sabato 13 giugno 2020

I.ITALIA.14.Eugenio Montale. c.Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale …





I.ITALIA

14 . Eugenio Montale

Poeta italiano, premio Nobel
nasce nel1896  Genova.
Muore nel 1981  Milano.
 
Terminata la prima guerra mondiale Montale inizia a frequentare
i circoli culturali liguri  e torinesi. Nel 1927 si trasferisce a Firenze 
dove collabora con l'editore Bemporad. Nella capitale toscana gli
anni precedenti erano stati fondamentali per la nascita della poesia
  italiana moderna.

c.Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale …

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.
Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace – uomo che tarda
all’atto, che nessuno, poi, distrugge.
Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d’una leva che arresta
l’ordegno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.
Seguìto il solco d’un sentiero m’ebbi
l’opposto in cuore, col suo invito; e forse
m’occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.
Altri libri occorrevano
a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.
Il tuo delirio sale agli astri ormai


Nel settimo movimento di Mediterraneo, corrispondente alla lirica 
Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale, la crisi del poeta si fa 
sempre più acuta: quasi immemore della presa di coscienza  fatta 
nel quinto movimento ( Giunge a volte repente ), l'io lirico -
 abbandonati  il pendio, la resistenza e la “rancura” - ritorna
in riva al mare e con quest’ultimo si confessa faccia a faccia.
 Questo movimento apre con un rimpianto che cela un mancato  
correlativo oggetivo già incontrato precedentemente più volte: 
il ciottolo trasportato dalle correnti. Il paradigma che questo 
comporta non è più negativo, come lo era quando per i detriti 
della corrente, bensì positivo: i rimpiange il mancato abbandono 
al mare, lo stesso che fino ad ora è stato scongiurato. Non essendosi
comportato come il pietrame marino, egli è stato “uomo che tarda |
all'atto, che nessuno, poi, distrugge”,nonché un uomo che non ha 
afferrato e modellato la vita perché troppo impegnato ad osservarla
ed interrogarsi su di essa, in modo probabilmente inutile. La volitività 
dannunziana è quindi fortemente rovesciata; l'inettitudine, tematica 
cara alla letteratura novecentesca, si sta affermando. Si conserva, però,
il risultato di tanta osservazione: l'essenza del mondo, scoperta grazie all'interrogazione continua, è stata conosciuta dall'io lirico, il quale,
osservando i movimenti del mare, ne ha carpito i segreti fondanti.
Proprio come Edipo, che volle sapere e poi non volle sapere più, l'io
lirico ha ora “l'opposto in cuore”:ciò di cui necessita è uno slancio 
vitale per continuare a vivere, lo stesso che la sofferenza della
conoscenza gli ha fatto perdere. La disillusione panica raggiunge 
qui il punto massimo, ma è comunque l'illusione a prevalere:come 
un incantatore inesorabile, il mare, con il suo “canto”, culla ancora
l'io lirico, che ad esso si abbandona. La figura del mare, pertanto, 
resta sempre protagonista, insieme all'io lirico, del componimento.
È da essa che l'io lirico si distacca, ragiona, e a cui ritorna infine.

