mercoledì 20 maggio 2020

I.ITALIA.3.Leopardi.a.L'infinito.




f
I.ITALIA

3.Giacomo Leopardi

nasce il 29 giugno 1798 a Recanati da famiglia ecclesiastica, 
formazione da autodidatta. Passa 7 anni nella biblioteca del padre,
 durante i quali fa uno studio matto e disperato che infierisce sulle
sue condizioni di salute provocandogli scoliosi e problemi alla vista.

a. L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,            1
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani            5
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce                10
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.        15



Il pensiero di Giacomo Leopardi

La siepe.Dopo l'avversativa, infatti, il testo si mette a raccontare
una esperienza unica ed eccezionale vissuta nel momento stesso
in cui viene raccontata. L'idea stessa che sia una siepe a suscitare
l'immaginazione di spazi infiniti e lo faccia proprio perché impedisce
la vista, è di per sé sorprendente. Ci aspetteremmo che a farlo
fossero  piuttosto gli spazi aperti dai quali sarebbe possibile spingere
lo sguardo  a grande distanza.
L'infinito è immaginazione. Per Leopardi  l'infinito è connesso con
l'immaginazione. Nel luglio del 1820 (quindi dopo la composizione
di questo idillio) scrive sullo Zibaldone che a volte «l'anima»
desidera «una veduta ristretta […] perché allora in luogo della
vista lavora l'immaginazione, e il fantastico sottentra al reale."
L'anima può allora immaginarsi quello che non vede, tutto quel
che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando
in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la
sua vista s'estendesse completamente,senza barriere, perché il reale
escluderebbe l'immaginario. [Lo Zibaldone, 1820].
Un processo interiore.Ebbene,l'Infinito racconta appunto  un processo
interiore: di come gradualmente, partendo dalle concrete esperienze
sensoriali, il soggetto giunga a immaginare ciò che non ha limiti di
spazio e di tempo, fino a uscire da se stesso e a sprofondare
(«naufragar») in quella sensazione assoluta. Potremmo anche dire
che esso racconta una esperienza di perdita della coscienza, di
annullamento di sé. 
Il ritmo "sensoriale" del discorso.Anche se l'intelaiatura di pensiero
è del tutto razionale, il racconto non si struttura su nessi logici. A
farlo procedere è la registrazione dei diversi stimoli sensoriali che,
in maniera casuale, colpiscono la sensibilità del soggetto. La «siepe»,
oggetto immobile che chiude,fa barriera,fa nascere per contrasto il
pensiero degli spazi infiniti. Un pensiero, o immaginazione, che
s’incorpora in una percezione del tutto mentale di assoluto silenzio.
Come sopraffatto da questa scoperta, l'io avverte una sensazione di
sconforto e di paura: «ove per poco / il cor non si spaura». 
Il silenzio e il rumore: due sensazioni di infinito.Nella prima parte,
dunque, il silenzio, inteso più come idea che come evento fisico, è
una componente dell'infinito spaziale. Ma ecco che il rumore del
vento tra le fronde, stimolo acustico inatteso, mette in moto un
processo interiore dal quale affiora l'intuizione di un diverso infinito,
quello temporale. Il rumore del vento è il rumore della vita, riporta
al presente, ma nello stesso tempo, imponendo quasi il confronto
fra l'evento contingente e il sovrumano silenzio appena immaginato
negli spazi infiniti, suscita un altro paragone, quello tra l'ora, il
momento presente, e il passato, o meglio i passati, anche quelli
dilatabili all'infinito, fino a confondersi con l'eternità. 
Perdita dell'identità .Catturato da queste due sensazioni di infinito,
il soggetto perde la sua identità, e la perdita consiste, letteralmente,
nel venir meno delle coordinate spazio-temporali: «naufraga» nell’
«immensità», sprofonda. Ma questa volta non avverte paura e si
abbandona totalmente a una sorta di «dolce» regressione prenatale.
Annullamento di sé come felicità.La felicità,così rara per un teorico
del piacere mancato come Leopardi, viene a coincidere con
l'annullamento di sé.  





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