venerdì 17 aprile 2015

Octavio Paz in italiano.45




Octavio Paz















VRINDÃVAN


Circondato dalla notte
fogliame immenso di rumori
grandi cortine impalpabili
aliti
scrivo mi fermo
scrivo
(Tutto c'è e non c'è
tutto frana in silenzio
sulla pagina)
Pochi istanti fa
correvo in macchina
tra case spente
Correvo
tra i miei pensieri accesi
In alto le stelle
giardini serenissimi
Ero un albero e parlavo
coperto d'occhi e di foglie
Ero il mormorio che avanza
lo sciame di immagini
(Ora traccio alcuni segni
increspati
nero su bianco
giardinetto di lettere piantato
alla luce di una lampada
L'auto correva
per i rioni sopiti io correvo
dietro ai miei pensieri
miei e degli altri
Reminiscenze sopravvivenze figurazioni
nomi
I resti delle scintille
e le risate della serata
la danza delle ore
la marcia delle costellazioni
e altri luoghi comuni
Credo negli uomini
o negli astri?
Credo
(qui appaiono i puntini
di sospensione)
Vedo

Portico di colonne erose
statue scolpite dalla peste
la duplice fila di mendicanti
e il fetore
re sul trono
circondato
come fossero concubine
da un viavai d'aromi
puri quasi corporei ondulanti
dal sandalo al gelsomino e i suoi fantasmi
Putrefazione
febbre di forme
febbre del tempo
estasiato nelle sue combinazioni
Coda di pavone l'intero universo
miriadi d'occhi
in altri occhi riflessi
modulazioni riverberazioni d'un occhio unico
un sole solitario
nascosto
dietro il suo manto di trasparenze
la sua marea di meraviglie
Tutto fiammeggiava
pietre acqua donne
Tutto era scolpito
dal colore alla forma
dalla forma all'incendio
Tutto svaniva
Musica di legni e metalli
nella cella del dio
matrice del tempio
Musica
come acqua e vento che si abbracciano
e sopra i suoni allacciati
la voce umana
luna in amore per il mezzodì
scia dell'anima che si disincarna

(Scrivo ignorando l'esito
di ciò che scrivo
Cerco tra le righe
La mia immagine è la lampada
accesa
nel pieno della notte)
Saltimbanco
scimmia dell'Assoluto
scarabocchio
accovacciato
coperto di pallide ceneri
un sadhu mi guardava e rideva
Dalla sua sponda mi guardava
lontano lontano
come i santi e gli animali mi guardava
Nudo sudicio arruffato
un fulmine fisso gli occhi minerali
Volli parlargli
mi rispose con borborigmi
Andato andato
Dove?
in quale regione dell'essere
in quale esistenza all'addiaccio di quali mondi
in quale epoca?
(Scrivo
ogni lettera è un germe
La memoria
rilancia la marea
e il suo mezzodì)

Andato andato
Santo picaro santo
estasi di fame o di droga
Ha forse visto Krsna
albero azzurro e scintillante
sorgente notturna che sgorga nell'arsura
Forse nel taglio di una pietra
palpò la forma femminile
la sua lacerazione
il vortice informe
Per questo o per quello
vive sul molo dove bruciano i morti
Le vie deserte
le case e l'ombre
Tutto era uguale eppur era diverso
L'auto correva
io stavo fermo
fra i miei pensieri in fuga

(Andato andato
Santo pagliaccio santo mendico monarca maledetto
è lo stesso
sempre lo stesso
dentro lo stesso
Essere sempre in se stesso
racchiuso
dentro lo stesso
Chiuso in se stesso
idolo putrefatto)
Andato andato
dalla sua sponda mi guardava
mi guarda
dal suo mezzogiorno senza fine
Sto nell'ora instabile
L'auto corre tra le case
Alla luce di una lampada io scrivo
Gli assoluti le eternità
i loro confini
non sono il mio tema
Ho fame di vita e anche di morte
Conosco ciò in cui credo e lo scrivo
Avvento dell'istante
l'atto
movimento in cui si conforma
e si sfalda l'essere intero
Mani e coscienza per cogliere il tempo
sono una storia
una memoria che s'inventa
Mai sono solo
parlo sempre con te
parli sempre con me
Cammino nel buio e pianto dei segni.



Tratto da "Verso l'inizio" (1964-1968)


Nessun commento:

Posta un commento