martedì 15 settembre 2020

XXXII.CINA 74.Yang Lian.a.Sogno o la terza riva di ogni fiume






XXXII. CINA

74.Yang Lian

 nasce nel 1955 a Berna, Svizzera,
 da genitori, funzionari cinesi statali
dell’ambasciata svizzera.
Torna a Pechino dove pratica
una costante dissidenza tanto da
essere sottoposto alla rieducazione
 col lavoro manuale.Fuggito dalla Cina
nell’ ’83, in seguito al suo sostegno
al movimento dell’’89,
gli viene tolta la cittadinanza.
Attualmente vive a Londra e insegna in Svizzera.

Yang Lian possiede una sua profonda coerenza stilistica,
considera la “tradizione come eterno presente” e la poesia
come spazio costruito con la lingua[1]. Una poesia i cui
temi ricorrenti sono la lacerazione della materia, la sfilacciatura
del tempo destinato a sopravvivere senza memoria e la storia
sincronica, per cui passato e presente si confondono o non
esistono . Poesia difficile,  perché unica e al tempo stesso
universale.
Yang Lian sente da una parte il peso della sua lingua
permeata di cultura millenaria e la mette in dubbio,
dall’altra riconosce le potenzialità creative del cinese
che permette di sospendere il tempo convenzionale
e di creare spazi attraverso il coinvolgimento del lettore.
 L’esilio è, dunque, strettamente collegato alle sue riflessioni
sulla lingua: da poeta della Cina, è diventato poeta
in lingua cinese e infine un poeta che scrive–potremmo
dire- in Yang-cinese- inglese, un poeta cioè che inventa
una lingua personale per ogni poesia che scrive. Si può
superare la condizione dell’esule lontano dal proprio paese[2],
ma l’esilio dalla lingua – ha detto- è un processo costante.
I poeti Menglong avevano voluto reinventare una lingua
per esprimere il nuovo pensiero, ma a metà degli anni ‘80
quella lingua era già un ammasso di macerie e anche Yang
Lian pensa che i potenti ideogrammi siano diventati
ormai “giocattoli per menzogne”, ma crede che una lingua
in rovina possa rigenerarsi. Sa che ogni lingua è pericolosa,
cioè incerta, inaffidabile, soprattutto quella cinese[3] - pena
il silenzio e che non basta più l’Io del poeta a ricrearla.
È necessario qualcosa di meno semplice.
Dopo gli anni ‘90, cominciano ad apparire nelle sue poesie
spazi bianchi; sono vuoti che esprimono lo scarto, la discontinuità,
come se la poesia dubitasse della capacità comunicativa della
lingua e si generasse proprio nel vuoto delle parole, “negli
interstizi dove la lingua inciampa tra significante e significato”[4]
La raccolta di quegli anni “Dove si ferma il mare”[5] contiene
poesie scritte durante il suo girovagare da esule, ed è strutturata
come in cinque cerchi concentrici che corrispondono alle cinque
parti in cui l’opera è divisa, pur essendo un lavoro unitario che
parte dalle tenebre iniziali per giu\ngere alla luce finale.
Come Bei Dao, anche lui pensa che il poeta debba essere freddo,
abbandonare un’emotività visionaria per giungere ad un intreccio
coerente, quello che Yang Lian  chiama spazio poetico, una forte
strutturazione spaziale per tenere insieme - e svelare- la mutevolezza
della vita e il senso di spaesamento dell’esilio, originato anche dai ritmi
angosciosi degli spostamenti  tra luoghi lontanissimi l’uno dall’altro[6]. 
Secondo Yang Lian, " Il poeta deve cercare il luogo dove fermare
il mare, perché lì nascerà la poesia. Questo luogo lo troverà
nell’ultimo verso dell’ultima parte del suo poema:
“questa è la riva da dove mi guardo prendere il largo”
La preposizione ‘dove,’[7]presente nelle sequenze finali di tutte
le sezioni del poemetto, è uno degli echi ripetuti , uno dei tanti
dispositivi usati  per la costruzione dell’opera, strutturata come
una sinfonia musicale, che ruota tutta attorno all’idea della possibilità
che il mare venga fermato. Per fermarlo è necessario distaccarsene,
mettere da parte tutto ciò che il mare suggerisce alla nostra emozione
e dimenticare tutte le sue valenze simboliche[8].  La riva è, dunque, il
luogo, il dove,  e  rappresenta “la presa di distanza del poeta dal suo
stesso  testo”; il mare si ferma dove il poeta si assenta e si assenta
proprio grazie alla sua esistenza di esule senza radici. Questa lo ha
reso estraneo a sé stesso, ma tale straniamento[9]  ha reso possibile
la poesia come pensiero, anzi è divenuto la condizione necessaria
per la sua esistenza. Non c’è più  il poeta e non c’è più un prima
o un dopo, un tempo specifico, ma una molteplicità di sincronie.
È la poesia il vero soggetto, la voce non è quella dell’autore, ma
del suo divenire, quando si assenta dalla sua identità di autore. È
la poesia il luogo dove si incrociano molteplici situazioni al di là
del tempo.  L’assenza del poeta (essere molti, essere nessuno) è
generatrice di nuovi modi di parlare e solo questa impersonalità
di linguaggio può rendere la poesia universale.

