domenica 14 giugno 2020

I.ITALIA 14. Eugenio Montale.d. “Dissipa tu se lo vuoi”:






 I.ITALIA

14. Eugenio Montale

Poeta italiano, premio Nobel
nasce nel1896 a Genova.
 muore nel1981 a Milano.
Terminata la prima guerra mondiale Montale inizia a frequentare i circoli 
culturali liguri  e torinesi. Nel 1927 si trasferisce a Firenze dove collabora 
con l'editore Bemporad. Nella  capitale toscana gli anni precedenti erano 
stati fondamentali per la nascita della poesia  italiana moderna.

d. “Dissipa tu se lo vuoi”:

Dissipa tu se lo vuoi
questa debole vita che si lagna,
come la spugna il frego
effimero di una lavagna.
M’attendo di ritornare nel tuo circolo,
s’adempia lo sbandato mio passare.
La mia venuta era testimonianza
di un ordine che in viaggio mi scordai,
giurano fede queste mie parole
a un evento impossibile, e lo ignorano.
Ma sempre che tradii
la tua dolce risacca su le prode
sbigottimento mi prese
quale d’uno scemato di memoria
quando si risovviene del suo paese.
Presa la mia lezione
più che dalla tua gloria
aperta, dall’ansare
che quasi non dà suono
di qualche tuo meriggio desolato,
a te mi rendo in umiltà. Non sono
che favilla d’un tirso. Bene lo so: bruciare,
questo, non altro, è il mio significato.

(Eugenio Montale, Ossi di Seppia/Mediterraneo)'

La lirica conclusiva di Mediterraneo segna una chiusura circolare del 
poemetto, la cui fine coincide grossomodo con l'inizio (A vortice s'abbatte):
in entrambi i testi l'io lirico spera nell'unione con il mare. Dopo un preciso
cammino, egli  ripensa alla strada percorsa e si accorge di quanto poco
abbia realmente fatto o ottenuto, così come si accorge di quanto il mare
conti veramente per lui.Curiosamente, dopo il quinto movimento (Giunge
a volte repente), nasce una “discesa” idealistica che porta l'io lirico a
considerare sempre meno ciò di cu è convinto (l'emancipazione dal mare)
e sempre più ciò da cui vorrebbe fuggire (l'unione con il mare). Sin dai
primi versi, la caratterizzazione del sé risulta mordente: si trova infatti,
in similitudine, il “frego | effimero” che deve essere cancellato, con molta
facilità, dalla “spugna”, cioè il mare. La sottomissione è quindi notevole, 
ed oltre a questa la metafora indica la condizione di precarietà dell'io 
lirico, la pochezza esistenziale che lo caratterizza e la poca stima che 
ha di sé. Come una spugna che elimina innumerevoli tratti di gesso con
una ferma spazzata, l'io lirico chiede al mare di essere cancellato alla
stessa maniera.È inutile ripensare alla strada percorsa fino ad ora: sembra 
che con  il quinto movimento nasca, oltre alla finta scintilla di ribellione,
una dimenticanza progressiva dell'“ordine” a cui l'io lirico voleva 
sottostare, la fede cieca che mai ha conosciuto e che è ora stufo di non
conoscere.Il mare, invece, è sempre rimasto un punto saldo: la “dolce
risacca” ha sempre causato “sbigottimento”, affascinando puntualmente
l'io lirico e favorendo in lui la nascita di un sentimento di appartenenza 
totalizzante (lo “scemato di memoria | quando si risovviene del suo paese”)
In questo momento conclusivo, quindi, il protagonista non può che darsi
al suo principio vitale, ragionando sul fatto che a lui deve rimettersi per 
quanto da lui ha imparato. L'ultima presa di coscienza, poi, indica la
precarietà della vita e la pochezza, di nuovo, dell'io lirico, il quale 
percepisce la  sua esistenza come una fugace scintilla e nulla più.E 
il mare, potrà evitare tutto ciò? 

