Donna allo specchio[1]
Non sono la donna del
treno
che si infila tra le
gambe la tua mano
e poi guarda fuori dal
finestrino
Non sono la donna con i capelli color henné
in una strada di
città, che senza una parola
ti chiama con un
cenno, ti chiama.
e neppure la donna
allo specchio
che ti guarda mentre
la guardi
e il vetro si appanna di fumo.
non sono la donna che
ti stringe
mentre invochi i nomi
di amanti perdute
come farai col mio.
Quella donna:
ripiegata, che ti
offre il sesso
come una testa
d’aglio, in cambio di niente;
quella che non lascia
impronte,
che si nasconde
nell’amuleto della tua protezione;
quella circondata dai
fotografi
che stampano il suo
duttile sorriso, la sua pelle:
quella donna.
Mi metto da parte e la osservo,
vergine – vedova,
bruciare sulla tua pira.
Acrobata che cade in
una rete di cenere
tra le fiamme la sua
bocca gocciola cera,
le sopracciglia si
scorticano
il sesso scuce i suoi
specchietti
La tua donna: cugina,
sorella gemella.
tu vuoi che bruci,
distante, muta.
io voglio salvarle la
lingua, strapparla.
Con Ingrid de Kok
infine sembra di poter concludere su una dimensione culturale che, più
che africana o occidentale, rappresenti
la globalizzazione della lotta delle donne per una condizione paritaria,
la sensibilità poetica di un autore che,
più che della linfa della sua terra o delle sue esperienze esistenziali oltre i
suoi confini, si sia nutrita delle sofferenze e
maturata con le tensioni del suo genere, gettando fertili semi di parole
nel campo della storia per un futuro in cui
tutti i generi possano raccogliere frutti più dignitosi e maturi.
[1] Ingrid de Kok,”Donna allo specchio”, da Mappe del corpo , a cura di Paola
Splendore, Donzelli, 2008.
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