Struttura metrica:
ventiquattro versi in cui l’endecasillabo vige sovrano, giustapposto
ad un più veloce settenario, quasi unico verso corto della lirica. Il
lamento prende qui una forma più rimuginativa, sfruttando la misura 
endecasillabica che si protrae meno velocemente rispetto ai metri 
brevi che viene come rincalzato dal puntuale tessuto fonico, adornato
 particolarmente di asonanze (particolarmente quella finale) e abbellito
 con rime, soprattutto interne.Forse per Montale è opportuno precisare 
con una serie di note il lessico ,spesso prezioso e raro,e la sintassi,spesso
inconsueta nell’uso corrente ,quindi di difficile traduzione per i miei amici
lettori  sparsi negli angoli più diversi del pianeta. Avrei voluto sentirmi 
scabro ed essenziale 2.     siccome i ciottoli che tu volvi, 
3.     mangiati dalla salsedine   1-;
4.     scheggia fuori del tempo, testimone
5.     di una volontà fredda che non passa 2-.
6.     Altro fui: uomo intento che riguarda
7.     in sé, in altrui, il bollore
8.     della vita fugace  3- uomo che tarda
9.     all'atto, che nessuno, poi, distrugge 4- .
10.                       Volli cercare il male
11.                       che tarla il mondo, la piccola stortura
12.                       d'una leva che arresta
13.                       l'ordegno universale 5- ; e tutti vidi
14.                       gli eventi del minuto
15.                       come pronti a disgiungersi in un crollo 6-.
16.                       Seguìto il solco d'un sentiero m'ebbi
17.                       l'opposto in cuore, col suo invito 7-  e forse
18.                       m'occorreva il coltello che recide,
19.                       la mente che decide e si determina 8-
20.                       Altri libri occorrevano
21.                       a me, non la tua pagina rombante 9-.
22.                       Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
23.                       ancora i groppi interni col tuo canto 10 .
24.                       Il tuo delirio sale agli astri ormai 11- .grotte).[/fn].
25.                        
1.     Avrei voluto sentirmi ruvido e semplice
2.     come le pietre che riporti (a riva con la corrente),
3.     erose dalla salsedine;
4.     scheggia su cui il tempo non ha effetto, testimone
5.     di una volontà fredda che non si spegne mai.
6.     Fui (però) altro: un uomo impegnato ad osservare
7.     su di sé, sugli altri, lo scorrere
8.     della vita veloce – un uomo che impiega tempo
9.     per agire, che a nessuno, alla fine, arreca danno.
10.                Volli cercare il male
11.                che rovina il mondo, il piccolo difetto
12.                di una leva che ferma
13.                il meccanismo universale; e vidi tutti
14.                gli avvenimenti di quel momento
15.                come se fossero pronti a disfarsi crollando.
16.                Seguito il cammino di un sentiero sentii il desiderio
17.                di andare dalla parte opposta, sotto suo invito; e forse
18.                avevo bisogno del coltello in grado di tagliare,
19.                della mente in grado di decidere e darsi un'identità.
20.                Di libri diversi avevo bisogno
21.                io, non della tua distesa fragorosa.
22.                Ma non so rimpiangere niente: tu sciogli
23.                di nuovo le mie preoccupazioni con il tuo canto.
24.                Il tuo delirio (è tanto alto che) arriva ormai fino alle stelle.
1 Salsedine: ancora una volta i ciottoli marini vengono usati come
 esito di una correlazione dall'io lirico: essi diventano, come già 
lo erano (specialmente in Ho sostato talvolta nelle grotte e Giunge
 a volte, repente), i prodotti più notevoli della legge marina, la quale
 li inghiotte e, addirittura, li mangia, consumandoli in un vorace 
processo di personificazione. L'io lirico rimpiange il suo essersi 
discostato da essi ed aver scelto un destino diverso dal loro, perciò
 di non essersi abbandonato al mare lasciando che esso lo accogliesse.
 È qui presente un pentimento regressivo: l'io lirico si rammarica di 
non aver fatto ciò che, fino ad ora, non ha assolutamente desiderato 
per se stesso.
2 Non passa: ecco le apposizioni del ciottolo, segno più evidente del
rimpianto del poeta: l'essere “fuori del tempo”, cioè lontano dall'umana 
sofferenza causata dalla finitudine, ed il conoscere la “volontà fredda 
che non passa”, quindi il vivere sempre secondo uno stesso principio 
escluso dalla mutabilità continua della vita. Ancora una volta, l'io lirico
rifugge la precarietà della vita per come egli l'ha conosciuta, rimanendo 
ontano dal mare ed autodeterminandosi.
3 Fugace: da notare come il mare, pur essendo un ricordo lontano da 
questo periodo (il quale è collocato nella vita umana dell'io lirico), sia 
comunque importante: è di esso il “bollore | della vita”, espresso secondo
 una puntuale e non casuale metafora, quasi come se ogni creatura portasse