Struttura metrica:
ventitré versi in cui ritorna l’alternanza tra endecasillabi e settenari,
arricchita comunque dall’aggiunta di altri versi brevi e pochi versi
lunghi. Gli enjanmbements sono di minore importanza fino al v. 10,
dopo il quale tornano ad essere sintomatici del dialogo con il mare,
il quale frastaglia la corrispondenza tra metro e lingua. Da notare è
il rallentamento della chiusa: tramite asindeto, la lirica termina
speculando sulle ultime affermazioni, che assumono un carattere
lapidario. Le schema rimico è evidente, soprattutto dopo l’avversativa
del v. 11 ed il tessuto fonico si adegua senza particolari picchi espressivi.
Forse per Montale è opportuno precisare con una serie di note il lessico,
spesso prezioso e raro,e la sintassi,spesso inconsueta nell’uso corrente,
quindi di difficile traduzione per i miei amici lettori  sparsi negli angoli
 più diversi del pianeta.
1.     Dissipa tu se lo vuoi
2.     questa debole vita che si lagna,
3.     come la spugna il frego
4.     effimero di una lavagna 1.
5.     M'attendo di ritornare nel tuo circolo,
6.     s'adempia lo sbandato mio passare 2 .
7.     La mia venuta era testimonianza
8.     di un ordine che in viaggio mi scordai 3.
9.     giurano fede queste mie parole
10.                       a un evento impossibile, e lo ignorano 4.
11.                       Ma sempre che traudii
12.                       la tua dolce risacca su le prode
13.                       sbigottimento mi prese 5.
14.                       quale d'uno scemato di memoria
15.                       quando si risovviene del suo paese 6..
16.                       Presa la mia lezione 7.
17.                       più che dalla tua gloria
18.                       aperta, dall'ansare
19.                       che quasi non dà suono
20.                       di qualche tuo meriggio desolato 8.
21.                       a te mi rendo in umiltà 9. .Non sono
22.                       che favilla d'un tirso 10.. Bene lo so: bruciare,
23.                       questo, non altro, è il mio significato.
24.                        
1.     Cancella, se vuoi,
2.     questa vita debole che si lamenta,
3.     come la spugna cancella il gesso
4.     che non resta sulla lavagna.
5.     Aspetto di tornare al tuo circolo,
6.     che finisca il mio cammino senza senso.
7.     La mia vita era testimonianza
8.     di una logica che durante il viaggio dimenticai,
9.     queste mie parole sperano
10.                       in un evento impossibile, e non sanno qual è.
11.                       Ma ogni volta che sentii
12.                       la tua dolce risacca sulle (tue) sponde
13.                       mi prese una meraviglia
14.                       come quella di uno privo di memoria
15.                       che si ricordi del suo paese.
16.                       Imparata la mia lezione
17.                       più che dalla tua onnipotenza
18.                       infinita, dal respirare
19.                       che quasi non fa rumore
20.                       di un meriggio solitario presso di te,
21.                       a te mi restituisco con umiltà. Non sono
22.                       altro che la scintilla di una torcia. Lo so bene: bruciare,
23.                       questo, nessun altro, è il mio significato.
24.                        

1. Lavagna: la condizione di sottomissione dell'io lirico è davvero notevole.
 Nella similitudine, il poeta richiama la riga di gesso disegnata su una
lavagna e chiede alla spugna (corrispondente al mare) di cancellarla,
 indicando la resistenza nulla e, propriamente, l'effimerità che lo
caratterizzeranno da qui in poi. Come nella lirica precedente, l'io lirico
 richiama i suoi lamenti e chiede l'assoluzione per essi, cedendo al principio
 a cui non ha voluto affidarsi in passato.
2. Passare: in questi due versi crolla, istantaneamente, tutta la resistenza
che  l'io lirico ha cercato di organizzare nel corso dell’interno poemetto.
 Il suo cammino, che poteva sembrare un tentativo di autodeterminazione,
si rivela invece privo di meta, sconclusionato ed insensato.Antiteticamente
 il “circolo” del mare richiama un'idea di perfezione e di armonia, a cui il
 protagonista non può che guardare meravigliato e sognarne l'inclusione.
3. Scordai: si rincara la dose di cinismo che smonta il percorso dell'io lirico:
 non solo uno “sbandato […] passare”, bensì anche la perdita di un “ordine”,
di nuovo opposto per antitesi alla ferrea rigorosità che caratterizza il mare. 
Ragionando su di sé, quindi, l'io lirico osserva di aver avuto importanza e
forza  per autodeterminarsi, ma di averle misteriosamente perse lungo la
 strada.
4. Ignorano: progredendo lungo l'analisi della sua vita prima della resa,
all'io lirico resta da inquadrare il principio che, prima di questo momento,
 gli permetteva di vivere. Ragionandoci, sembra quasi che non riesca ad
arrivarci. Addirittura, sembra che non possa fare altro che smontare la
propria convinzione: la “fede”, dal notevole peso semantico, perde
significato a causa dell'“evento impossibile”, a cui è collegata tramite
un accostamento ossimorico, e dell'incapacità delle parole, le quali
“ignorano” il miracolo laico in cui l'io lirico spera. Impossibilitato nei
 suoi mezzi, perciò, egli si abbandona alla grande presenza in grado di
 dare un senso alla propria vita (come sembrava si preannunciasse in
 Scendendo qualche volta e Ho sostato talvolta nelle grotte).

