Belgio
17.LO SPECCHIO IN GUY
GOFFETTE
E siamo all'oggi .in Guy Goffette lo specchio è arrugginito e sembra capace di
nulla resta dell'impalcatura della notte e delle calde meraviglie del sogno
Guy Goffette
La poésie est le journal intime d'un animal marin qui est sur terre et qui veut voler
L’autore de "La Vie promise" è uno dei poeti contemporanei più importanti. E'
inoltre romanziere e saggista. Ha consacrato opere di empatia a Verlaine, Auden,
Becker e Bonnard e, nella sua poesia dalla caratteristica limpidezza, la vertigine
metafisica procede più spesso dal quotidiano e dalla malianconia. Quando non
apre il "cammino fremente, vertiginoso, fruttato dell’infanzia e il suo gusto
violento di vivere nella fuggitiva bellezza delle cose."...
Becker e Bonnard e, nella sua poesia dalla caratteristica limpidezza, la vertigine
metafisica procede più spesso dal quotidiano e dalla malianconia. Quando non
apre il "cammino fremente, vertiginoso, fruttato dell’infanzia e il suo gusto
violento di vivere nella fuggitiva bellezza delle cose."...
La poesia di Guy Goffette non si commenta: la si respira. Capace di creare
spazi d’attenzione e tensione all’interno del silenzio, è il discreto
architetto di stanze fatte di respiro dalle quali affacciarsi per riprendere il
filo col tempo che ci spoglia (e dal quale viene spogliato egli stesso), stanze
nelle quali è ripetuto l’invito a soggiornare non per interrompere un cammino o
disertarlo, ma per celebrare lo sposalizio tra realtà e ricordo, tra illusione
e una vita promessa, dove il futuro è il richiamo a disegnare le figure dei
giorni andati, presenti e che verranno. Un compito non facile, un percorso
chiaro e già perfettamente delineato sin dalla raccolta d’esordio Rosso
quotidiano e perseguito in oltre venti raccolte poetiche e cinque romanzi.
La poesia delle opere successive, da La vita promessa (Gedit,
Bologna 2004), per esempio, a Elogio per una cucina di provincia, a Un
mantello di fortuna, è una poesia diretta, immediata, che cerca la
chiarezza stilistica e d'immagine. C'è un grande slancio comunicativo, un
tentativo di sfruttare al massimo le potenzialità iconiche della parola, quasi
costringendola a prendere la forma delle cose, ad abbracciarle.Guy Goffette, Elogio per una cucina di provincia
dalla Prefazione di Fabiano Alborghetti
Ha definito Nomadie "Un ritorno alle sorgenti della mia voce".
Traducendolo ho così voluto risalire anche io alle sorgenti di una voce che
da qualche anno amo, ascolto, riascolto, per cercare di coglierne anche le
più nascoste sfumature.
Alla
sorgente l'acqua nasce in spinta, poi s'intorbida, discende, scorre.
Nel gorgo, nel punto di passaggio rispetto alla produzione poetica più
recente di Goffette, si situa Nomadie.
Nel gorgo, nel punto di passaggio rispetto alla produzione poetica più
recente di Goffette, si situa Nomadie.
Alcuni dei temi portanti che emergono con più costanza e vigore sono
la nostalgia, l’infanzia, la difficoltà d’amare, la poesia dei luoghi come
anche (o soprattutto) la verità, tormentata o gioiosa che sia, temi che per
alcune raccolte sono divenuti i cardini sui quali schiudere le porte della
parola: in Nomadia era l’attacco a una casa “prigione” quanto un ritorno
alle sorgenti della voce; in Assolo d’ombre sono peregrinazioni assorte;
poesie d’amore, spiritualità o morte per La vita promessa ; la durezza
della vita cittadina in Un mantello di fortuna oppure la rievocazione
della cucina di campagna come luogo originario, il principio al quale
ritornare e dove trovare salvazione in questo splendido Elogio per una
cucina di provincia.
La "Nomadia" è un luogo dello spirito, è il luogo da cui tutto
prende inizio. la nostalgia, l’infanzia, la difficoltà d’amare, la poesia dei luoghi come
anche (o soprattutto) la verità, tormentata o gioiosa che sia, temi che per
alcune raccolte sono divenuti i cardini sui quali schiudere le porte della
parola: in Nomadia era l’attacco a una casa “prigione” quanto un ritorno
alle sorgenti della voce; in Assolo d’ombre sono peregrinazioni assorte;
poesie d’amore, spiritualità o morte per La vita promessa ; la durezza
della vita cittadina in Un mantello di fortuna oppure la rievocazione
della cucina di campagna come luogo originario, il principio al quale
ritornare e dove trovare salvazione in questo splendido Elogio per una
cucina di provincia.
