lunedì 18 maggio 2020

I.ITALIA .2.Sandro Penna. e Sole con luna, mare con foreste,





I.ITALIA

2.Sandro Penna1906-1977)

Nato a Perugia. visse soprattuto a Roma, svolgendo vari mestieri, 
quali il ragioniere, il traduttore, il mercante d'arte. Nel 1938 iniziò
 la sua attività di scrittore con il volume Poesie. Poeta di grande rilievo,
 autore di  versi scritti con particolare ricchezza di linguaggio, pervasi
 di ironia, in un'atmofera di sogno, ha pubblicato anche  Una strana 
gioia di vivere, Croce e delizia, oltre al libro di racconti Un po' di febbre.

e. Sole con luna, mare con foreste,
 
tutt’insieme baciare in una bocca.
Ma il ragazzo non sa. Corre a una porta
di triste luce. E la sua bocca è morta.



Nota di CESARE GARBOLI
La poesia di Sandro Penna è fatta del ricordo di cose
presenti,nasce dalla vicinanza e dalla lontananza,dal 
dilatarsi e accorciarsi gommoso di sensazioni che 
appartengono a un presente che è sempre già passato 
e a un passato fulmineo e istantaneo come il presente.
Così la pendolarità di felicità e frustrazione trova un
correlativo immediato nella fatalità meteorologica,e
nel rapporto tòpico (che è una specie di spago col 
quale Penna cuce moltissime delle sue poesie) interno
/esterno, ambiente chiuso e plein air. Mentre tutto il 
sistema penniano ruota intorno a una solarità che fa 
pensare a uno stupore da primitivo («sole» è parola
-tema di Penna, le estensioni meteorologicamente 
metonimiche dell’oscurità (sera, notte,luna, stelle,
pioggia, nubi) si fanno carico dell’interiorità con cui
la vita si ritira nell’ombra dopo le «solari gesta» e le
 «solari prodezze» del giorno,e rinuncia a se stessa
per il bisogno non meno vitale di ricontemplarsi e di
ricordarsi.Penna si è fatto interprete non della novità
del linguaggio poetico italiano del Novecento,ma – 
che non è meno importante – del suo destino di
putrefazione. Ci sono poeti di tale forza innovatrice
da cambiare quasi di colpo i codici costituiti; e ci sono 
poeti inamovibili dall’antichità, così fedeli alla 
tradizione da scenderne giù come le pecore dai tratturi
Penna è poeta di questa razza; poeta di registro linguistico
piccolo-borghese,dannunziano e pascoliano,inesplicabile
in un secolo che ha fatto del linguaggio uno strumento
 non di lode,ma di concorrenza col mondo. Uno dei motivi 
che hanno tenuto Penna lontano dai centri di maggior
traffico della cultura italiana negli ultimi cinquant'anni,
è stata la sua disappartenenza al moderno, la sua natura, 
in contrasto con la sua psicologia,di epigono, di poeta sopravvissuto. Il fatto è che le radici di Penna si
perdono poi così lontano da elevare la potenza del suo
italiano qualunque e da trasformare lo scintillio moribondo
in un valore storico, in una contraddizione occulta e
predestinata come una malattia. La poesia di Penna 
presuppone il grande serbatoio pascoliano – «ascolto 
i miei pensieri / piegarsi sotto il vento occidentale» – 
e nasce dall’oscuro nesso vita-sogno, da perdite di 
memoria e pronti rimedi dannunziani di stile panico
(«Nel cuore è quasi un urlo /di gioia.E tutto è calmo»).
Ma Penna non fa mai ricordare i modelli. Penna trascrive
direttamente dal vissuto,riducendo a pochi suoni 
inimitabili una tastiera letteraria fatta di combinazioni 
miracolose di grazia visiva,pennello impressionista,
traduzione «greca»,stile narrativo,canzonetta sentimentale. Ricchissimo il movimento emotivo,in pendolo tra la 
meraviglia di vivere e il confuso dolore da piede gonfio;
e mobilissima la variabilità,la temperatura,l’intonazione,
sempre in equilibrio fra lo stupore onirico,la battuta
gnomica,il tono fatale,il sottinteso ironico, e soprattutto 
il decreto di legge esistenziale da idolo impenetrabile col
volto pieno di rughe. Penna è poeta molto chic; col passare
degli anni, ha poi sostituito a linee musicali di una certa evanescenza una franchezza ritmica che si esalta  nella
 precisione di segno degli «appunti»,nella semplicità 
oracolare, per così dire, del distico e della quartina.

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