lunedì 15 giugno 2020

I.ITALIA 14. Eugenio Montale.e.Giunge a volte, repente



I.ITALIA

14. Eugenio Montale

Poeta italiano, premio Nobel
nasce nel 1896 a Genova.Muore nel 1981 a Milano.
Terminata la prima guerra mondiale Montale inizia a frequentare
i circoli culturali liguri  e torinesi. Nel 1927 si trasferisce a Firenze
dove collabora con l'editore Bemporad. Nella  capitale toscana gli
anni precedenti erano stati fondamentali per la nascita della poesia
italiana moderna.

e.Giunge a volte, repente

Giunge a volte, repente,
un’ora che il tuo cuore disumano
ci spaura e dal nostro si divide.
Dalla mia la tua musica sconcorda
allora, ed è nemico ogni tuo moto.
In me ripiego, vuoto
di forze, la tua voce pare sorda.
M’affisso nel pietrisco
che verso te degrada
fino alla ripa acclive che ti sovrasta,
franosa, gialla, solcata
da strosce d’acqua piovana.

Mia vita è questo secco pendio
mezzo non fine, strada aperta a sbocchi
di rigagnoli, lento franamento.
È dessa ancora questa pianta
che nasce dalla devastazione
e in faccia ha i colpi del mare, ed è sospesa
fra erratiche forze di venti.

Questo pezzo di suolo non erbato
s’è spaccato perché nascesse una margherita.
In lei titubo al mare che mi offende,
manca ancora il silenzio nella mia vita.
Guardo la terra che scintilla,
l’aria è tanto serena che s’oscura.
E questa che in me cresce
è forse la rancura
che ogni figliolo, mare, ha per il padre.


(Eugenio Montale, Ossi di Seppia/Mediterraneo)
"Giunge a volte, repente". Mediterraneo, il mare come padre 
nei versi di Eugenio Montale. Saul Bellow parlava di essere
sacro, Joyce, invece, di male necessario: la figura del padre 
nella storia della letteratura occidentale ha sempre goduto di 
alterne fortune fra delitti inconsapevoli (versione-Edipo) e
agiografie (versione cristiana).

Oggi leggiamo nella terza sezione, Mediterraneo, di Ossi di seppia di
Eugenio Montale l’ancestrale sentimento di rivolta che lega il poeta
genovese al padre-mare, simbolo di felicità naturale, progenitore di
tutti gli esseri viventi.
Giunge a volte, repente canta il distacco definitivo dal «cuore disumano»
del mare, canta la scelta di un uomo non più disposto ad abbandonarsi
alle giovanili idee della «patria sognata», del «paese incorrotto» sempre
ispirate da quelle paterne acque. Nasce nell’animo che accetta l’esilio
sulla terraferma un sentimento atavico, forse l’unico vero legame
genealogico: la rancura, parola che ci arriva dall’antica tradizione
stilnovista e indica l’odio coperto (rancorem), l’ostilità che ogni figlio
cova per assimilare e oltrepassare il se stesso del futuro ovvero suo padre.




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