martedì 9 giugno 2020

I.ITALIA 13.Cesare Pavese.a.Di salmastro e di terra.



I.ITALIA

13.Cesare Pavese

1908: Cesare Pavese nato a Santo Stefano Belbo, dove il padre,
 cancelliere di tribunale a Torino, ha un piccolo podere, qui ci
 passa le vacanze estive, normalmente vive a Torino. Compie
 gli studi a Torino e si laurea con una tesi in poesia. 1931 muore 
la madre, continua a vivere con la sorella, ma è molto introverso.

a.Di salmastro e di terra

Di salmastro e di terra
è il tuo sguardo. Un giorno
hai stillato di mare.
Ci sono state piante
al tuo fianco, calde,
sanno ancora di te.
L'agave e l'oleandro.
Tutto chiudi negli occhi.
Di salmastro e di terra
hai le vene, il fiato.

Bava di vento caldo,
ombre di solleone
tutto chiudi in te.
Sei la voce roca
della campagna, il grido
della quaglia nascosta,
il tepore del sasso.
La campagna è fatica,
la campagna è dolore.
Con la notte il gesto
del contadino tace.
Sei la grande fatica
e la notte che sazia.

Come la roccia e l'erba,
come terra, sei chiusa;
ti sbatti come il mare.
La parola non c'è
che ti può possedere
o fermare. Cogli
come la terra gli urti,
e ne fai vita, fiato
che carezza, silenzio.
Sei riarsa come il mare,
come un frutto di scoglio,
e non dici parole
e nessuno ti parla.

(Cesare Pavese,
La terra e la morte)

Gli amori sofferti di Cesare Pavese – Silvia De Paola 
Di lati oscuri Pavese ne ha avuti parecchi, eppure nella luce
che sfavilla dai suoi immemorabili versi tuttora riesce difficile
accettare il tragico destino  della sua morte.Un uomo che aveva
il potere di “amare oltre misura”, che scriveva per avvicinarsi 
al proprio simile per insegnargli che la vita è comunione, ancora
oggi è in grado di “servire e svegliare il mondo” attraverso la
bellezza della natura descritta nelle sue opere.
Un saggio, di Silvia De Paola, si intitola Gli amori sofferti di
Cesare Pavese, e fa leva su questo aspetto della sua poetica:
l’amore.Il mestiere di colui che scrive versi dovrebbe essere 
quello di rompere l’incomunicabilità e le frontiere tra i popoli,
e questo lo capisce ancoradi  più  quando l’autore va per
qualche tempo in Calabria. Abituato a una cultura di tipo 
cittadino, illuministica e razionalistica, non appena si ritrova
a contatto con il mare, le antiche usanze paesane, i rituali di
una regione profondamente diversa dal Piemonte, turba
parecchio la sua sensibilità. Egli in Calabria si innamora di
una serva, «prototipo della donna meridionale scura di 
carnagione, misteriosa e selvaggia», tanto da descriverla 
con un aspetto tra il «divino e il caprino», una mescolanza
di sacralità e bestialità.Cesare Pavese rimane colpito da questa
terra che come una donna di quel tempo, non sa ribellarsi al 
suo destino:una terra dove mito e realtà coesistono, dove
«l’antica civiltà non muore e se muore, rinasce dalle sue ceneri».
Ma perché gli amori di Pavese sono «sofferti»? Egli ha un
particolare rapporto con la vita, con l’infanzia e con l’età 
adulta. E ogni donna che incontra la vede come possibilità 
di vita perché questa senza l’amore non ha motivo di esistere.
La donna per Pavese è «fonte d’amore» ma anche e soprattutto 
di «alta, struggente,divina  poesia». Bianca Garufi è colei che
non deve assomigliare alle altre,malgrado  i ripetuti tradimenti.
Misteriosa, dura, come un’eco della terra calabra:

«Di salmastro e di terra
è il tuo sguardo.
Un giorno
hai stillato di mare.
Ci sono state piante
al tuo fianco, calde,
sanno ancora di te.
L’agave e l’oleandro
tutto chiudi negli occhi.
Bava di vento caldo
tutto chiudi in te»
.

Questa Bianca, anch’ella scrittrice e poetessa, ha in sé
il divino perché si fonde con la terra e il vento: racchiude
l’irraggiungibile ma nello stesso tempo qualcosa di
rassicurante e caldo.Pavese ricorre spesso al mito, e
alle dee della mitologia come Artemide per esempio, colei
che «sa annientare un uomo con uno sguardo o un sorriso »: 
così sostanzialmente viveva ogni incontro con la speranza 
di trovare la sua “dea”, e l’impossibilità di realizzare questo
desiderio si trasformava in grosse delusioni d’amore, 
generando piaghe insanabili.«Non ci si uccide per una
donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore,
ci rivela nella nostra nudità, miseria,infermità, nulla».
Un saggio che fa leva sulla sensibilità del poeta torinese 
a ogni incontro con le muse della sua vita (Tina Pizzardo,
Carolina Giuseppina Mignone, Costance Dowling ecc.).
«Noi crediamo che tutti i sogni e le speranze, le immagini 
e i miti evocati da Pavese siano profondamente vitali,
nonostante la tragicità della sua condizione umana di
uomo e poeta. È nei suoi versi che risuonano,come un 
eco interminabile, la grande vitalità e passione per la vita, 
che forse proprio perché distante dalle sue aspettative
gli si è rivelata tragica».

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