domenica 19 aprile 2015

O.Paz:frammenti di traduttori a confronto.47



Octavio Paz






































Difficile definire un’anima buttandolgli addosso giudizi troppo veloci; il rischio  è di perdere le sfumature di cui ci arricchisce ogni quotidianità,a maggior ragione quella di un poeta: ombre che velano un’esistenza a tratti abbagliata da schegge di luci.La ricerca,nella voce di un poeta della sua singolarità, che lo consegna al futuro, è una inconsapevole  violenza che per amore si compie sull’eredità che le sue mani ci hanno lasciato.
Le mani, già…le sue  mani…
“Le mie mani
aprono la cortina del tuo essere
ti vestono con altra nudità
scoprono i corpi del tuo corpo
le mie mani
inventano un altro corpo al tuo corpo […]”
(da Toccare, traduzione di G. Bellini)
perché mani come quelle di Octavio Paz hanno carezzato, reinventandolo, il volto fiero della letteratura messicana.
Nasce il 31 marzo 1914 a Città del Messico, pubblica giovanissimo, su El Nacional, alcuni testi che riflettono le idee progressiste del padre .Nel 1933 esce la sua prima raccolta in versi, Luna silvestre, seguita, tre anni dopo, da Non passeranno!  - sulla guerra civile spagnola, cui prese parte da studente marxista, militando tra le file dei repubblicani -  e negli anni successivi  Sotto la tua ombra chiara e Radici dell’uomo, Fra la pietra e il fiore, Pietra di sole, Libertà sulla parola, La stazione violenta, Salamandra, Vento intero, Bianco, Versante Est, Poesie (1935-1975), le sue opere principali.Politicamente impegnato, dalla Spagna in cui aveva vissuto dal 1936 al 1939 prendendo parte alla rivoluzione, Paz tornò in Messico dove collaborò alla nascita del giornale di sinistra El Popular, che abbandonò all’indomani del patto di non aggressione firmato dall’Unione Sovietica a favore della Germania nazista.Dopo un periodo negli Stati Uniti, entrò, nel 1944, nel corpo diplomatico messicano e a quel periodo risale la pubblicazione del suo saggio più noto, Il labirinto della solitudine, acuta analisi della storia messicana, come realtà sotterranea, che affonda le radici nel suo stesso passato pre-colombiano; Aquila o sole?, di impronta nettamente surrealista, e L’arco e la lira, limpida espressione del proprio mondo poetico, da lui considerato quasi una terra  incontaminata dal Tempo e dalla Storia. Divenuto ambasciatore in India, si dimise dall’incarico nel 1968 per protesta contro il governo messicano, quando una manifestazione di studenti a Città del Messico, poco prima dell’inizio dei giochi olimpici, fu tramutata in una sanguinosissima repressione dall’esercito regolare.
I riconoscimenti per la sua produzione arrivarono prestigiosi, ricevette premi quali l’ Ollin Yoliztli e il Miguel de Cervantes, e nel 1990 il Nobel per la letteratura, premio che nel 1982 era stato conferito ad un altro celebre sudamericano, Gabriel Garcìa Marquez. Nel 1991 Octavio Paz iniziò la pubblicazione delle sue Opere complete in 15 volumi; il 17 dicembre 1997, pochi mesi prima della morte, inaugurò la Fondazione che porta il suo nome.
Personalità eclettica e animo diretto e schietto, Paz traduce in poesia le incandescenze di una vita goduta e patita, ma costantemente priva di compromessi con i regimi di turno. Rimangono, tra i suoi versi, sparute parole-precipizio consumate da così accanite limature da lasciarle levigate ed essenziali, eppure ruvide nell’insieme ossimorico dei testi che sembrano mutare a ogni nuova lettura,capaci di rovesciare i significati  nei confronti dei lettori e persino delle mani che un tempo li hanno partoriti:
Rigirale,
afferrale per la coda (strillate, puttane),
frustale,
metti zucchero in bocca alle recalcitranti,
gonfiale, palloni, bucale,
succhiagli il sangue e il midollo,
seccale,
castrale,
montale, gallo galante,
torcigli il collo, cuoco,
spennale,
strippale, toro,
bue, trascinale,
falle, poeta,
fa che si inghiottano tutte le loro parole.
(Le parole, da Calamidades y milagros, traduzione di Maria Pia Lamberti)
L’Eldorado si trasforma in una terra di nessuno dove scorre solo il tempo del rimpianto che Paz rivendica esclusivo per la terra natia  nonostante le numerose tappe cosmopolite molto amate del suo percorso :
L’uomo è solo dovunque. Ma la solitudine del messicano, sotto la grande notte di pietra di un altipiano ancora abitato da divinità mai sazie, è molto diversa da quella dell’americano del nord, che vaga in un mondo astratto di macchinari, di concittadini e di precetti morali. Nella valle del Messico l’uomo si sente come sospeso tra cielo e terra e oscilla fra forze opposte e potenze contrastanti, e occhi pietrificati e bocche pronte a divorarlo […]” (da: Il labirinto della solitudine)
E un silenzio messicano si espone oltre il bordo di un dirupo quotidiano e tiene in equilibrio fragile una forza immaginifica e una voce che si genera da sé attraverso gli occhi neonati dei lettori.
Rumori confusi, incerto chiarore.
Inizia un nuovo giorno,
è una stanza in penombra
e due corpi distesi.
Nella fronte mi perdo
In un pianoro vuoto.
Già le ore affilano i rasoi.
Ma al mio fianco tu respiri;
intimamente mia eppur remota
fluisci e non ti muovi.
Inaccessibile se ti penso,
con gli occhi ti tocco,
ti guardo con le mani.
I sogni ci separano
Ed il sangue ci unisce:
siamo un fiume di palpiti.
Sotto le tue palpebre matura
Il seme del sole.
Il mondo
Non è ancora reale,
il tempo è dubbio:
solo il calore della tua pelle è vero.
Nel tuo respiro ascolto
La marea dell’essere,
la sillaba scordata del Principio.
(Prima del principio, traduzione di M. P. Lamberti)
 

“[…]vado per il tuo corpo come per il mondo,
il tuo ventre è una spiaggia soleggiata,
i tuoi seni due chiese dove il sangue
celebra i suoi misteri paralleli,
i miei sguardi ti coprono come edera,
sei una città che il mare assedia,
una muraglia che la luce divide
in due metà color di pesca,
un luogo di sale, roccia e uccelli
sotto la legge del meriggio assorto,
vestita del colore dei miei desideri
vai nuda come il mio pensiero […]
(da Pietra di sole, traduzione di G. Bellini)

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