giovedì 18 giugno 2020

I.ITALIA 14. Eugenio Montale. i.Noi non sappiamo quale sortiremo .





I.ITALIA

14. Eugenio Montale

Poeta italiano, premio Nobel
nasce nel1896 a Genova,
muore nel 1981 a Milano.
Terminata la prima guerra mondiale Montale inizia a frequentare
 i circoli culturali liguri  e torinesi. Nel 1927 si trasferisce a Firenze 
dove collabora con l'editore Bemporad. Nella  capitale toscana gli 
anni precedenti erano stati fondamentali per la nascita della poesia
italiana moderna.

i.Noi non sappiamo quale sortiremo

Noi non sappiamo quale sortiremo
domani, oscuro o lieto;
forse il nostro cammino

a non tòcche radure ci addurrà
dove mormori eterna l’acqua di giovinezza;
o sarà forse un discendere
fino al vallo estremo,
nel buio, perso il ricordo del mattino.
Ancora terre straniere
forse ci accoglieranno; smarriremo
la memoria del sole, dalla mente
ci cadrà il tintinnare delle rime.
Oh la favola onde s’esprime
la nostra vita, repente
si cangerà nella cupa storia che non si racconta!
Pur di una cosa ci affidi,
padre, e questa è: che un poco del tuo dono
sia passato per sempre nelle sillabe
che rechiamo con noi, api ronzanti.
Lontani andremo e serberemo un’eco
della tua voce, come si ricorda
del sole l’erba grigia
nelle corti scurite, tra le case.
E un giorno queste parole senza rumore
che teco educammo nutrite
di stanchezze e di silenzi,
parranno a un fraterno cuore

sapide di sale greco.

 Eugenio Montale,Ossi di seppia, Mediterraneo -Anno:1925

La poesia come eco dell’eterna voce del mare – 

l’incerto trascorrere della vita – la tensione verso
 l’infinita percezione del mare.Al centro di
Ossi di seppia Montale ha voluto collocare
 le nove poesie di Mediterraneo; questa lirica
 è la sesta del gruppo. Mediterraneo costituisce
<<la serie più riccamente orchestrata e sonora 
del libro,il momento in cui anche un poeta come 
Montale,dotato fin dai suoi inizi di una fortissima 
misura critica di controllo,si abbandona a una 
certa rigogliosa vena>> (M.Forti). 
<<rigogliosità di vena>> significa abbondanza di immagini,
sonorità più “liriche” e musicali, desiderio di comunicare 
un messaggio positivo. Un po’ in tutte le nove poesie della serie 
il poeta si rivolge al mar Mediterraneo: un interlocutore fraterno,
un esempio positivo, un compagno e testimone della sua ricerca. 
Infatti il mare,nell’eterno suo movimento,nella furia o nella bonaccia,
sa rimanere sempre uguale a se stesso e conservare la capacità 
di suggerire immagini di vita sempre nuove.La stuttura della lirica 
si incardina  su  un’antitesi di fondo. Da un lato il mare,
la  sua lezione di vita, tutta  purezza e stabilità: il mare 
è un modello che sa essere distesa insieme vasta  e diversa  
e ad un tempo  fissa. Qui il mare è chiamato al  v.17 padre:
un vocativo di tono religioso,o meglio da preghiera laica.
Dall’altra parte c’è il senso altrettanto forte della precarietà,
del fallimento, del discendere irreparabile della vita fino al buio,
alla morte.Ma pur accorgendosi della propria piccolezza, il poeta
sogna di trascendersi in un’ infinita vastità, quella di cui il mare
è il più eloquente dei simboli.Il testo può essere scisso in due
momenti equivalenti. La prima sequenza (vv.1-15) offre 
una riflessione esistenziale. Dopo il dilemma iniziale 
(Noi non sappiamo, v.1) il testo prospetta uno scenario straordinario:
non tocche radure… dove mormori eterna giovinezza (vv.4-5); 
luoghi intatti, immagini di una vita fedele agli entusiasmi giovanili. 
Tale speranza è però intaccata dalla paura di cadere al fondo 
(vallo estremo, v.7), nel buio, senza neppure il ricordo della luce e
degli entusiasmi iniziali. Vecchiaia e morte si oppongono (è 
un’indicazione del male di vivere montaliano) al mattino della giovinezza.
Alla fine la mente dovrà rinunciare alla poesia, al tintinnare delle
rime. La poesia prende la forma del racconto  di uno scacco, 
del fallimento esistenziale di chi aveva osato sperare. Il discendere 
del v.6 giunge all’approdo finale:il silenzio, la cupa storia che non
si racconta (v.15).Il poeta non rinuncia però alla sua missione. E’ il
tema della seconda sequenza (vv.16-28). Come in certi periodi 
dell’anno nei cortili oggi scuri penetrò il sole,come l’erba grigia 
conserva il ricordo della luce, così egli mantiene la memoria
della grandezza e della luminosità del mare. Montale definisce 
sé e i poeti che gli somigliano api ronzanti: non aquile o uccelli 
d’alto volo, ma umili insetti; non poeti-vati, ma artigiani delle rime
e delle sillabe, poeti di parole senza rumore(v.24). Ma la loro parola 
silenziosa può essere sapida, per chi ne sa cogliere l’energia.I silenzi 
possono contare più della poesia altisonante; il loro messaggio sarà
modesto, non gridato, ma penetrante (sapido) e ben dosato, secondo
i canoni della perfezione greca.Il tutto per i pochi (i cuori fraterni) 
che sanno cogliere la sofferenza e la ricerca di verità espressi 
dal poeta.

Struttura metrica: un’unica strofa di 28 versi tra loro assai diversi;
con  numerose assonanze e rime interne.
 


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