I.ITALIA
14. Eugenio Montale
Poeta italiano, premio
Nobel
nasce nel 1896a Genova,
muore nel 1981 a Milano.
Terminata
la prima guerra mondiale Montale inizia a frequentare
i circoli culturali liguri e torinesi. Nel 1927 si trasferisce a Firenze
dove
collabora con l'editore Bemporad. Nella capitale toscana gli
anni precedenti erano stati fondamentali per
la nascita della poesia
italiana moderna.
Ho sostato talvolta nelle grotte
che t’assecondano, vaste
o anguste, ombrose e amare.
Guardati dal fondo gli sbocchi
segnavano architetture
possenti campite di cielo.
Sorgevano dal tuo petto
rombante aerei templi,
guglie scoccanti luci:
una città di vetro dentro l’azzurro netto
via via si discopriva da ogni caduco velo
e il suo rombo non era che un sussurro.
Nasceva dal fiotto la patria sognata.
Dal subbuglio emergeva l’evidenza.
L’esiliato rientrava nel paese incorrotto.
Così, padre, dal tuo disfrenamento
si afferma, chi ti guardi, una legge severa.
Ed è vano sfuggirla: mi condanna
s’io lo tento anche un ciottolo
róso sul mio cammino,
impietrato soffrire senza nome,
o l’informe rottame
che gittò fuor del corso la fiumara
del vivere in un fitto di ramure e di strame.
Nel destino che si prepara
c’è forse per me sosta,
niun’altra mai minaccia.
Questo ripete il flutto in sua furia incomposta,
e questo ridice il filo della bonaccia.
(Eugenio Montale, Ossi di Seppia/Mediterraneo)
al poeta non resta che sperimentare il contatto con il mare nelle spelonche
che questo scava sulla
costa Ultimo punto prima del panismo totale, dato verosimilmente
dall'immersione in acqua, le grotte sono un altro luogo in
cui si può osservare la potenza dei flutti. Consapevole della millenaria
forza necessaria per
scavare le rocce, il poeta decide di addentrarsi tra di
esse:da qui trarrà un racconto
della propria esperienza. Una volta nella
spelonca le onde regalano un incredibile momento rivelatore, l'emersione
di una città perduta (forse la platonica Atlantide), mediata dall'opera di
Claude Débussye dal linguaggio
architettonico, diventa la massima
espressione del mare,tramite la quale all'io lirico viene proposta una
“patria”, dall'aspetto sfavillante e incredibilmente puro, che seduce
l'“esiliato”, il quale, alla sola contemplazione,sente di aver finalmente
trovato il suo
luogo di appartenenza. il mare
guadagna qui l'appellativo
di “padre”,
per rinviare all'ideale della protezione e della comprensione,
contrapposto con
forza all'esilio nella natura
matrigna che causa il “male
di vivere”
dell'io lirico.Improvvisamente, però, il
perfetto moto ondoso
mette in risalto un dettaglio tipico della Liguria
montaliana: i “rottami”,
simbolo
del rigetto e conferma della legge marina. L'io lirico affronta
allora la verità per cui, così
come ci si unisce al mare, da esso si può venir
separati, per sua stessa
volontà. Ecco allora il bivio: l'abbandono al
mare, corrispondente alla “sosta” (cioè la fine del divenire snervante, della
mutabilità
della natura e l'affidamento ad un principio assolutore) oppure
la “minaccia”
che l'esistenza comporta (il “male di vivere”), confermati
l'uno dal vitalismo del mare e l'altro dalla quiete del vento,che negli
Ossi corrisponde
all'assenza di vita.
Struttura metrica:
ventinove versi di varia tipologia con prevalenza di versi
lunghi (è addirittura presente un
tridecasillabo), forse a indicare
la grandezza delle costruzioni che il mare fa emergere dal
proprio ventre,
espressa quindi tramite una magniloquenza di versi. Sono
presenti diversi enjanbéments,incastonati sulla
lunghezza dei versi, e rime
sparse, più
frequenti rispetto
alle altre liriche.