5, Mi prese: crollata una certezza, o meglio, decostruita una certezza
stabile soltanto in apparenza, l'io lirico ricorda l'unica cosa che sia
riuscita, nel corso del poemetto, a dare stabilità alla sua mente: il
mare. La caratterizzazione della sua rinsacca, innanzitutto, è molto
indicativa del sentimento provato verso di esso; lo “sbigottimento”,
che si ritrova in forma diversa in quasi ogni lirica precedente, è il
segno  tangibile dell'effetto vitale e spontaneo che il contatto con
 esso dà al  protagonista.
6. Paese: coerentemente a Ho sostato talvolta nelle grotte, segnata
dall'emersione della città perduta dalle acque del mare, l'io lirico si
immedesima nel movimento dei flutti marini e si sente nuovamente
 a casa, proprio come se il mare fosse la sua patria.
7.Lezione: da notare è il termine a cui Montale ricorre: “lezione”
sembra indicare una conoscenza che viene trasmessa, proprio
come se il mare potesse insegnare all'io lirico la vita ed i principi
di essa (riprendendo quindi il tema dei “libri” di Avrei voluto sentirmi
scabro ed essenziale.)Non è la prima volta, comunque, che il mare
viene elevato a una simile posizione: questo verso può effettivamente
ricollegarsi al rapporto padre-figlio che l'io lirico designa nei
componimenti precedenti tramite le frequenti personificazioni, 
sempre indicando la subordinazione del secondo nei confronti del primo.
8. Desolato: chiaramente il compito dell'io lirico è ancora di natura 
ermeneutica.8.Così come osservando le correnti e la “tesa” marina 
egli ha imparato la “lezione”, ricorda l' “ansare” del mare (che va di
 pari passo con le voci attribuitegli) come qualcosa da ascoltare e fare
 proprio perché contenente informazioni preziose.
Il quadro disegnato è un momento tipico (e topico ) degli Ossi, vale 
a dire il meriggio bollente e spento, caratteristico per esempio di
Meriggiare pallido e assorto.
9. Umiltà: come già osservato in precedenza, la sottomissione è completa
e incondizionata. Questa “umiltà” dell'io lirico potrebbe collegarsi con 
la “fede”dei versi precedenti, contribuendo a descrivere il mare come
un'entità divinaa cui chiedere misericordia, una presenza da omaggiare
e a cui affidarsi per essere salvati. In effetti, questo è quanto l'io lirico
afferma chiaramente nei primi versi, specialmente quando aspira al
 ritorno nel “tuo circolo”.
10 Tirso: questa metafora conclusiva, sotto il segno della diminutio, è
molto importante perché delinea un chiaro sostrato religioso nel lessico
della lirica.Il tirso era il bastone che nell'antica Grecia si usava nelle
celebrazioni in onore  di Bacco: esso veniva acceso durante i rituali 
e bruciava in suo onore. Allo stesso modo, l'io lirico sente di essere
uno strumento votivo del mare, ma nell'esprimersi non dimentica di 
riferirsi anche alla brevità della propria esistenza e di ricordare come 
soltanto a ciò egli sia destinato (ricordando, quindi, la fine del “ciottolo /
róso” di Ho sostato talvolta nelle grotte, o il “pietrisco” di Giunge 
a volte repente oppure ancora i “ciottoli” di Avrei voluto sentirmi 
scabro ed essenziale), contrariamente al principio a cui vuole affidarsi.

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