martedì 18 giugno 2019

42.Lunario. Derek Walcott




AMERICA

SANTA LUCIA


La luna in Derek Walcott
         Walcott, figlio di genitori mulatti, vive in prima persona
il conflitto razziale, diviso tra l’amore per la tradizione europea,
  ereditato dal padre, e l’interesse per le proprie origini africane.
“ Alla stregua del crepuscolo, sospeso tra il giorno e la sera,
l’identità del poeta è come divisa fra i due mondi  degli antenati
 africani ed europei”.[1] Ecco allora che nei suoi versi, il moro
 perfido,  diventa un melanconico, sensibile al calar della
luna, o al suo scomparire dietro  le nuvole:

Capre e scimmie[2]
… proprio adesso, un vecchio ariete nero
Sta montando la tua bianca pecorella”
Otello


42.Derek Walcott

Walcott è nato nell’isola di Sainta Lucia, a lungo contesa
 dagli Inglesi e dai Francesi, dove – come lui stesso dice-
“il sole , stanco dell’impero, tramonta” e in questa luce
 risplendono le  Antille, isole- crogiolo, come abbiamo visto,
 di lingue, razze e culture; un ecosistema che sembra
omogeneo e uniforme, ma non lo è. Piuttosto,  una variegata
 diversità e, al tempo stesso, una sorta di organismo unitario
 nella condivisione della drammatica esperienza coloniale. E il
discorso coloniale, come sappiamo,  non scomparve  con il
 crollo degli imperi, anzi l’immaginario -non solo  quello
occidentale - continuò ad esserne fortemente connotato.
            - L’altra metà del mondo è, dunque, abitata  da Calibano[3],
da meticci che vogliono trovare un modo per cantare i propri
uragani[4] e  si nutrono di cultura occidentale per produrre una
cultura diversa, negra. Ma, al contrario di Césaire, Walcott,
 che appartiene ad una generazione successiva, ha un
 atteggiamento  di superamento della ferita coloniale.  Alla
 rabbia sostituisce la malinconia del  senso di perdita, e mostra
 una volontà di mediazione per il recupero della ricchezza creativa
autoctona, attraverso la possibile fusione dei frammenti delle
diverse culture. La battaglia contro l’impero è, per lui, soprattutto
culturale e individua, proprio nell’ opera di contaminazione e
collage, il ruolo dell’intellettuale post-coloniale, come è evidente
 nel discorso di accettazione del Premio Nobel


[…]                                                                                                                         .                                                                                                                                                                                                         
Vergine e scimmia, fanciulla e moro perfido,                                                     
il loro immortale accoppiamento spezza ancora
[ il nostro mondo in due
Per voi  egli è la bestia sacrificale, mugghiante
[ e pungolata
Un toro nero avviluppato in nastri del suo sangue
Eppure il furore che cingeva
Quel turbante color croco e tramonto nella spada
[ sicura come la luna
Non era in lui vendetta razziale nera come pantera
Che invadeva la camera di lei con l’afrore del muschio
[primitivo
Ma orrore per la luna che cambiava
Per il guastarsi di un assoluto,
simile a un frutto bianco,
maturo e sfatto per troppe carezze, ma
[doppiamente dolce.

.
 [1] Derek Walcott,” Capre e scimmie”,  da  Il naufrago e altre poesie (1965), in  Isole /Poesie scelte (1948-2004), Adelphi,2009, a cura di Matteo Campagnoli                                                                    


Forse interessano qui alcuni passaggi del suo famoso
 discorso per il Nobel:
          “Rompete un vaso, e l’amore che rimette insieme
 i frammenti è più forte dell’amore che dava la sua
 perfezione per scontata, quando era integro[….] Questo
rimettere insieme i pezzi rotti è la preoccupazione e il dolore
delle Antille,  […] L’arte delle Antille è questo riaggiustare le
 nostre storie a pezzi, i nostri cocci di lessico, il nostro
arcipelago che diventa sinonimo di pezzi staccati alla
 deriva dal continente d’origine. E questo è il processo esatto
 del fare poesia, o quello che dovrebbe essere chiamato non fare,
 ma ri-fare poesia […] 
          La poesia è un’isola che si stacca dal continente. La lingua
 originale si dissolve per la fatica della distanza come la nebbia
 quando cerca di attraversare l’oceano, ma questo processo
 di  ri-nominare, di trovare nuove metafore, è lo stesso processo
 che il poeta affronta ogni mattina del suo giorno di lavoro,
 costruendo i suoi strumenti come Robinson, mettendo insieme
 parole per necessità […]
         Questa è la base dell’esperienza delle Antille, questo
 naufragio di frammenti, questi echi, questi cocci di un
 enorme vocabolario tribale, queste tradizioni parzialmente
ricordate, e non morte, ma forti”.  
  Insomma all’opera di guastatore di Césaire, - Walcott
sostituisce, dunque,  la sua opera  di pacificazione e di
contaminazione del linguaggio, nella convinzione che 
“[...]il linguaggio è qualcosa che supera in grandezza i
propri  padroni e i propri servitori[...] e la poesia, che ne
 è  la massima espressione, arricchisce gli uni e gli altri e
questo  diventa un modo per conquistare un’identità che
 scavalca tutti i confini.[...]il poeta è davvero come un uccello
che canta senza guardare il ramo su cui si posa, qualunque
 sia  il ramo, sperando che ci sia qualcuno ad ascoltarlo, anche
 se sono soltanto le foglie[5]”. In326 poesie dal mondo per
una  storia d’amore


In326 poesie dal mondo per una storia d’amore
Onyx ed.e.book
a cura di Maria Gabriella Bruni e Isabella Nicchiarelli





[1] Cfr. Cristina Benicchi, La letteratura caraibica contemporanea, Bononia University Press, 2010; pagg.141-142
.
[3] Cfr. La Tempesta di William Shakespeare. Calibano, lo schiavo selvaggio e ribelle, e Ariel, spirito dell’aria, sono i due servi di Prospero, signore dell’isola.
[4] Cfr.Braithwaite: ”Le popolazioni caraibiche  erano obbligate a usare una lingua buona per poter descrivere una nevicata, ma non un uragano”.

[5] Cfr Iosif Brodskij, p. 20, in D.W, “Mappa del Nuovo Mondo”, op. cit.

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