martedì 31 marzo 2020

Salvatore Quasimodo.20.Sulle rive del Lambro.




Salvatore Quasimodo
Modica,(20 agosto1901) –
Napoli (14 giugno1968)
E’ stato un poeta e traduttore italiano,
esponente di rilievo dell’ermetismo
Ha contribuito alla traduzione di vari
componimenti dell’età classica ,
soprattutto liriche greche,ma anche
di opere teatrali di Molière e di
William Shakespeare.
E’ stato vincitore del premio Nobel
per la letteratura nel 1959.

XX. SULLE RIVE DEL LAMBRO
Illeso sparì da noi quel giorno
nell'acqua coi velieri capovolti.
Ci lasciarono i pini,
parvenza di fumo sulle case,
e la marina in festa
con voce alle bandiere
di piccoli cavalli.
Nel sereno colore
che qui risale a morte della luna
e affila i colli di Brianza,
tu ancora vaga movendo
hai pause di foglia.
Le api secche di miele
leggere salgono con le spoglie dei grani,
già mutano luce le Vergilie.
Al fiume che solleva ora in un tonfo
di ruota il vuoto della valle,
si rinnova l'infanzia giocata coi sessi.
Mi abbandono al suo sangue
lucente sulla fronte,
alla sua voce in servitù di dolore
funesta nel silenzio del petto.
Tutto che mi resta è già perduto.
Nel nord della mia isola e nell'est
è un vento portato dalle pietre
ad acque amate: a primavera
apre le tombe degli Svevi;
i re d'oro si vestono di fiori.
Apparenza d'eterno alla pietà
un ordine perdura nelle cose
che ricorda l'esilio.
Sul ciglio della frana
esita il macigno per sempre,
la radice resiste ai denti della talpa.
E dentro la mia sera uccelli
odorosi di arancia oscillano
sugli eucalyptus.
Qui autunno è ancora nel midollo
delle piante; ma covano i sassi
nell'alveo di terra che li tiene;
e lunghi fiori bucano le siepi.
Non ricorda ribrezzo ora il tepore
quasi umano di corolle pelose.
Tu in ascolto sorridi alla tua mente:
e quale sole leviga i capelli
a fanciulle in corsa;
che gioie mansuete e confuse paure
e gentilezza di pianto lottato,
risorgono nel tempo che s'uguaglia!
Ma come autunno, nascosta è la tua vita.
Anche tramonta questa notte
nei pozzi dei declivi; e rulla il secchio
verso il cerchio dell'alba.
Gli alberi tornano di là dai vetri
come navi fiorite.
O cara,
come remota, morte era da terra.

da Nuove poesie (1936-1942).

Quasimodo è ormai nella scia dell’uomo nuovo, dell’uomo da rifare come
scriveva nella conclusione di quel primo scritto. Anche nel secondo scritto
sulla poesia “L’UOMO E LA POESIA (1946)”, Quasimodo riprendeva e
riaffermava l’importanza della svolta etica e della poesia che poteva vincere
il dolore e portare la verità al popolo. Così scriveva Quasimodo nello scritto “L’uomo e la poesia” del 1946 “L’uomo vuole la verità dalla poesia, quella
verità che egli non ha il potere di esprimere e nella quale si riconosce, verità delusa o attiva che lo aiuti nella determinazione del mondo, a dare un
ignificato alla gioia o al dolore in questa fuga continua di giorni, a stabilire
il bene e il male, perché la poesia nasce con l’uomo, e l’uomo nella sua verità
non è altro che bene più male”. (Dalla collana Meridiani ). Partendo da queste considerazioni allora Quasimodo non può più fare marcia indietro e guardare
con nostalgia il passato, ma deve guardare in avanti per portare una parola
di chiarezza sulla società che lo circonda e per indicare i veri valori della
società italiana che usciva dalla terribile sconfitta della seconda guerra
mondiale. Deve esprimere anche i valori che erano usciti dalla Resistenza
italiana contro la barbarie nazista. Ora mentre Giorno dopo giorno fu scritto durante l’ultimo biennio della guerra e quindi risente maggiormente degli
orrori e delle azioni di guerra ancora in corso, La vita non è sogno, è un libro
di poesie più distaccato dalla guerra e quindi è un libro più sereno e più
lontano dai sentimenti di pena, di speranza e di dolore, ma è un libro più
vicino al clima di ricostruzione italiana ed esprime così sentimenti positivi
e gli ideali costruttivi della Resistenza e della Ricostruzione da raggiungere
e da indicare al popolo italiano che stava rinascendo da sotto le macerie
della guerra. Sono gli anni famosi dell’aprile del 1948 quando in Italia si
ebbe la dura battaglia tra la DC e il Fronte Popolare (PCI E PSI), con la vittoria
della DC. Quasimodo matura la propria adesione all’Italia ormai sicura di appartenere alla sfera occidentale e quindi di avere uno Stato democratico
e parlamentare
In Giorno dopo giorno (1947) Quasimodo canta il dolore della guerra, la
violenza delle bombe, la solitudine e la paura che derivano dal conflitto.
A questi temi del tutto nuovi si affianca la nota affermazione, nel discorso
del 1946 Poesia contemporanea, che l'«impegno capitale» è ormai quello
di «rifare l'uomo».
La guerra e la violenza vengono rievocate non per un'astratta affermazione
degli ideali di pace e di fratellanza, ma perché in questo preciso momento
storico il poeta si trova a doverne contemplare gli effetti, spaventosi, di
morte e di progressiva disumanizzazione. Emerge l'urgenza di riscoprire
una sensibilità umana, una capacità di commuoversi di fronte alle cose. Il
canto di Quasimodo, che già nelle Nuove poesie aveva iniziato a guardare
al di fuori di sé, mostra il raggiungimento della piena maturità. Il poeta
non rinnega la produzione precedente ma, da questo momento in poi, il confronto con sé stesso è come filtrato anche dalla storia collettiva. La
natura, che tanta importanza aveva avuto nelle raccolte precedenti,
quella forte presenza del mondo naturale, che talvolta era parso tradursi
n qualcosa di avvicinabile addirittura al  panismo dannunziano, ora ,nel
ciclo delle stagioni, nel «riaprirsi del legno in un colore», si fa «saluto della
terra/ umana alle domande» destinate a rimanere senza risposta (Presso
l'Adda). L'io poetico di Giorno dopo giorno e delle raccolte successive
mantiene quindi intatte le sue incertezze esistenziali, ma la sua voce,
«mutata» come avvertivano le Nuove poesie, riesce a guardare oltre.
Senza più rincorrere un'astratta forza assoluta, una sorta di sogno
adolescenziale al di là del tempo e dello spazio, Quasimodo guarda
dentro la realtà. Ecco allora, in La vita non è sogno (1949), il notissimo
Lamento per il Sud, dove il poeta- che vive ormai da anni in Lombardia
canta le strade «nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse» vivendo
un «assurdo contrappunto/ di dolcezze e di furori»; ecco però anche
l'angoscia esistenziale, l'assillo di rivolgersi al «Dio/ dei tumori, Dio del
fiore vivo» chiedendogli di aprire la solitudine dell'uomo «e il suo pianto
geloso del silenzio» 
(Thànatos athànatos).






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