AMERICA
QUEBEC
La luna in Catherine Lalonde
La
luna della poetessa québecoise ha perso
tutto il suo fascino,
svilita
com’è a sostituire solitaria quella palla di Natale che non è
appesa
alla finestra in una terra che risente delle ferite non ancora
rimarginate
di un passato che è stato un calvario per le donne,
considerate
solo riproduttrici ”senza scuola né libri
che parlavano
dei
possibili fra bucato Dio e dodici figli”
35. Catherine Lalonde.
Catherine
Lalonde nasce a Montréal, Québec, Canada, nel 1974.
Autrice
precoce (pubblica il suo primo libro a 16 anni), critica
e
poeta, insegna educazione fisica e danza contemporanea.
Nel
2009 le è stato conferito il premio Émile Nelligan.
Una regione
strana, la provincia del Québec, che attrae
e
respinge a un tempo, per il fascino delle molteplici
contraddizioni,
eredità di un passato recente, difficile,
povero
e chiuso, contro un presente liberato, che però
ne conserva ancora le cicatrici. È emblematico,
a questo
proposito,
il testo di Catherine Lalonde[1]:
Versi
che sembrano rappresentare in modo molto
originale quella
realtà, stratificata e composita.
La poetessa scompone infatti il
senso logico e la
costruzione sintattica
della frase introducendo enjambements
che
la disarticolano. La comprensione
immediata diventa
quindi
impossibile. Il lettore è obbligato a compiere un lavorìo
interpretativo
per ripristinare la logica della frase. Questo lavorìo
potrebbe corrispondere al travaglio psicanalitico che
lei stessa
ha
dovuto compiere per disfarsi dai traumi,
dalle remore, dalle
limitazioni tramandate da secoli di oppressione della donna
nel
suo paese, che pure ama e che le ha lasciato anche teneri
ricordi,
che sono appunto l’oggetto della poesia.
Ti mostro me stessa e la mia
decorazione interiore [2]
Ti mostro me stessa
e la mia decorazione interiore
i tappeti rosso sesso
e lingua
per accoglierti da
re
i bruchi delle stie gli incendi fertili
le piccole sfere di
legno trascinate dalla corrente
l’aurora boreale la
notte in cui Petronilla ha partorito
i cuccioli di terra molle
le immagini rimaste bendate nell’arco della mia
infanzia
e il bersaglio della mia morte
io ti mostro la tire[3] la
tire Santa
Caterina
impiastricciata
nelle mie trecce
la collezione di alberi morti di mio padre i gran
falò di San Giovanni che davano riflessi rossi ai
capelli
la riserva dei Gran Giardini quella foresta
difforme
i suoi alberi bruciati nel mio ventre ma rimasti in
piedi
il suolo raro che dovrebbe essere altrove ma
che lascia risalire fossili e ricordi il mio
Giardino personale carne delle
Meraviglie e delle Angosce
la notte appende la sua luna
unica palla di Natale alla tua finestra
io ti mostro a casa mia gli arazzi degli
inconsci
successivi
il palo del calvario piantato nella mia lingua di
donna
scheggia trasmessa da donne di prima
le brute senza scuola né libri che parlavano
dei possibili fra bucato Dio e
dodici figli
non godere sui muri
vengo da un paese dove le donne si sgravano ciò
lascia tracce
nodi nei capelli.
[1] La tire Sainte Catherine: sciroppo d’acero,
colato sulla neve fino a farne una
granatina candita e appiccicosa che si vende il 25 novembre durante la
festa
di Santa Caterina. Oggi anche una caramella di melassa
Catherine
Lalonde,”Ti mostro me stessa e
la mia decorazione interiore
fr. Corps étranger, ©Québec
Amérique / La Passe du Vent ,
In Couleur Femmes,
op. cit. Trad. di Maria
Gabriella Bruni.
In”326 poesie dal mondo per una storia d’amore”
Onyx ed.e.book.
a cura di Maria Gabriella Bruni e Isabella
Nicchiarelli
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