sabato 20 aprile 2013

Nazim Hikmet.Poesie.Turchia.(34)

  Il bacio di Nazim

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Comunicare è forse l’arte più difficile in cui l’essere umano si sia mai cimentato.
Raccontare la propria vita in versi, condensare la nostalgia, il dolore, l’amore, la solitudine, la gioia, e tutta la variegata trama dei sentimenti umani in poche righe: l’arte della poesia è ancora più difficile, tanto più nella contemporaneità di un mondo che scorre veloce, sempre più in fretta verso mete ignote, in cui fermarsi a prestare attenzione alle piccole cose, o immergersi negli abissi interiori equivale a smarrire l’ancora, perdendo la certezza di poter riemergere.
La poesia è “un modo di concepire”, scrive Nazim Hikmet in una lettera a Joyce Lussu, amica e traduttrice dei suoi versi. Come dire, la poesia è uno stile di vita, un’attitudine che risiede non già nell’oggetto della poesia, ma negli occhi e nella mente di chi guarda, e scrive quello che vede. Esiste “un altro modo” di “concepire la poesia”: la scoperta della poesia, così come viene raccontata da Hikmet, sembra quasi una improvvisa rivelazione, l’illuminazione divina di un’anima che tutt’a un tratto diventa ispirata, che repentinamente, come una folgore illumina l’oscurità, riesce a cogliere tutto insieme il senso profondo di una verità che prima le era ignota, e “da allora, non può non scrivere  poesie”.

 
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1937

Alle porte di Madrid

Non ascoltare le voci delle sfere dell'aldilà,
né intrecciare nella trama delle righe,
"poesie ermetiche"
né cercare
con pazienza di orafo
rime graziose
e fini espressioni,
stasera, grazie al cielo, io sto più su
di tutto ciò.
Stasera io
sono un cantastorie di strada.
La mia voce è semplice, senza artifici,
e tu
non puoi udire la mia canzone...
È notte.
Nevica.
Tu sei alle porte di Madrid.
Davanti a te hai l'armata dei nemici,
che è venuta per uccidere
tutto ciò che c'è di più bello:
la libertà,
il sogno,
la speranza
e i ragazzi.
E nevica.
E forse,
i tuoi piedi nudi gelano.
Nevica...
Ed ecco,
in quest'istante
che io penso a te con tutto il mio cuore,
forse
una pallottola spezzerà la tua vita
e per te non ci sarà più
neve
né vento
né notte
né giorno...
E nevica.
So
che anche prima di gridare
"No pasaran"
e di montare la guardia
alle porte di Madrid,
tu esistevi!
Chi eri,
di dove sei venuto?
Forse
dalle miniere delle Asturie?
Forse
una benda insanguinata sulla tua fronte
ha coperto
una ferita che ti sei presa al Nord?
Forse
sei tu quello che per ultimo
sparò nella notte che gli junker
bombardavano Bilbao?
O servivi come bracciante
nelle tenute di un qualche
conte Pernando Valesquero di Cortolon?
O avevi una botteguccia
alla Porta del Sole
e vendevi le frutta dai colori spagnoli?
Forse, non avevi alcun talento,
o forse avevi una bella voce?
O eri uno studente,
un futuro giurista,
e i tuoi libri
sotto i cingoli d'un carro armato italiano
son rimasti
nella città universitaria?
Forse non credevi in Dio,
e forse invece portavi una piccola croce di rame
a un cordino di seta?
Chi sei,
come ti chiami,
quanti anni hai?
Non ho visto la tua faccia,
e non la vedrò.
Forse
essa ricorda le facce di quelli
che batterono le bande di Kolciak in Siberia?
O, in qualche tratto,
tu ricordi coloro
che sono caduti
a Domlupinar?
O somigli a Robespierre?
Non hai udito il mio nome,
e non l'udrai.
Tra noi due, fratello,
ci sono i mari e i monti,
e le mie maledette catene,
e le prescrizioni
del comitato di non intervento...
Non posso venire da te,
non posso mandarti di qui
né una cassa di cartucce
né uova
né un paio di calze di lana...
So
che in questo gelo
i tuoi piedi nudi,
là, alle porte di Madrid,
come due bimbi
gelano al vento...
E so
che tutto ciò che in questo mondo
c'è di grande
e di bello,
tutto ciò che sarà fatto dagli uomini,
tutta la Verità futura
e la Grandezza,
che io aspetto con tanta ansia nel cuore,
tutto questo riluce nei tuoi occhi,
sentinella mia,
stanotte
alle porte di Madrid...
E so
che oggi non posso,
come non potei ieri
e non potrò domani,
fare nient'altro
che pensare a te
e amarti.
"Addormentarsi adesso
svegliarsi tra cento anni, amor mio..."
"No,
non sono un disertore.
Del resto, il mio secolo non mi fa paura
il mio secolo pieno di miserie e di scandali
il mio secolo coraggioso grande ed eroico.
Non ho mai rimpianto d'esser venuto al mondo troppo presto
sono del ventesimo secolo e ne son fiero.
Mi basta esser là dove sono, tra i nostri,
e battermi per un mondo nuovo..."
"Tra cento anni, amor mio..."
"No,
prima e malgrado tutto.
Il mio secolo che muore e rinasce
il mio secolo
i cui ultimi giorni saranno belli
la mia terribile notte lacerata dai gridi dell'alba
il mio secolo splenderà di sole, amor mio
come i tuoi occhi..."



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(continua)



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1 commento:

  1. In vista della prossima offerta di una serie di poesie ungheresi, ho pubblicato ,in questo stesso blog in data 16/marzo 2013,la ricetta di un dolce tradizionale ungherese a loro dedicata:la palacsinta.

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