giovedì 24 settembre 2020

I.ITALIA 3.Giacomo Leopardi.a. L’infinito

  





I.ITALIA

3.Giacomo Leopardi

nasce il 29 giugno 1798 a Recanati da famiglia ecclesiastica,
formazione da autodidatta. Passa 7 anni nella biblioteca del
padre, durante i quali fa uno studio matto e disperato che
 infierisce  sulle sue condizioni di salute provocandogli scoliosi
 e problemi alla vista.

a. L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,            1
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani            5
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce                10
vo comparando: mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.        15





La siepe.Dopo l'avversativa, infatti, il testo si mette a raccontare
una esperienza unica ed eccezionale vissuta nel momento stesso
in cui viene raccontata. L'idea stessa che sia una siepe a suscitare
l'immaginazione di spazi infiniti e lo faccia proprio perché impedisce
la vista, è di per sé sorprendente. Ci aspetteremmo che a farlo fosseo
piuttosto gli spazi aperti dai quali sarebbe  possibile spingere lo sguardo
a grande distanza.L'infinito è immaginazione. Per Leopardi l'infinito è
connesso con l'immaginazione. Nel luglio del 1820 (quindi dopo la
composizione di questo idillio) scrive sullo Zibaldone che a volte
«l'anima» desidera «una veduta ristretta […] perché allora in luogo della
vista lavora l'immaginazione, e il fantastico sottentra al reale.".L'anima
può allora immaginarsi quello che non vede, tutto quel che quell'albero,
quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio
immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista
s'estendesse completamente,senza barriere, perché il reale
escluderebbe l'immaginario. [Lo Zibaldone, 1820]Un processo interiore.
Ebbene, l'Infinito racconta appun to  un processo interiore: di come
gradualmente, partendo dalle concrete esperienze sensoriali, il soggetto
giunga a immaginare ciò che non ha limiti di spazio e di tempo, fino a
uscire da se stesso e a sprofondare («naufragar») in quella sensazione
assoluta. Potremmo anche dire che esso racconta una esperienza di
perdita della coscienza, di annullamento di sé.Il ritmo "sensoriale"
del discorso.Anche se l'intelaiatura di pensiero è del tutto razionale,
il racconto non si struttura su nessi logici. A farlo procedere è la
registrazione dei diversi stimoli sensoriali che, in maniera casuale,
colpiscono la sensibilità del soggetto. La «siepe», oggetto immobile
che chiude,fa barriera,fa nascere per contrasto il pensiero degli spazi
infiniti. Un pensiero, o immaginazione, che s’incorpora in una
percezione del tutto mentale di assoluto silenzio. Come sopraffatto da
questa scoperta, l'io avverte una sensazione di sconforto e di paura:
«ove per poco / il cor non si spaura». 
Il silenzio e il rumore: due sensazioni di infinito.Nella prima parte, dunque,
il silenzio, inteso più come idea che come evento fisico, è una componente
dell'infinito spaziale. Ma ecco che il rumore del vento tra le fronde,
stimolo acustico inatteso, mette in moto un processo interiore dal quale 
affioral'intuizione di un diverso infinito, quello temporale. Il rumore del 
vento è il rumore della vita, riporta al presente, ma nello stesso tempo, 
imponendo quasi il confronto tra l'evento contingente e il sovrumano 
silenzio appena immaginato negli spazi infiniti, suscita un altro paragone,
quello tra l'ora,il momento presente, e il passato, o meglio i passati, anche
quelli dilatabiliall'infinito, fino a confondersi con l'eternità. 
Perdita dell'identità .Catturato da queste due sensazioni di infinito, il
soggetto perde la sua identità, e la perdita consiste, letteralmente, nel
venir meno delle coordinate spazio-temporali: «naufraga» nell'«immensità», sprofonda. Ma questa volta non avverte paura e si abbandona totalmente a
una sorta di «dolce» regressione prenatale.
Annullamento di sé come felicità. La felicità, così rara per un teorico del
piacere mancato come Leopardi, viene a coincidere con l'annullamento di sé.  

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