martedì 30 aprile 2013

Curiosando nel Continente Nero.Congo(4)













Poesia africana. Congo(4)
  

      Queste le suggestive atmosfere  dei canti orali sotto il baobab o nella steppa o lungo le rive dell’isola esotica, che mutano radicalmente se passiamo alla lettura dei poeti della diaspora o comunque a quelli che si esprimono in una lingua non africana o perfino  a quelli che si esprimono, ma per iscritto, nelle lingue dell’Africa -continua con  metodo l’ imperturbabile  curatore.
     -  Ma  ascoltiamolo, con l’aiuto dei nostri giovani attori, il canto dell’erranza , direttamente da Alain  Mabanckou[1], che viene dal  Congo, ispirato, ancora una volta, da un’esperienza vissuta  sulla propria pelle:
 
Alain Mabanckou

[...]


Un villaggio[2]

Sotto il cielo cinerino
la somma delle semine devastate
dall’ingratitudine perenne delle piogge

un ammasso di pietre
La terra svuotata  nel profondo
e rivoltata secondo le stagioni

i venti sollevano le spazzature
in un vortice

Restano tuttavia i ricordi
su quei pezzi di legno
a metà consumati

Restano la cenere
che cova il fuoco della reminiscenza
E quelle figure in piedi
ombre fra le ombre

Quelle figure che sfilano,ombre fra le ombre
Quelle voci notturne  nei  cespugli
Quei branchi di cervi
che bramiscono lungo il fiume
Quegli scheletri di passeri
che si aggrappano disperatamente
sui fili spinati
Tutte quelle figure
ombre dopo ombre

Ecco la patria tutta nuda


[… ]


...ed è particolarmente interessante  constatare  come, in circa un decennio , la nostalgia struggente ed amara dell’Errante si sia nutrita dell’esperienza e si sia fatta consapevole dell’arricchimento :

[…]

Vendo all’altro secolo[3]

gli errori del mio destino sinuoso
rivendico il doppio volto
della mia identità esplosa col tempo

lacero qui ed ora
l’atto di nascita delle frontiere
per battezzare il nuovo spazio da conquistare

Vergognati di rintanarmi
in quel pezzettino di terra
e di darmi il tam-tam da percuotere
prendi dunque la tua Negritudine vuota
portala come viatico
soprattutto non dimenticare la tua zagaglia
e ancor meno la tua stuoia
ti aspettiamo qui
vestito di pelle di leopardo

non ho per agganci
che la somma delle intersezioni
gli echi di Babele

ecco il mio cippo nel cuore di un nuovo territorio
l’adozione mi  lega con radici sepolte
nel  più profondo di quell’essere da costruire giorno per giorno

tienti la tua autenticità  vuota  di senso
presta la tua voce al  Maestro
e vendi il mio territorio
per una modica somma
è quel che ci si aspetta da te
prendo all’uccello
l’incertezza del prossimo cespuglio
non so che tempo  sarà
dall’altra parte della migrazione
ma il mondo si apre davanti a me
ricco di incroci
che il volo mi porti
mi porti ancora lontano dal clamore
lontano dal cortile
lontano dai galli addestrati per il combattimento
non cambiare nome
ramificazione
restare uomo fino in fondo
finché gli alberi si radicheranno
nella terra
     […]
  


[1] Alain Mabancku nasce a Brazzaville,Congo, nel 1966. Insegna attualmente all’università di California,Los Angeles.
Oltre ai romanzi, sue le raccolte di poesia:”La Légende de l’Errance”-L’Harmattan.Paris( 1995);”Les arbres aussi versent des larmes”,l’Harmattan.Paris(1997); “Quand le coq annoncera l’aube d’un autre jour”,l’Harmattan.Paris(1999);raccolte tutte,con l’aggiunta di “Le livre de Borìs,” nell’antologia intitolata ,come una nuova sezione della raccolta,” Tant que les arbres s’enracineront dans la terre”Antologia edita prima da: Memoires d’encrier.Canada(2004)-e, successivamente, da:L’Harmattan.Paris(2007).Laureato del Prix des Cinq Continents de la Francophonie,del Prix Ouest-France/Etonnants Voyageurs, nonché del premio RFO del libro  e del Prix Renaudot per i suoi romanzi.
[2] Frammento da:”Présages” in: «  La Légende de l’errance »nella raccolta :’Tant que les arbres s’enracineront dans la terre’ .Op. Cit. Trad. dal franc. di M. G. Bruni.
[3] Frammento da :”Tant que les arbres s’enracineront dans la terre’’  , op.cit. Trad. dal franc. di M. G. Bruni
















Curiosando nel Continente Nero.Madagascar(3)





  Poesia africana. Madagascar(3)










