martedì 16 giugno 2020

I.ITALIA 14. Eugenio Montale.g.“Dissipa tu se lo vuoi”:






 I.ITALIA

14. Eugenio Montale

Poeta italiano, premio Nobel
nasce nel 1896 a Genova,
 muore nel 1981 a Milano,
Terminata la prima guerra mondiale Montale 
inizia a frequentare i circoli culturali liguri  e
 torinesi. Nel 1927 si trasferisce a Firenze dove
 collabora con l'editore Bemporad. Nella  capitale
 toscana gli anni precedenti erano stati fondamentali
 per la nascita della poesia  italiana moderna.

g. “Dissipa tu se lo vuoi”:

Dissipa tu se lo vuoi
questa debole vita che si lagna,
come la spugna il frego
effimero di una lavagna.
M’attendo di ritornare nel tuo circolo,
s’adempia lo sbandato mio passare.
La mia venuta era testimonianza
di un ordine che in viaggio mi scordai,
giurano fede queste mie parole
a un evento impossibile, e lo ignorano.
Ma sempre che tradii
la tua dolce risacca su le prode
sbigottimento mi prese
quale d’uno scemato di memoria
quando si risovviene del suo paese.
Presa la mia lezione
più che dalla tua gloria
aperta, dall’ansare
che quasi non dà suono
di qualche tuo meriggio desolato,
a te mi rendo in umiltà. Non sono
che favilla d’un tirso. Bene lo so: bruciare,
questo, non altro, è il mio significato.

(Eugenio Montale, Ossi di Seppia/Mediterraneo)'

La lirica conclusiva di Mediterraneo segna una chiusura
circolare del poemetto, la cui fine coincide grossomodo
con l'inizio (A vortice s'abbatte): in entrambi i testi l'io lirico
spera nell'unione con il mare. Dopo un preciso cammino, egli
ripensa alla strada percorsa e si accorge di quanto poco abbia
realmente fatto o ottenuto, così come si accorge di quanto il 
mare conti veramente per lui. Curiosamente, dopo il quinto
movimento (Giunge a volte repente), nasce una “discesa” 
idealistica che porta l'io lirico a considerare sempre meno ciò
di cuiè convinto (l'emancipazione dal mare) e sempre più ciò 
da cui vorrebbe fuggire (l'unione con il mare). Sin dai primi 
versi, la caratterizzazione del sé risulta mordente: si trova infatti,
in similitudine, il “frego | effimero” che deve essere cancellato, 
con molta facilità, dalla “spugna”, cioè il mare. La sottomissione 
è quindi notevole, ed oltre a questa la metafora indica la condizione 
di precarietà dell'io lirico, la pochezza esistenziale che lo caratterizza
e la poca stima che ha di sé Come una spugna che elimina 
innumerevoli tratti di gesso con una ferma spazzata, l'io lirico
chiede al mare di essere cancellato alla stessa maniera.
È inutile ripensare alla strada percorsa fino ad ora: sembra che 
con il quinto movimento nasca, oltre alla finta scintilla di ribellione,
una dimenticanza progressiva dell'“ordine” a cui l'io lirico voleva 
sottostare, la fede cieca chemai ha conosciuto e che è ora stufo di
non conoscere. Il mare, invece, è sempre rimasto un punto saldo: 
la “dolce risacca” ha sempre causato “sbigottimento”, affascinando
puntualmente l'io lirico e favorendo in lui la nascita di un sentimento 
di appartenenza totalizzante (lo “scemato di memoria | quando si 
risovviene del suo paese”). In questo momento conclusivo, quindi, il
protagonista non può che darsi al suo principio vitale, ragionando 
sul fatto che a lui deve rimettersi per quanto da lui ha imparato.
L'ultima presa di coscienza, poi, indica la precarietà della vita e
 la pochezza, di nuovo, dell'io lirico, il quale percepisce la
 sua esistenza come una fugace scintilla e nulla più.
E il mare, potrà evitare tutto ciò?