(come detto inNoi non sappiamo quale sortiremo) il segno evidente che
 la ricollega al mare, suo principio generatore.
4 Distrugge: l'io lirico cerca di definirsi, di darsi un volto come uomo,
 ribattendo sull’anafora esplicativa. Il risultato non è soddisfacente, è
anzi storpio: avendo voluto ritagliare per sé uno spazio umano (e non 
essendosi lasciato trasportare dal mare), egli ha fallito in quanto non è
riuscito ad ottenere il giusto ed il buono dalla vita, rimanendo così 
sommerso da essa, precipitando nell'inettitudine.
5 Universale: emerge qui la colpa che l'io lirico riconosce. L'interesse
per il sapere ed il costante desiderio di ricercare la “maglia rotta nella
rete / che ci stringe”hanno portato a muoversi in un mondo caduco, 
destinato al fallimento, entro i termini del quale egli non desidera 
vivere. Il mondo, che diventa baroccamente l'“ordegno universale”,
resta quindi un luogo fallace e posticcio, ma ciò che si rifugge è
proprio questa presa di coscienza, cioè quella del “male / che tarla 
mondo”.
6 Crollo: da notare è qui il momento metastorico, che ritornerà 
specialmente nel Montale più maturo (cfr., ad es.. La bufera, in
La bufera e altro , incarnato dalla figura di Clizia): l'apocalittico 
“minuto” trascende il presente e rivela la caducità del mondo tutto
la precarietà che lo governa e la finitudine a cui esso è confinato, 
le quali si risolvono nel “crollo” che ne conferma la fatiscenza.
7 Invito: si crea qui il cambio di direzione che caratterizza la lirica
 intera. Puntando al panismo con il mare, l'io lirico ha scelto un
“solco d'un sentiero” ben preciso (che molto ricorda la scia delle 
onde e, allo stesso tempo, le impervie strade di Scendendo qualche 
volta), lontano dalla vita terrestre, ma ora se ne pente e comunica 
che vorrebbe cambiare strada. L' “opposto in cuore” giustifica il 
desiderio di invertire la rotta una volta arrivato alla fine della strada
 intrapresa, una volta scoperto che il mare non è in grado di risolvere
 il proprio dolore (conoscenza-sofferenza). Il “suo invito” è, chiaramente,
 quello del mare, di cui ritorna nei successivi versi il “canto” (ripreso
 particolarmente da Ho sostato talvolta nelle grotte, la cui idea di
“musica” è anche in Giunge a volte, repente).
8 Determina: il richiamo dell'io lirico alla volitività dannunziana 
 è qui efferato: il “coltello”, la cui capacità di taglio sembra quasi 
paventare il Montale degli Ossi, diventa, secondo un processo di 
correlazione oggettiva, lo strumento tramite cui l'uomo può 
emanciparsi dalle sue origini, proprio come se dovesse recidere il 
cordone ombelicale che ad esse lo lega. Lo stesso è per la “mente 
che decide” (in rimalmezzo, non casualmente, con “recide”), la quale
ha un ruolo fondamentale nella scelta identitaria, soprattutto perché 
“determina”. L'errore dell'io lirico, però, è stato quello di non disporre 
né di uno né dell'altra, finendo così per diventare un inetto soggetto inequivocabilmente alla volontà del mare.
9 Rombante: restando sul tema della conoscenza, i “libri” diventano 
il mezzo tramite cui l'io lirico giunge ad essa. Essi sono collegati
metaforicamente alla distesa marina sia in senso fisico (per quanto
riguarda il mare,esteso come detto in Antico, sono ubriacato dalla voce)
sia in senso figurato (in base alla lezione che l’io lirico impara da esso, 
come detto in Ho sostato talvolta nelle grotte).Coerentemente al 
desiderio ermeneutico del Montale degli Ossi, che interpreta la natura 
circostante come se dovesse leggerla e comprenderla, il mondo si fa 
dunque una pagina che può essere letta e compresa. La scelta è allora
duplice: gli “altri libri” da una parte, rappresentanti la capacità di
illusione e la repulsione della conoscenza-sofferenza, e la metonimica 
e metaforica “pagina rombante” del mare dall'altra, ovvero la distesa
marina che l'io lirico ha interpretato lungo tutto il corso di Mediterraneo.
10-Canto: dinnanzi alla seducente e commovente melodia del mare, l'io
lirico non può che ascoltare e farsi cullare da essa, abbandonandosi
lascivamente al principio che fino ad ora ha attenuato il peso della sua
 esistenza. Metaforico rimedio benefico contro il male che si annida 
dentro il suo corpo, la presenza marina è in grado di alleviare le 
sofferenze nascoste dell'io lirico, consolandolo “ancora” anche dopo
la fine dell’infanzia.
11- Ormai: la lirica chiude con la manifestazione più alta del mare:
il suo “delirio”, interpretabile con il rumore che fa, oppure con gli 
schizzi che le onde, all'impazzata, producono frangendosi sugli scogli, 
oppure ancora con il sentimento che ispira all'io lirico (lo stesso dei 
“buffi salmastri | al cuore” di Scendendo qualche volta). In ogni caso, 
esso è manifestazione della piena potenza delle acque, che l'io lirico
ammira profondamente e con devozione sublime (quasi ricordandone
la magnificenza descritta in Ho sostato talvolta nelle grotte).

 



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