“Semi  di parole,seminati nel campo della storia e di cui noi raccogliamo i frutti”[1] –continua lo studioso-
       “ Un testo,trasmesso oralmente dalla viva  voce dell’uomo, si costituisce, proprio in quell’istante,  in un  unicum incomparabile. A questa unicità si deve la grande vitalità delle tradizioni orali, anche se apparentemente fragili.
       Articolare la parola equivale a quel che fa il vivente di fronte al caos dell’universo. Impone un ordine,per merito della sua vocalità, dello spessore corporeo da cui promana;” [2] il linguaggio insomma cerca di orientare: in questo senso, qualcuno arriva ad affermare che “la pratica della parola è, fondamentalmente, poesia.[…] La parola pronunciata si afferma  sul silenzio, ne è tratta, vi ritorna, dopo essersi rivelata in mezzo a noi e averci rivelato l’ordine ultimo delle cose”.[3]
        Esiste, nella tradizione malgascia, un genere letterario, l’hain teny, che da tempo ha suscitato l’interesse affascinato degli stranieri. I missionari si erano dapprima affrettati a censurarlo, indignati nello scoprirvi  la presenza costante di una sessualità tranquilla. Poi Paul Paulhan,[4]durante il suo soggiorno malgascio all’inizio del Novecento, divenne capace di improvvisarne e di raccogliere e tradurre una selezione di quelli popolari autoctoni.
       Lo stesso nome crea  problemi: potrebbe essere tradotto con ”scienza e potere delle parole ”. In realtà esso  appartiene a quella forma elementare, universale, forse fondamentale, della poesia che è il “canto alternato”:poesia che si sviluppa attraverso parallelismi, opposizioni, rovesciamenti di due voci che si affrontano; è improvvisato da due rivali durante una gara poetica. Sono poesie d’amore  o, più precisamente, di disputa amorosa: rappresentano le avances del desiderio, i disincanti, gli inganni, le rotture.
        Li hanno  riportati alla ribalta nel 1968 la scoperta e la pubblicazione di preziosi manoscritti risalenti  al XIX secolo e,soprattutto,nel 1983, la tesi universitaria della stessa ricercatrice Bakoly Domenichini Ramiaramanana[5], che vent’anni prima li aveva scoperti.
       E qui lo studioso cita il canto della pelle del giovane principe che la giovinetta dell’hain  teny malgascio evoca con fremiti di desiderio per il suo indimenticabile profumo :


Hain teny[6]


Parlare a colui –che –riceve –belle -acclamazioni,
Il giovane Principe,all’est di Namehana.
Se lo chiamo,temo che la gente non senta,
Se mi alzo,temo che non mi veda.
Aspetto:ditegli il mio rimpianto.
La pelle di colui che amo è profumata. 

Parlate a Chi -riceve –le- lodi ,
Quel giovane principe,all’est di Namehana .
Se lo chiamo la gente,mi  sentirà,
Se mi alzo,mi vedrà.
Non mi muovo:ditegli il mio desiderio.
La pelle dell’amato ha un buon odore


       .E prova a interrompere in modo goffamente scherzoso:” ...E se, come per Baudelaire ,la capacità  di incantarsi delle donne risiedesse soprattutto nel naso?”
                                          

        Ed ecco che un’ultima volta lo schermo bianco si rianima, riempiendosi dei caratteri che, ordinati in file coese, come pazienti colonne di laboriose formiche, compongono, e  offrono alle persone convenute nell’ampio salone, il documento che conclude la sezione dell’antologia  dedicata al canto orale tradizionale che rappresenta la vera identità del continente africano.

     Della versione malgascia di questo hain teny , raccolta dall’antropologa Bakoly Domenichini –Ramiaramanana,è molto interessante confrontare differenti trasposizioni in francese,poi tradotte in italiano, oltre  alla molto puntuale interpretazione stratificata, che, infine, la stessa archeologa del linguaggio ci ha lasciato:



La pioggia in Ankaratra

l’orchidea fiorisce ad Anjafy

E’ duro dimenticare all’improvviso,

è facile dimenticare poco a poco.

Piange la-ragazza-dell’uccello-azzurro

Ride,Colui-che- non-teme-il-ritorno.

Ritorno di morte,non torni

ma ritorno d’amore,ritorni.

Jean Paulhan,Les hain-tenys,éd.Gallimard

 



Tuona

tuona nei monti d’Ankaratra.

E fioriscono,

fioriscono gli aranceti d’Anjafy.

Piange,

piange la ragazza- dell’uccello- azzurro,

e schernisce

schernisce Colui- che –non – teme -il castigo-in- ritorno.

Se castigo di morte,

che vi sia rinvio,

se castigo d’amore,

che sia applicato.

Flavien Ranaivo , Hain teny,

éd.Publications Orientalistes de France.