truttura metrica:      
ventitré versi in cui ritorna l’alternanza tra endecasillabi e settenari
arricchita comunque dall’aggiunta di altri versi brevi e pochi versi
lunghi. Gli enjambements  sono di minore importanza fino al v. 10,
dopo il quale tornano ad essere sintomatici del dialogo con il mare,
 il quale frastaglia la corrispondenza tra metro e lingua. Da notare è
 il rallentamento della chiusa: tramite asindeto la lirica termina
speculando sulle ultime affermazioni, che assumono un carattere
lapidario. Le schema rimico è evidente, soprattutto dopo l’avversativa
 del v. 11 ed il tessuto fonico si adegua senza particolari picchi espressivi.
Forse per Montale è opportuno precisare con una serie di note il lessico,
spesso prezioso e raro,e la sintassi,spesso inconsueta nell’uso corrente,
quindi di difficile traduzione per i miei amici lettori  sparsi negli angoli
 più diversi del pianeta.
1.     Dissipa tu se lo vuoi
2.     questa debole vita che si lagna,
3.     come la spugna il frego
4.     effimero di una lavagna 1.
5.     M'attendo di ritornare nel tuo circolo,
6.     s'adempia lo sbandato mio passare 2.
7.     La mia venuta era testimonianza
8.     di un ordine che in viaggio mi scordai 3,
9.     giurano fede queste mie parole
10.                       a un evento impossibile, e lo ignorano 4.
11.                       Ma sempre che traudii
12.                       la tua dolce risacca su le prode
13.                       sbigottimento mi prese 5
14.                       quale d'uno scemato di memoria
15.                       quando si risovviene del suo paese 6.
16.                       Presa la mia lezione 7
17.                       più che dalla tua gloria
18.                       aperta, dall'ansare
19.                       che quasi non dà suono
20.                       di qualche tuo meriggio desolato 8,
21.                       a te mi rendo in umiltà 9. Non sono
22.                       che favilla d'un tirso 10. Bene lo so: bruciare,
23.                       questo, non altro, è il mio significato.
24.                        
1.     Cancella, se vuoi,
2.     questa vita debole che si lamenta,
3.     come la spugna cancella il gesso
4.     che non resta sulla lavagna.
5.     Aspetto di tornare al tuo circolo,
6.     che finisca il mio cammino senza senso.
7.     La mia vita era testimonianza
8.     di una logica che durante il viaggio dimenticai,
9.     queste mie parole sperano
10.                       in un evento impossibile, e non sanno qual è.
11.                       Ma ogni volta che sentii
12.                       la tua dolce risacca sulle (tue) sponde
13.                       mi prese una meraviglia
14.                       come quella di uno privo di memoria
15.                       che si ricordi del suo paese.
16.                       Imparata la mia lezione
17.                       più che dalla tua onnipotenza
18.                       infinita, dal respirare
19.                       che quasi non fa rumore
20.                       di un meriggio solitario presso di te,
21.                       a te mi restituisco con umiltà. Non sono
22.                       altro che la scintilla di una torcia. Lo so bene: bruciare,
23.                       questo, nessun altro, è il mio significato.
24.                        
1 Lavagna: la condizione di sottomissione dell'io lirico è davvero 
notevole. Nella similitudine, il poeta richiama la riga di gesso 
disegnata su una lavagna e chiede alla spugna (corrispondente 
al mare) di cancellarla, indicando la resistenza nulla e, propriamente,
l'effimerità che lo caratterizzeranno da qui in poi. Come nella lirica
precedente, l'io lirico richiama i suoi lamenti e chiede l'assoluzione
per essi, cedendo al principio a cui non ha voluto affidarsi in passato.
2 Passare: in questi due versi crolla, istantaneamente, tutta la resistenza
che  l'io lirico ha cercato di organizzare nel corso dell’interno poemetto.
 Il suo cammino, che poteva sembrare un tentativo di autodeterminazione,
si rivela invece privo di meta, sconclusionato ed insensato.
Antiteticamente  il “circolo” del mare richiama un'idea di perfezione
e di armonia, a cui il protagonista non può che guardare meravigliato
e sognarne l'inclusione.
3 Scordai: si rincara la dose di cinismo che smonta il percorso dell'io lirico:
 non solo uno “sbandato […] passare”, bensì anche la perdita di un “ordine”,
di nuovo opposto per antitesi alla ferrea rigorosità che caratterizza il mare.
Ragionando su di sé, quindi, l'io lirico osserva di aver avuto importanza e
forza  per autodeterminarsi, ma di averle misteriosamente perse lungo la
strada.
4 Ignorano: progredendo lungo l'analisi della sua vita prima della resa,
all'io lirico resta da inquadrare il principio che, prima di questo momento,
 gli permetteva di vivere. Ragionandoci, sembra quasi che non riesca ad
arrivarci. Addirittura, sembra che non possa fare altro che smontare la
propria convinzione: la “fede”, dal notevole peso semantico, perde
significato a causa dell'“evento impossibile”, a cui è collegata tramite
un accostamento ossimorico, e dell'incapacità delle parole, le quali
“ignorano” il miracolo laico in cui l'io lirico spera. Impossibilitato nei
 suoi mezzi, perciò, egli si abbandona alla grande presenza in grado di
 dare un senso alla propria vita (come sembrava si preannunciasse in
Scendendo qualche volta e Hi sostato talvolta nelle grotte).
5 Mi prese: crollata una certezza, o meglio, decostruita una certezza
stabile soltanto in apparenza, l'io lirico ricorda l'unica cosa che sia
riuscita, nel corso del poemetto, a dare stabilità alla sua mente: il
mare. La caratterizzazione della sua rinsacca, innanzitutto, è molto
indicativa del sentimento provato verso di esso; lo “sbigottimento”,
che si ritrova in forma diversa in quasi ogni lirica precedente, è il
segno  tangibile dell'effetto vitale e spontaneo che il contatto con
 esso dà al  protagonista.
6 Paese: coerentemente a Ho sostato talvolta nelle grotte, segnata
dall'emersione della città perduta dalle acque del mare, l'io lirico si
immedesima nel movimento dei flutti marini e si sente nuovamente
 a casa, proprio come se il mare fosse la sua patria.
7 Lezione: da notare è il termine a cui Montale ricorre: “lezione”
sembra indicare una conoscenza che viene trasmessa, proprio
come se il mare potesse insegnare all'io lirico la vita ed i principi
di essa (riprendendo quindi il tema dei “libri” di Avrei voluto sentirmi
 scabro ed essenziale.)Non è la prima volta, comunque, che il mare
viene elevato a una simile posizione: questo verso può effettivamente
 ricollegarsi al rapporto padre-figlio che l'io lirico designa nelle liriche
precedenti tramite le frequenti personificazioni, sempre indicando la
subordinazione del secondo nei confronti del primo.
8 Desolato: chiaramente il compito dell'io lirico è ancora di natura
ermeneutica.Così come osservando le correnti e la “tesa” marina 
egli ha imparato la “lezione”, ricorda l' “ansare” del mare (che va
 di pari passo con le voci attribuitegli) come qualcosa da ascoltare
 e fare proprio perché contenente informazioni preziose.
Il quadro disegnato è un momento tipico (e topico) degli Ossi
vale a dire il meriggio bollente e spento, caratteristico per esempio 
di Meriggiare pallido e assorto.
9 Umiltà: come già osservato in precedenza, la sottomissione è
completa e incondizionata. Questa “umiltà” dell'io lirico potrebbe
collegarsi con la “fede”dei versi precedenti, contribuendo a descrivere
il mare come un'entità divina a cui chiedere misericordia, una presenza
da omaggiare e a cui affidarsi per essere salvati. In effetti, questo è 
quanto l'io lirico afferma chiaramente neiprimi versi, specialmente 
quando aspira al ritorno nel “tuo circolo”.
10 Tirso: questa metafora conclusiva, sotto il segno della diminutio,
 è molto importante perché delinea un chiaro sostrato religioso nel 
lessico della lirica.
Il tirso era il bastone che nell'antica Grecia si usava nelle celebrazioni
 in onore  di Bacco: esso veniva acceso durante i rituali e bruciava in
suo onore. Allo stesso modo, l'io lirico sente di essere uno strumento
votivo del mare, ma nell'esprimersi non dimentica di riferirsi anche 
alla brevità della propria esistenza e di ricordare come soltanto a ciò
 egli sia destinato (ricordando, quindi, la fine del “ciottolo / róso” di
 Ho sostato talvolta nelle grotte, o il “pietrisco” di"Giunge, a volte"
repente, oppure ancora i “ciottoli” di Avrei voluto sentirmi scabro
ed essenziale), contrariamente al principio a cui vuole affidarsi.

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