarti

il polso con una cordicella rossa,

mentre le mie mani tremavano.

Ora, mentre sbocciano i fiori di mahua

siedo da solo nell’erba

e mi vibra dentro una domanda:

«Hai ancora la mia cordicella rossa?»

- da Dono d’amore -


venerdì 30 gennaio 2015

Una scia di canti Tagore.XXXI






Mi sono fermato sul bordo della strada. 
Se la mia presenza non t’è dolce,

non andrò più avanti.

Se non hai bisogno del mio amore

lascia che ti abbandoni qui.

Non mendicherò più uno solo

dei tuoi sguardi,

se i miei ti importunano.

La polvere e la luce cruda

del mezzogiorno m’accecano ma,

lungo la strada, aspetterò

che il tuo cuore, forse,
torni a cercare il mio.
                              - da Petali sulle ceneri -






giovedì 29 gennaio 2015

Una scia di canti.Tagore.XXX











Abitava sul fianco del monte, vicino

a un campo di grano

dove scorre la sorgente in

gioiosi ruscelli,

sotto l’ombra solenne d’alberi secolari.

Le donne vi andavano a riempire

le brocche e i viandanti vi andavano

per riposare e conversare.

Lei lavorava e sognava ogni giorno,

al mormorio del torrente chiassoso.

Una sera uno straniero scese

dall’alto del monte,

nascosto tra le nuvole;

i suoi capelli erano arruffati

come serpenti sonnolenti.

Domandammo meravigliati: “Chi sei?”

Ma non rispose e sedette in disparte,

presso il torrente rumoroso,

guardando in silenzio

la capanna dove lei viveva.

I nostri cuori si riempirono di spavento

e tornammo pensierosi a casa

al calare della notte.

La mattina dopo, quando le donne

andarono ad attingere acqua

al ruscello all’ombra degli alberi

di deodar, trovarono aperta

la porta della capanna, ma la sua voce

non si sentiva.

Dov’era il suo volto sorridente?

La brocca vuota era in terra

e la lampada consumata era spenta,

in un angolo.

Nessuno sapeva dov’era fuggita,

prima dell’alba; anche lo straniero

era sparito.

In maggio il sole divenne cocente

e la neve si sciolse.

Ci sedemmo vicino al ruscello,

e piangemmo. Pensavamo:

“Vi sarà nella terra dove lei è andata

un ruscello, dove potrà riempire

la brocca per dissetarsi in queste

giornate riarse?”

E ci chiedevamo l’un l’altro sgomenti:

.“Vi sarà una terra al di là di questi

monti dove viviamo?”

Era una notte d’estate, la brezza

soffiava da sud; io sedevo

nella sua stanza deserta, dove

la lampada era ancora spenta.

A un tratto i monti sparirono, come

tende tirate da parte.

“Ah, ecco che lei viene! Come stai,

figlia mia? Sei felice?

Dove puoi trovare riparo sotto

questo cielo scoperto?

Ahimé, il nostro ruscello non è qui

per dissetarti!”

“Qui c’è lo stesso cielo.” Lei rispose:

“Soltanto è libero dai monti

che gli fanno corona.

Qui c’è lo stesso ruscello, allargato

in un grande fiume.

Qui c’è la stessa terra, ingrandita

in pianura”.

Sospirai: “C’è già tutto da te, ma noi

non ci siamo”.

Lei sorrise tristemente e rispose:

“Voi siete qui nel mio cuore!”

Mi destai e udii solo il mormorio

del ruscello, il fruscio dei deodars,*

nella notte.
*deodar,sorta di cedro himalayano,vive soprattutto nello Stato del Kashmir ,relativamente  al territorio della Confederazione indiana.

- da   Il Giardiniere -











mercoledì 28 gennaio 2015

Una scia di canti.Tagore.XXIX









Questa notte t’ho offerto

il vino spumeggiante

della mia giovinezza,

in giardino.

Hai alzato il bicchiere

fino alla bocca,

hai chiuso gli occhi e

hai sorriso,

mentre io ti liberavo del velo,

ti scioglievo le trecce, tenendo

sul mio petto

il tuo viso dolce e silenzioso.

                                                                                                                 Questa notte, quando

il sogno della luna

inondava il mondo notturno!

Oggi, all’alba calma

e rugiadosa,

tu t’avvii vestita di bianco

verso il tempio,

con l’offerta dei fiori

tra le mani.

Io me ne sto in disparte, all’ombra d’un albero,

il capo chino,

sulla strada

solitaria di quel tempio.

- da Dono d’amore -

martedì 27 gennaio 2015

una scia di canti.Tagore.XXVIII





Camminavi lungo la riva

del fiume con la brocca piena, appoggiata sul fianco.

Perché a un tratto girasti

il capo e mi guardasti

attraverso il velo svolazzante? Quello sguardo splendente

nel buio mi colpì come la brezza, che dà un fremito all’acqua increspandola

e corre via, verso la riva

piena d’ombra. Giunse fino a me come l’uccello della sera, che vola attraverso la stanza senza lampada, da un balcone all’altro, e poi scompare

nella notte buia.

Tu ti nascondi come una stella dietro i monti e io sono un viandante nella strada. Ma perché ti fermasti un momento e mi guardasti in viso,

attraverso il tuo velo, mentre camminavi lungo la riva del fiume con la brocca piena

posata sul fianco?

- da Il Giardiniere -

lunedì 26 gennaio 2015

Una scia di canti.Tagore.XXVII










Vaghe parole m’assillano,

ma lascerò il silenzio e la notte

esprimersi lentamente in musica.

Oggi la mia vita è come un eremo,

dove la primavera esita ad agitarsi

e a mormorare.

Non è l’ora per te, Amore mio,

di superare l’ostacolo della mia porta.

Alla sola paura di sentire il tintinnare

dei tuoi braccialetti,

si svegliano echi in giardino.

Le rose, per profumare, devono ancora

aver pazienza;

non dare alle corolle chiuse l’inquietudine

di aprirsi prima del tempo.

- da Petali sulle ceneri -






















domenica 25 gennaio 2015

Una scia di canti.Tagore.XXVI










.Non chiesi nulla,

solo mi fermai al limite

del bosco, dietro un albero.

Gli occhi dell’alba

erano languidi,

e la rugiada era ancora nell’aria.

Il delicato profumo

dell’erba bagnata

indugiava nella nebbia

sottile che avvolgeva

la terra. Sotto un banano

mungevi la mucca

con le tue mani tenere,

fresche come il burro.

Io me ne stavo immobile.

Non dissi una parola.

Fu l’uccello che cantò,

nascosto, dal cespuglio.

L’albero di mango

lasciava cadere i suoi fiori

sulla strada del villaggio

e le api venivano ronzando,

a una a una.

Dalla parte dello stagno

il cancello del tempio

di Shiva era aperto

e un fedele aveva iniziato

il suo canto.

Con il secchio

sulle ginocchia

tu mungevi la mucca.

Io rimasi con il mio secchio vuoto.

Non ti venni vicino.

Il cielo si destò al suono

del gong del tempio.

Gli zoccoli delle bestie

che andavano al pascolo

sollevavano la polvere

della strada.

Con le brocche piene

posate sull’anca,

le donne venivano dal fiume.

I tuoi bracciali

tintinnavano e la schiuma

traboccava dal secchio.

La mattina passò e io

non ti venni vicino.

- da  Il Giardiniere -