Quanto brontola  il temporale  sul Monte- degli- Immortali[1]

Nel Paese -dei- Fanciulli  fiorisce l’orchidea

scoppiano i pianti della Giovane – Tortorella

scoppiano  le risa di Chi- non –teme- la- ritorsione



Non esista per il lutto nessuna giusta ritorsione

Ma sia per l’amore la giustizia accordata.

Bakoly Domenichini –Ramiaramanana

 Colloque sur la traduction poétique,

éd.Gallimard      







        -Si scopre così la stratificazione di significati  -  l’anziano studioso si avvia con quest'analisi a concludere questa prima parte del suo intervento ,dedicata alla presentazione di esempi di poesia africana orale - che mette in luce l’interpretazione dell’ archeologa del linguaggio.
        Il tuono sul Monte – degli - Immortali evoca le montagne che sbarrano l’orizzonte a sud di Tananarive e che la bruma ricopre spesso di un velo bluastro.
          Ma quello geografico è anche un  paesaggio mitologico: quel monte è la dimora degli Spiriti, degli dei e dei principi leggendari.
           E ancora: emerge il riferimento a un rito della vita tradizionale: la rinuncia, celebrata alla vigilia del nuovo anno, quando un’ultima volta si piangono i morti dell’anno ,di cui il tuono solitario sulla montagna, si crede, fa  echeggiare un ultimo appello. Quel momento del cambiamento dell’anno è anche il momento in cui gli sposi separati si possono ritrovare per un ultimo ritorno d’amore.
       Si può infine individuare un’allusione d’ordine storico-politico. Il Monte raffigura metonimicamente le popolazioni che abitano le sue falde; il Paese -dei -Fanciulli  la minoranza dissidente. 
           La poesia ricorda così un momento essenziale della storia malgascia, mostrando la funzione di memoria collettiva dell’hain teny.
         Queste le suggestive atmosfere  dei canti orali sotto il baobab o nella steppa o lungo le rive dell’isola esotica, che mutano radicalmente se passiamo alla lettura dei poeti della diaspora o comunque a quelli che si esprimono in una lingua non africana o perfino  a quelli che si esprimono, ma per iscritto, nelle lingue dell’Africa -continua con  metodo l’ imperturbabile  curatore.


[1] La versione malgascia di questo Hain teny è quella raccolta e stabilita da Bakoly Domenichini –Ramiaramanana sul prezioso manoscritto dell’epoca di Ranavalona I (1828-1861),da lei stessa scoperto nel 1968.L’analisi  sulla stratificazione di significati segue lo studio della stessa ricercatrice “Les traductions poétiques des hain teny “ in “Colloque sur la traduction poétique ”,Gallimard,1978.Trad. dal fr. di M.G. Bruni. 


[1] Ibidem.
[2] Paul Zumthor: da “Graines de paroles». Ecrits pour Geneviève Calame-Griaule’.  Op. Cit. Trad .di M. G. Bruni.
[3] Ibidem.
[4] Scrittore e critico francese del ‘900 che ha esercitato grande influenza sulla letteratura attraverso la celebre rivista NRF(Nouvelle Revue Française).
[5] Autrice della gigantesca ricerca  “Du ohabolana au hainteny ”,Langue ,Littérature et Politique à Madagascar »Ed.Karthala,Paris,1983. 
Ohabolana può avvicinarsi al proverbio mentre l’hain teny è piuttosto una poesia popolare.
[6]Hain teny dall’opera a cura di Bakoly Domenichini Ramiaramanana,autrice della gigantesca ricerca  “Du ohabolana au hainteny ”Langue,Littérature et Politique à Madagascar “,éd.Karthala,Paris 1983.Tesi universitaria che si avvale della scoperta dei preziosi manoscritti ottocenteschi,fatta dalla stessa studiosa nel 1968.
L’Ohabolana può avvicinarsi al proverbio ,mentre l’hain teny è piuttosto una poesia popolare. Trad. di M.G. Bruni.



















lunedì 29 aprile 2013

Curiosando nel Continente Nero.Tuareg (2)

Poesia africana orale.Tuareg (2)


                                                        Il Territorio dei Tuareg.