a.Sogno  o  la terza riva di ogni fiume[10]

il verde è il più crudele dei pugnali
ma un sogno è abbarbicato come un crimine ai campi di ieri
abbarbicati alle sedie di legno di ogni albero di pino
i morti cominciano la scuola
 colui  che sogna    deve
seguendo una primavera scorrere in questo fiume
seguendo il fiume    battere la terza riva fra bianche ossa
questo bianco amore né esistente né illusorio
eppure costringe al rischio la rosa quotidiana
ti fa tornare al passato in mezzo ad un incendio
una musica eseguita fin dall'infanzia è sempre più spaventosa all'ascolto
ferita tenuta fresca dell'oscurità    come la stanza della notte
anche una mano premuta sul cuore ha un'eco
sempre più vuota    assediata dal fondo del fiume
solo in sogno riconosce    la malasorte che i poeti non riescono a evitare
è la tua stessa malasorte
l'intera vita è una notte ad occhi sbarrati
la terra che vedi in sogno sprofonda incessantemente sotto i tuoi piedi
quando affonda nella carne    è profonda come la caduta nel
vizio    sulla terza riva nessuno che dorma o si svegli

Per trovare se stesso il poeta deve, dunque,
estraniarsi dalla lingua, liberarsi dallo spazio e dal
tempo (e nella lingua cinese sappiamo che è possibile),
e  realizzare la poesia in un mondo atemporale.
L’atemporalità dei versi di Yang Lian si riaggancia alla
grande tradizione della poesia cinese, in cui è tipico
ricreare l’effetto di cancellare il tempo attraverso il
decentramento o l’assenza dell’Io (in questo caso,
in esilio ) e di tutti gli Io del mondo. D’altronde, suo
obiettivo dichiarato[11] è la riscoperta della tradizione
poetica cinese nell’uso di parallelismi, allegorie e tutto
quello che dona alla poesia un senso musicale, il solo che
può aiutarci, come lettori, a districare il significato di  quei
versi difficili che rappresentano il sovrapporsi di diversi
stati d’animo[12].  “Esplorare la tradizione ed esprimere l’oggi”
- afferma Yang Lian. La tradizione non va ignorata e collocarsi
nella tradizione, non vuol dire restaurarla. Vuol dire farla
rivivere individualmente. Ricrearla, per l’appunto.
E, dentro i confini cinesi, in che rapporto con la potente
tradizione culturale del paese si muove la ricerca della
nuova poesia? I poeti  degli anni Novanta e quelli della
nuova ondata di poesia d’inizio millennio sono autori
che cercano indipendenza artistica e spirituale nel mondo
finora sconosciuto della  nuova economia di mercato
Dopo il 1989, il legame tra creazione e coscienza sociale,
ancora presente nei Menglong, scompare.  Al boom
economico del paese si accompagna una grande offerta 
di possibilità editoriali e, nello stesso tempo, la scomparsa
dei sussidi statali spinge molti artisti a produrre letteratura
commerciale o a lavorare nella pubblicità. La modernizzazione
sollecita, dunque, la formazione di una cultura  di consumo
che rende, però, marginale l’influenza e la posizione degli
intellettuali nella nuova società cinese. Non ci sono movimenti
generazionali di artisti in rivolta, ma personalità individuali
i cui versi  esprimono l’incertezza, l’esitazione, la confusione,
il rigetto degli ideali comunisti e contemporaneamente il
disgusto per la cultura di massa. I nuovi poeti sentono la
necessità di raffinare i propri atteggiamenti teorici e
cercano un rinnovamento linguistico che superi sia l’oscurità
e il formalismo dei Menglong, sia la  lingua semplificata dei
poeti degli anni ‘80. Sperimentano, così,  una poesia caratterizzata
talvolta da segni linguistici complessi,  frammenti e da uno stile
narrativo, che ingloba e sintetizza  nuovi ambiti lessicali e inflessioni
dialettali.Oggi, il poeta cinese globalizzato non si identifica più con
la propria terra, ma neanche instaura più un rapporto di dipendenza
con la cultura occidentale. I suoi legami con il contemporaneo
sono stretti, e qualcuno di loro propone addirittura di “scrivere con
il corpo”. Eppure non mancano riferimenti inconsci e agganci alla
tradizione.


[1] Vedi conversazione con Gao, già citata.
[2] Cfr. Sabrina Merolla, Toccare il limite e superarlo, intervista a Y.L. del 24/06/2004: essere al margine non vuol dire rimanere in equilibrio tra due mondi, ma ’esilio vuol dire toccare il limite e superarlo’.
[3] Cfr. Yang Lian, Masks and crocodiles(Maschere e coccodrilli), raccolta di poesie in cinese e loro traduzione in inglese,a cura di Mable Lee, Wild Peony Press, University of Sidney, Australia, 1990.
[4] Cfr.Claudia  Pozzana, La poesia pensante.Inchieste sulla poesia cinese contemporanea, Quodlibet studio,2010.
[5] Negli anni 1992-93.
[6] E’ vissuto in USA, Australia, Nuova Zelanda.
[7]  In posizione finale secondo la costruzione della frase cinese.
[8] In cinese ‘mare delle parole’ vuol dire ‘dizionario enciclopedico’.
[9] In tutto il poema, il pronome personale ‘io’ compare raramente e solo in funzione di complemento oggetto (cfr. Pozzana, op.cit.)
[10]  Yang Lian,  Sogno  o  la terza riva del fiume”, da Prima parte di Tenebre,  Dove si ferma il mare, a cura di Claudia Pozzana, Libri Scheiwiller  - Playon. 2004
 [11] Cfr. pag 302, “internazionale locale”, 11/10/2003, trad. Anna Secher, in Dove si ferma il mare, op.cit.
[12] “quando non capisci, ascolta”


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