LA NOTTE.13.
Ero sotto
l’ombra dei portici stillata di goccie e goccie di luce sanguigna ne la nebbia
di una notte di dicembre. A un tratto una porta si era aperta in uno sfarzo di
luce. In fondo avanti posava nello sfarzo di un’ottomana rossa il gomito
reggendo la testa, poggiava il gomito reggendo la testa una matrona, gli occhi
bruni vivaci, le mammelle enormi: accanto una fanciulla inginocchiata, ambrata
e fine, i capelli recisi sulla fronte, con grazia giovanile, le gambe lisce e
ignude dalla vestaglia smagliante: e sopra di lei, sulla matrona pensierosa
negli occhi giovani una tenda, una tenda bianca di trina, una tenda che
sembrava agitare delle immagini, delle immagini sopra di lei, delle immagini
candide sopra di lei pensierosa negli occhi giovani. Sbattuto a la luce
dall’ombra dei portici stillata di gocce e gocce di luce sanguigna io fissavo
astretto attonito la grazia simbolica e avventurosa di quella scena. Già era
tardi, fummo soli e tra noi nacque una intimità libera e la matrona dagli occhi
giovani poggiata per sfondo la mobile tenda di trina parlò. La sua vita era un
lungo peccato: la lussuria. La lussuria ma tutta piena ancora per lei di
curiosità irraggiungibili. «La femmina lo picchiettava tanto di baci da destra:
da destra perché? Poi il piccione maschio restava sopra, immobile?, dieci
minuti, perché?» Le domande restavano ancora senza risposta, allora lei spinta
dalla nostalgia ricordava ricordava a lungo il passato. Fin che la
conversazione si era illanguidita, la voce era taciuta intorno, il mistero
della voluttà aveva rivestito colei che lo rievocava. Sconvolto, le lagrime
agli occhi io in faccia alla tenda bianca di trina seguivo seguivo ancora delle
fantasie bianche. La voce era taciuta intorno. La ruffiana era sparita. La voce
era taciuta. Certo l’avevo sentita passare con uno sfioramento silenzioso
struggente. Avanti alla tenda gualcita di trina la fanciulla posava ancora
sulle ginocchia ambrate, piegate piegate con grazia di cinedo.
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