sabato 6 febbraio 2016

Dino Campana.6.NOTTURNI.IL CANTO DELLA TENEBRA


 Altro elemento ricorrente nella poesia di Campana è la notte,tanto che la sezione centrale 
dei Canti Orfici è intitolata NOTTURNI con tutte le loro affascinanti suggestioni.


NOTTURNI

IL CANTO DELLA TENEBRA

La luce del crepuscolo si attenua:
Inquieti spiriti sia dolce la tenebra
Al cuore che non ama più!
Sorgenti sorgenti abbiam da ascoltare,
Sorgenti, sorgenti che sanno
Sorgenti che sanno che spiriti stanno
Che spiriti stanno a ascoltare......
Ascolta: la luce del crepuscolo attenua
Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra:
Ascolta: ti ha vinto la Sorte:
Ma per i cuori leggeri un’altra vita è alle porte:
Non c’è di dolcezza che possa uguagliare la Morte
Più Più Più
Intendi chi ancora ti culla:
Intendi la dolce fanciulla
Che dice all’orecchio: Più Più
Ed ecco si leva e scompare
Il vento: ecco torna dal mare
Ed ecco sentiamo ansimare
Il cuore che ci amò di più!
Guardiamo: di già il paesaggio
Degli alberi e l’acque è notturno
Il fiume va via taciturno......
Pùm! mamma quell’omo lassù!






NOTTURNI

IL CANTO DELLA TENEBRA

La luce del crepuscolo si attenua:
Inquieti spiriti sia dolce la tenebra
Al cuore che non ama più!
Sorgenti sorgenti abbiam da ascoltare,
Sorgenti, sorgenti che sanno
Sorgenti che sanno che spiriti stanno
Che spiriti stanno a ascoltare......
Ascolta: la luce del crepuscolo attenua
Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra:
Ascolta: ti ha vinto la Sorte:
Ma per i cuori leggeri un’altra vita è alle porte:
Non c’è di dolcezza che possa uguagliare la Morte
Più Più Più
Intendi chi ancora ti culla:
Intendi la dolce fanciulla
Che dice all’orecchio: Più Più
Ed ecco si leva e scompare
Il vento: ecco torna dal mare
Ed ecco sentiamo ansimare
Il cuore che ci amò di più!
Guardiamo: di già il paesaggio
Degli alberi e l’acque è notturno
Il fiume va via taciturno......
Pùm! mamma quell’omo lassù!













Un altro tema fondamentale della raccolta è quello del viaggio. L’io lirico si trova spesso in una condizione itinerante, in cui eventi, incontri e spazi sono riportati quasi in serie, anche se poi vengono collegati a una dimensione simbolica più complessa. Il viaggio è il motore tematico di molti testi della raccolta, come ad esempio il celebre Viaggio a Montevideo o l’intera sezione La Verna, strutturata come il diario di un pellegrinaggio ai luoghi francescani. Il viaggio gioca un ruolo importante anche a livello stilistico: l’occhio del viaggiatore registra “l’eterno scorrere degli spettacoli emblematici del mondo”, con una tecnica simile a quella musicale della fuga 11. L’idea dello spostamento, del pellegrinaggio e del vagabondaggio (oltre al retroterra autobiografico del poeta) sono delle componenti fondamentali della poetica e della visione del mondo di Campana:
Il viaggio è per Campana la forma suprema della conoscenza sensoriale e della esperienza umana. Esso, perciò - anche quando ha una meta più o meno precisa, la Verna, Parigi, l’America Latina, - segue il più possibile suoi tempi, suoi ritmi, sue modalità, che non coincidono con quelle di un viaggio normale [...]. Il viaggio è dunque per Campana esperienza di libertà, rottura dei vincoli conoscitivi e culturali imposti dalle situazioni di “partenza” (è il caso di dirlo), apertura illimitata agli orizzonti dell’esperienza. 12

VIAGGIO A MONTEVIDEO.

Io vidi dal ponte della nave
I colli di Spagna
Svanire, nel verde
Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
Come una melodia:
D'ignota scena fanciulla sola
Come una melodia
Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
Illanguidiva la sera celeste sul mare:
Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
Lontani tinti dei varii colori
Dai più lontani silenzi!
Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
Già cieca varcando battendo la tenebra
Coi nostri naufraghi cuori
Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
Ma un giorno
Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
Da gli occhi torbidi e angelici
Dai seni gravidi di vertigine. Quando
In una baia profonda di un'isola equatoriale
In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
Una bianca città addormentata
Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
Nel soffio torbido dell'equatore: finché
Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
Noi lasciammo la città equatoriale
Verso l'inquieto mare notturno.
Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
Gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
Una fanciulla della razza nuova,
Occhi lucenti e le vesti al vento! ed ecco:
selvaggia a la fine di un giorno che apparve
La riva selvaggia sopra la sconfinata marina:
E vidi come cavalle
Vertiginose che si scioglievano le dune
Verso la prateria senza fine
Deserta senza le case umane
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
Del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
Della sera e là le alte case parevan deserte
Laggiù sul mar del pirata
De la città abbandonata
Tra il mare giallo e le dune. . . . . . . . . . . . . . .



11 P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978, p. 279.12 A. Asor Rosa, “Canti orfici” di Dino Campana, cit., p. 538. Un esempio molto significativo è il testo L’incontro di Regolo, in cui il poeta riporta delle fugaci istantanee di un altro vagabondo come lui, Regolo; così i due si salutano: “Voleva partire. Mai ci eravamo piegati a sacrificare alla mostruosa assurda ragione e ci lasciammo stringendoci semplicemente la mano: in quel breve gesto noi ci lasciammo, senza accorgercene ci lasciammo: così puri come due iddii noi liberi liberamente ci abbandonammo all’irreparabile”.







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