Forse per Montale è opportuno precisare con una serie di note
il lessico ,spesso prezioso e raro,e la
sintassi,spesso inconsueta nell’uso
corrente,,quindi di
difficile traduzione per i miei amici lettori sparsi negli
angoli più diversi del pianeta.
1.
Ho sostato
talvolta nelle grotte
3.
o anguste, ombrose e amare.
4.
Guardati dal
fondo gli sbocchi
5.
segnavano architetture
7.
Sorgevano dal
tuo petto
8.
rombante aerei templi,
9.
guglie scoccanti luci:
11.
via via si
discopriva da ogni caduco velo
13.
Nasceva dal fiotto la patria sognata.
14.
Dal subbuglio emergeva l'evidenza.
16.
Così, padre, dal tuo disfrenamento
18.
Ed è vano
sfuggirla: mi condanna
19.
s'io
lo tento anche un ciottolo
20.
róso sul mio
cammino,
22.
o l'informe rottame
23.
che gittò fuor
del corso la fiumara
25.
Nel destino che si prepara
26.
c'è forse per me
sosta,
28.
Questo ripete
il flutto in sua furia incomposta,
30.
1.
Mi sono fermato a
volte nelle grotte
2.
vicine
a te, ampie
3.
o strette, ombrose e salmastre.
4.
Viste dal fondo, le (loro) uscite
5.
mostravano strutture (di roccia)
6.
grandi e forti con sprazzi di cielo.
7.
Emergevano
dal centro della tua distesa
8.
fragorosa templi che si innalzavano fino al cielo,
9.
guglie che brillavano alla luce del
sole:
10.
una città di
vetro al centro dell'azzurro limpido
11.
poco alla volta
si scopriva da ogni velo (d'acqua) che cadeva
12.
ed il suo rumore
non era altro che un sussurro.
13.
Si scopriva, dalle onde, la città sognata.
14.
Dal caos delle onde risaliva
chiarezza.
15.
L'esiliato
tornava al paese puro.
16.
Così, padre, con questa liberazione impetuosa
17.
diventa
chiara, per
chiunque ti guardi, una legge severa.
18.
Ed è inutile
cercare di sfuggirvi: vedo la condanna,
19.
se
lo prendo, anche in un ciottolo
20.
eroso sul mio
cammino,
21.
sofferenza di pietra senza un'identità,
22.
o lo scarto senza forma
23.
che il moto delle
acque gettò fuori dal fiume
24.
della vita e lo
rese un groviglio di rami ed alghe.
25.
Nel destino che ho davanti
26.
c'è forse per me
una sosta,
27.
nessun'altra minaccia.
28.
Questo ripete la
corrente nel suo furore caotico,
29.
e questo ripete il soffio della bonaccia.
30.
1
Assecondano: l’immagine della grotta marina, che ritornerà altre
voltenella produzione montaliana, è qui simbolo del continuo avvicinamento
al mare. In particolare, la grotta comporta, coerentemente all'eco delle
“lunghe secche” di A vortice s’abbatte, un'amplificazione del rumore
delle onde ed un forte odore salmastro, tratto distintivo del Mediterraneo
montaliano.
versisubito successivi, la
grotta marina si
trasfigura poco alla volta in
una
costruzione architettonica. Inizia qui una metamorfosi la cui idea Montale
deve a Débussy:nel preludio della sua Cattedrale sommersa,il musicista
ricrea una mitica città che risorge dalle
profondità marine, offrendo così
un soggetto artistico a cui Montale
sicuramente non rinuncia. In più, è da
ricordare il mito platonico di Atlantide, la città sommersa simbolo di una
civiltà perduta,
anch'essa custodita dal mare, personificato dal “petto” del
verso
successivo.
mare che la custodivano, affascina incredibilmente
l'io lirico. La stessa
caratteristica (“di vetro”) è presente, oltre che in
diversi componimenti
degli Ossi, anche in Forse un mattino andando,
diventando qui tratto
peculiare della fantastica Liguria montaliana, la quale
vibra di magia in
particolari momenti e rivela nuove conoscenze.
spontanea della città
perduta, custodita dal mare. Da notare l'unicità
dell'avvenimento: come per
favorire l'ammirazione dell'io lirico e
dimostrare la propria potenza, il mare mostra uno dei
tesori nascosti nelle
sue profondità.
