mercoledì 12 giugno 2019

36.Lunario.Catherine Lalonde




 AMERICA


QUEBEC



La luna in Catherine Lalonde

La luna della poetessa québecoise  ha perso tutto il suo fascino,
svilita com’è a sostituire solitaria quella palla di Natale che non è
appesa alla finestra in una terra che risente delle ferite non ancora
rimarginate di un passato che è stato un calvario per le donne,
considerate solo riproduttrici ”senza scuola né libri che parlavano
 dei possibili fra bucato Dio e dodici figli”


35. Catherine Lalonde.

Catherine Lalonde nasce a Montréal, Québec, Canada, nel 1974.
Autrice precoce (pubblica il suo primo libro a 16 anni), critica
e poeta, insegna educazione fisica e danza contemporanea.
Nel 2009 le è stato conferito il premio Émile Nelligan.
   Una regione  strana, la provincia del Québec, che attrae
e respinge a un tempo, per il fascino delle molteplici
contraddizioni, eredità di un passato recente, difficile,
povero e chiuso, contro un presente liberato, che però
ne  conserva ancora le cicatrici. È emblematico, a questo
proposito, il testo di Catherine Lalonde[1]:
            Versi che sembrano rappresentare in modo molto
originale  quella realtà, stratificata e composita.
            La poetessa scompone infatti il senso logico e la
costruzione sintattica della frase introducendo enjambements
che la  disarticolano. La comprensione immediata diventa
quindi impossibile. Il lettore è obbligato a compiere un lavorìo
interpretativo per ripristinare la logica della frase. Questo lavorìo
potrebbe  corrispondere al travaglio psicanalitico che lei stessa
ha dovuto  compiere per disfarsi dai traumi, dalle remore, dalle
limitazioni  tramandate da secoli di oppressione della donna
nel suo paese, che pure ama e che le ha lasciato anche teneri
ricordi, che sono  appunto l’oggetto della poesia.


Ti mostro me stessa e la mia decorazione interiore [2]

Ti mostro me stessa e la mia decorazione interiore
i tappeti rosso sesso
e lingua
per accoglierti da re
i bruchi  delle stie gli incendi fertili
le piccole sfere di legno  trascinate dalla corrente
l’aurora boreale la notte in cui Petronilla ha partorito
i cuccioli di terra molle
le immagini rimaste bendate nell’arco della mia infanzia
e il bersaglio della mia morte
io ti mostro la tire[3] la tire Santa
 Caterina
impiastricciata  nelle mie trecce
la collezione di alberi morti di mio padre i gran
falò di San Giovanni che davano riflessi rossi ai capelli
la riserva dei Gran Giardini quella foresta difforme
i suoi alberi bruciati nel mio ventre ma rimasti in piedi
il suolo raro che dovrebbe essere altrove ma
che lascia risalire fossili e ricordi il mio
Giardino personale carne delle
Meraviglie e delle Angosce
la notte appende la sua luna
unica palla di Natale alla tua finestra
io ti mostro a casa mia gli arazzi degli inconsci  
successivi
il palo del calvario piantato nella mia lingua di donna
scheggia trasmessa da donne di prima
le brute senza scuola né libri che parlavano
dei possibili fra bucato Dio e
dodici figli
non godere sui muri
vengo da un paese dove le donne si sgravano ciò
lascia tracce
nodi nei capelli.

[1] La tire Sainte Catherine: sciroppo d’acero, colato sulla neve fino a farne una
granatina candita e appiccicosa che si vende il 25 novembre durante la
festa di Santa Caterina. Oggi anche una caramella di melassa


Catherine Lalonde,”Ti mostro me stessa e la mia decorazione interiore
fr.  Corps  étranger, ©Québec Amérique / La Passe du Vent ,
In Couleur Femmes,
op. cit. Trad. di Maria  Gabriella  Bruni.


In”326 poesie dal mondo per una storia d’amore”
Onyx ed.e.book.
a cura di Maria Gabriella Bruni e Isabella Nicchiarelli






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