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Non seppi
mai come, costeggiando torpidi canali, rividi la mia ombra che mi derideva nel
fondo. Mi accompagnò per strade male odoranti dove le femmine cantavano nella
caldura. Ai confini della campagna una porta incisa di colpi, guardata da una
giovine femmina in veste rosa, pallida e grassa, la attrasse: entrai. Una
antica e opulente matrona, dal profilo di montone, coi neri capelli agilmente
attorti sulla testa sculturale barbaramente decorata dall’occhio liquido come
da una gemma nera dagli sfaccettamenti bizzarri sedeva, agitata da grazie
infantili che rinasce vano colla speranza traendo essa da un mazzo di carte
lunghe e untuose strane teorie di regine languenti re fanti armi e cavalieri.
Salutai e una voce conventuale, profonda e melodrammatica mi rispose insieme ad
un grazioso sorriso aggrinzito. Distinsi nell’ombra l’ancella che dormiva colla
bocca semiaperta, rantolante di un sonno pesante, seminudo il bel corpo agile e
ambrato. Sedetti piano.
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