E da qui prende inizio anche la poesia di Goffette, piena della nostalgia per
un nondove che è luogo dell'anima, della sua riappacificazione, idealmente
realizzata nel regno dell'infanzia, quella "vita promessa" da sempre negata
e sempre presente come confluenza del passato nella contingenza, e come
attesa del futuro. La Nomadia è il luogo salvifico, un territorio senza confini
che offre rifugio dalla limitatezza delle quattro pareti di una casa divenuta
prigione, e che pare essere sinonimo anche della società stessa, delle
convenzioni che la informano, privando spesso l'individuo della sua libertà.
Di quella libertà che Goffette cerca nel dentro, nel suo rispecchiarsi in un
fuori rivisitato attraverso gli occhi della poesia che riscopre, che crea mille
mondi resi possibili dall'immaginazione o dal ricordo.
C'è come un rovesciamento dell'accezione comune dell'esilio: qui è la casa
il luogo deputato all'espatrio dell'esule, che la propria vera dimora se la
porta sulle spalle. Qui la patria, o terra promessa, è la Nomadia, il luogo
ideale, al di fuori dello spazio e del tempo, l'isola interiore. È l'oasi nel
deserto degli affetti, costretti a una forzata contiguità dalle pareti di una
casa che è una nave incagliata nell'immobilità, il cui abitante sta come un
"cavallo falcato / che non corre più se non con gli occhi", verso la Nomadia,
che è nostalgia di libertà, negata nella "terra sotto sequestro" della casa.
I vagabondi
Questo corpo spalancato prima dell’alba e che la notte
non chiude mai del tutto oh cucina d’infanzia
se lo consegni è passo dopo passo
a chi, nell’ombra come noi,
acconsente a morire lontano dai tuoi fuochi, sulle strade
in mare o più in alto delle nuvole, dopo aver superato
la barriera e spezzato le ultime immagini
che lo tenevano per i capelli.
Furono i tuoi ospiti a sorpresa, i tuoi operai
dell’ultima ora, questi amanti che la pioggia porta via
con la sabbia dei lampi
verso un mare più vasto e inutile, e tutti
ora che l’impalcatura del sogno è caduta
con la notte, e non resta che attendere
tutti, ricordano il tuo ventre, le tue ginocchia
i tuoi occhi fuggiti nella luce dolce d’inverno
il tuo calore di cagna
e il tuo giardino colmo di muschio dai profumi intrecciati
come i boccoli degli angeli nell’abetaia di mezzanotte.
Oh memoria, bella prigioniera del vento
che nessuno nella sua disfatta disfa
neppure se ha perduto il nome e la donna e la follia
memoria, nostro unico bagaglio in questo luogo senza radici
(ma che altro opporre all’angoscia che ci serra
gli uni contro gli altri, eppure tutti estranei
e ben più solitari di un bosso crocifisso
nell’estate infernale dei granai, sì, quale altro filo
per non cedere nel labirinto
all’arida esistenza delle mummie?)
O cucina talmente aperta e così calda nel tuo dolore
da sempre, per tutto il tempo, da poter dire Andate pure
a vedere se mi trovate altrove, in un moto di stizza
sappiamo che sei là, che aspetti come la notte
l’esaltazione delle voci, delle grida e la tavolata dove,
come un cuore attaccato al mestolo che versa
la primavera nei piatti, sorridi
alle ombre dello specchio arrugginito e ti perdi
nei passi di allora nei ricordi bianchi o neri
nell’odore persistente dei lillà che blocca il corridoio
come una stanza chiusa per sempre dove sfilano
uno dopo l’altro gli amati defunti e gli altri
per esempio chi è fuggito in Abissinia ad abbracciare
una rosa viva – pena perduta – e chi
è impazzito per amore di un cavallo, tutti
attorno alla tavola tu li raduni
come i seni, la testa, le gambe, le due ali
della casa, senza scordare quale fu la parte di ciascuno:
l’acqua, il sale, la zuccheriera e i piatti
– e così trascorre il tempo, il fuoco è spento
le ombre hanno un viso inconsolabile di nuovo
Pazienza! Ricostruisci per i boschi che gemono
e per la conta muta della scala
pezzo per pezzo, questo puzzle rimasto così a lungo sparpagliato.
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