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I.ITALIA
3.Giacomo Leopardi
nasce il 29 giugno 1798 a Recanati da famiglia
ecclesiastica,
formazione da autodidatta. Passa 7 anni nella biblioteca del padre, durante i quali fa uno studio matto e disperato che infierisce sulle sue condizioni di salute provocandogli scoliosi e problemi alla vista. a. L’infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
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e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani 5 silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce 10 vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare. 15 |
Il pensiero di Giacomo Leopardi
La siepe.Dopo
l'avversativa, infatti, il testo si mette a raccontare
una esperienza unica ed
eccezionale vissuta nel momento stesso
in cui viene raccontata.
L'idea stessa che sia una siepe a
suscitare
l'immaginazione di spazi
infiniti e lo faccia proprio perché impedisce
la vista, è di per sé
sorprendente. Ci aspetteremmo che a farlo
fossero piuttosto gli spazi aperti dai quali sarebbe possibile
spingere
lo sguardo a grande distanza.
L'infinito è immaginazione. Per Leopardi l'infinito è
connesso con
l'immaginazione. Nel luglio del 1820 (quindi dopo la composizione
di questo idillio) scrive sullo Zibaldone che a volte
«l'anima»
desidera «una veduta ristretta […] perché allora in luogo della
vista lavora
l'immaginazione, e il fantastico sottentra al reale."
L'anima può allora
immaginarsi quello che non vede, tutto quel
che quell'albero, quella
siepe, quella torre gli nasconde, e va errando
in uno spazio immaginario, e si figura cose
che non potrebbe, se la
sua vista s'estendesse completamente,senza
barriere, perché il reale
escluderebbe l'immaginario. [Lo Zibaldone,
1820].
Un processo interiore.Ebbene,l'Infinito racconta appunto un processo
interiore: di come gradualmente, partendo dalle concrete
esperienze
sensoriali, il soggetto giunga a immaginare
ciò che non ha limiti di
spazio e di tempo, fino a
uscire da se stesso e a sprofondare
(«naufragar») in quella
sensazione assoluta. Potremmo anche dire
che esso racconta una esperienza di perdita
della coscienza, di
annullamento di sé.
Il ritmo "sensoriale" del discorso.Anche se l'intelaiatura di pensiero
è del tutto razionale, il racconto non si
struttura su nessi logici. A
farlo procedere è la
registrazione dei diversi stimoli sensoriali
che,
in maniera casuale, colpiscono la sensibilità
del soggetto. La «siepe»,
oggetto immobile che
chiude,fa barriera,fa nascere per contrasto il
pensiero degli spazi infiniti. Un pensiero, o
immaginazione, che
s’incorpora in una
percezione del tutto mentale di assoluto silenzio.
Come sopraffatto da questa
scoperta, l'io avverte una sensazione di
sconforto e di paura: «ove per poco / il cor non si spaura».
Il silenzio e il rumore: due sensazioni di infinito.Nella prima parte,
dunque, il silenzio,
inteso più come idea che come evento fisico, è
una componente dell'infinito spaziale. Ma ecco che
il rumore del
vento tra le fronde,
stimolo acustico inatteso, mette in moto un
processo interiore dal
quale affiora l'intuizione di un diverso infinito,
quello temporale. Il
rumore del vento è il rumore della vita, riporta
al presente, ma nello
stesso tempo, imponendo quasi il confronto
fra l'evento contingente e
il sovrumano silenzio appena immaginato
negli spazi infiniti,
suscita un altro paragone, quello tra l'ora, il
momento presente, e il
passato, o meglio i passati,
anche quelli
dilatabili all'infinito, fino a confondersi
con l'eternità.
Perdita dell'identità .Catturato da queste due sensazioni di infinito,
il soggetto perde la sua
identità, e la perdita consiste, letteralmente,
nel venir meno delle coordinate
spazio-temporali: «naufraga» nell’
«immensità», sprofonda. Ma
questa volta non avverte paura e si
abbandona totalmente a una sorta di «dolce»
regressione prenatale.
Annullamento di sé come felicità.La felicità,così rara per un teorico
del piacere mancato come Leopardi, viene a coincidere con
l'annullamento di
sé.
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