Il
motivo del “velo”, poi, vale a
dire della scoperta della realtà che sta
dietro l'apparenza, è ricorrente negli
Ossi (cfr., ad esempio, A vortice
s’abbatte) esi declina qui secondo il seguente movimento:
l'acqua
sollevata dagli edifici,che ritorna all'acqua del
mare, scopre la città
poco alla volta. Da notare è anche il fonosimbolismo, il quale parte
dal “rombo” e ripiega sulla /s/
grazie a “sussurro”.
la progressiva emersione della città marina,
Montale disegna la
ondizione di “equorea
creatura” (presente anche in Falsetto) a cui
aspira per gran parte
degli Ossi: verso dopo verso, la “patria sognata”
prende forma e diventa un' “evidenza” che,
abbandonando la
condizione di “esiliato”,
l'io lirico desidera raggiungere. Sentendosi
sollevato perché il mare sta offrendo un
assenso a tutti i suoi
precedenti desideri
panistici, ritrova la
propria casa, il “paese
incorrotto” che a lungo aveva agognato.
“padre”dato al mare: il desiderio
dell'io lirico si conferma ancora,
quindi, di forte ispirazione dannunziana e propende sempre di
più
verso l'unione con esso siccome è da esso che
è stato divinamente
generato. Ritorna, poi,l'inclinazione ermeneutica
dell'io lirico:
osservando il mare, cerca di comprenderne il senso
profondo,
tant'è che ammette come ciò sia sufficiente per venire a
conoscerne
la “legge severa”, a cui non si può scappare. È dunque
presente,
benché minimo, un ripensamento rispetto alla figura del mare, che
nei prossimi componimenti diventerà sempre più necessario
essenziale del paesaggio ligure montaliano (cfr Scendendo qualche
volta). Qui rappresenta la sconfitta a cui il mare inevitabilmente
obbliga, nonché alla sofferenza
perpetua per l'espulsione dal ciclo
vitale marino: esso è
“róso”, perché è straziato dalla rinsacca,
e ha
perso la propria identità,
diventando soltanto un rifiuto abbandonato
dalle acque, a cui si era affidato. In esso, dunque, l'io lirico teme di
la quale esprime la
durezza del pensiero montaliano, mutuata dal
ciottolo stesso.
Con un'aspra denominazione fonosimbolica che insiste sulla /r/, gli
carti (corrispondenti agli
“ossi di seppia”) non possono che sottostare
anch'esse alla “legge
severa”, venendo quindi espulsi dalle acque
marine e relegati all'infimo stento sulla spiaggia.
da ciò che vede: da un lato, la mitica e seducente
città che il mare
offre, corrispondente alla
“sosta”, ovvero alla cessazione del “male
di vivere”; dall'altro, i
paradigmatici rifiuti che il mare non ha più
oluto con sé,
corrispondenti al monito di questo e quindi alla
“minaccia”. Al momento, l'io lirico sembra
orientato verso l'unione
con il mare, ma è da
notare quanto rabbrividisca osservandone il
“rottame”, cioè lo scarto.
rimandare al dualismo (mediato
da Débussy) che il mare comporta: da
un lato la tempesta,
simbolo di potenza e di pericolosità (trasposta
fonosimbolicamente
dall’insistenza della /f/, che richiama il suono forte
del vento), e dall'altro
la bonaccia, simbolo di stabilità e tranquillità. In
un ultimo slancio ermeneutico, l'io lirico interpreta la “voce”, ma resta
fermo sulla riflessione.
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