            Altro atteggiamento quello dell’uomo del deserto, del Tuareg nomade, che soffre la sua condizione solitaria. “La vita sociale, fatta essenzialmente di parole, si oppone al silenzio che lo racchiude. Forse anche per questo i Tuareg  tengono in gran conto la poesia. Permette infatti di uscire dal silenzio di un universo senza interlocutori, dove è consentita soltanto una vita sociale con interlocutori immaginari.
           L’autore di poesia si propone come colui che procede  nel silenzio della steppa, senza nessuno con cui parlare , inquieto,verso una donna amata da cui non sa se riceverà favori oppure che va errando  e geme sull’amara solitudine, in cui lo condanna la perfida crudeltà di lei.
         Raggiungere l’amata, quando  gli è concesso, è per lui la consolazione, il premio che cancella ogni sofferenza.  Le si rivolge allora con:”...privato della tua presenza mi metteva in una tristezza che mi uccideva”». Risentire il morso della passione è, nella lingua poetica, avere l’anima che brucia, essere roso da una sete crudele. I favori accordati dall’amata  - che si tratti dell’amplesso o di un dolce incontro  nella penombra di una tenda -sono il  modo di rinfrescare l’anima, il rimedio alla sete.” [1]
            Il  deserto fa nascere seti  reali e figurate. Talvolta le due seti si confondono e allora si vede il poeta supplicare   che lo si irrori d’acqua, e che gli si dia da bere per placare i suoi tormenti.
Sullo schermo scorre la traduzione di questo nuovo frammento:


la sua pelle riluce come un campo su un rilievo che domina la pianura[2]

e al di sopra del quale la nuvola  gonfia si è rovesciata, in una pioggia regolare

e  monotona, in mezzo ai lampi e mentre l’acqua scorre  in mille rivoli al suolo,

abbeverando la terra  e lavandola …”



       - Ecco allora  il poeta dipanare dolorosi dibattiti interiori, dove i pensieri inquieti che agita e che lo agitano, diventano parole di interlocutori immaginari personificati  come l’Amore, il Tormento.
         L’atteggiamento del curatore resta quello distaccato del contemplativo che non si lascia coinvolgere dalla realtà quotidiana. Ma l’attenzione del pubblico e il silenzio assoluto rendono l’attesa palpabile.
       -Il Desiderio si presenta sempre come un Demone che gli mormora parole che turbano i sensi, vantando il fascino di una Bella inaccessibile  o ricordandogli perfidamente come Lei gli fu favorevole ,un tempo. Amore,Tormento, Desiderio possono prendere consistenza fino a impadronirsi delle redini della sua montura!
        E  il pubblico partecipe si volge  e segue curioso lo scorrere della traduzione dei testi sullo schermo:



“… spingo la mia montura ed eccola come se  non fossi più io  ,ma un diavolo imperioso che la conduceva[3]

altrettanto presto che lo farebbe una puledra dalla rapida corsa.

Mi dice:” Parliamo un po’ di un certo accampamento

tra Sebia e Aselkam?”

“Dà un colpo di speroni e dice:’Spingi il tuo cammello,

che questo giorno non passi senza che tu abbia gustato la dolcezza di una pelle

 azzurrata d’ indaco e quella di un sorriso, più bello di una stoffa di pregio;

il suo collo porta una collana d’argento e un pettorale cesellato, parures[4] che egli merita;

quando tu alzi  gli occhi, vedi la sua guancia e il sopracciglio accordarsi,

che un angelo sembra aver disegnato con un bastoncino di fard affilato.



o anche:

  

L’Amore e il Desiderio mi tirano con  una cavezza; dicono: [5]

”Peste a quest’uomo che non ha più intelligenza!

Afferra la tua cavalcatura, inforcala mentre tutti riposano,

esci da questo deserto dove regna un fetido odore.

 Ti  condurremo verso una gota  sulla quale si consoleranno le tue pene”.



-Da questi versi, dall’intensità quasi visionaria, facilmente si può scivolare- per slittamenti successivi  impercettibili-  fino al tema della follia. Insomma una poesia tuareg non è che ‘la canzone del Malamato’[6]:


Sono colui che ti ama,l’amore che ho per te[7]

È forte come un tempo ed oggi mi toglie la ragione,

 E mentre la mia anima si lacera,egli mi tormenta e mi consuma;

Non posso restare tranquillo e vado qua e là  senza sapere dove sono;

Tutte le notti vado senza scopo,incapace di  trovare la mia strada,

Seguendo le stelle  che si scorgono nella Via Lattea sull’orizzonte

Così facevo ancora l’ultima notte,all’ora in cui  la stella del pastore rende tremulo il suo splendore …”



      


[1] Ibidem.
[2]. Da “Graines de paroles». Ecrits pour Geneviève Calame-Griaule Ed. du CNRS.1989. Trad. dal franc. di M. G. Bruni.
[3] Da “Graines de paroles». Ecrits pour Geneviève Calame-Griaule ”,  Op. Cit . Trad. di M . G. Bruni.
[4] Ornamenti preziosi.
[5] Da:” Graines de paroles” Ecrits  pour Geneviève Calame-Griaule. Op. Cit . Trad. di M. G. Bruni
[6] Celebre poesia - lamento di Guillaume Apollinaire,poeta francese amico dei pittori cubisti che presentava ai Salons .
[7] Da:”Graines de paroles”.Op. Cit. Trad. di  M. G. Bruni.



                                                      (continua)