venerdì 19 giugno 2020

I.ITALIA 14. Eugenio Montale .l..Potessi almeno costringere






I.ITALIA

14. Eugenio Montale

Poeta italiano, premio Nobel
nasce nel1896 a Genova. 
Muore nel 1981 a Milano.
Terminata la prima guerra mondiale Montale inizia
 a frequentare i circoliulturali liguri  e torinesi.
 Nel 1927 si trasferisce a Firenze dove collabora 
con l'editore Bemporad. Nella  capitale toscana 
gli anni precedenti erano stati fondamentali per
 la nascita della poesia  italiana moderna.

l.Potessi almeno costringere


Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare:
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite.

(Eugenio Montale, Ossi di Seppia/Mediterraneo)

Situato al penultimo posto della silloge Mediterraneo,
questo testo ne esprime,nella forma più compiuta,la 
poetica, che è poi anche quella generale degli Ossi di 
seppia: la ricerca – avvertita come impossibile e tuttavia
perseguita con uno slancio che ha sapore di nostalgia –
d’una parola autentica,di un’espressione assoluta,totale, 
capace di attingere l’essenza inconoscibile della vita. 
“Volevo – scrisse anni dopo Montale – che la mia parola
fosse più aderente di quella di altri poeti che avevo conosciuto.
Più aderente a che? Mi pareva di vivere sotto una campana di
vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale.
Un velo sottile,un filo appena mi separava dal quid definitivo.
L’espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo,di 
quel filo, un’esplosione, la fine del mondo come rappresentazione. 
Ma questo era un limite irraggiungibile. E la mia volontà di
aderenza restava musicale,istintiva, non programmatica”. Si
potrebbe considerare la lirica come la drammatizzazione di 
questa poetica. Montale vorrebbe – e non può – creare una 
lingua e uno stile capace di cogliere l’essenza delle cose, di 
quel mare che è espressione totale e profonda della vita.
vorrebbe cogliere il messaggio segreto nascosto dal “rombo” 
del mare; vorrebbe parole “salmastre”, fatte della sostanza del
mare, in cui natura e arte fossero perfettamente fuse. La cosa 
importante,a questo punto,è che egli evita le seduzioni della 
letteratura, per usare un lessico vicino al quotidiano,con una
ricerca di elementarità che rispecchi un’adesione alle cose, 
nell’attesa umile d’una rivelazione più intima. Lo stile spoglio 
e dissonante corrisponde all’oggetto: alla ricerca di un’armonia
 forse impossibile.




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