martedì 4 giugno 2013

Poesia delle Indiane d'America.(15)



Wendy Rose















Wendy Rose[1] .15.



L’opposizione esplicita o sotterranea tra paesaggio urbano   e ambiente naturale riveste molte poesie di una specie di dialogo teso che spesso si estende alla sofferta divisione del mondo tra bianche ed Indiani. E lo status di sanguemisto  costituisce  ,ancor più per le donne,un motivo supplementare di precarietà. Nella poesia di questa autrice mezzosangue  rappresenta una vera parola chiave per capire non solo una discendenza bianca e indiana materna,ma per di più  la mancanza di identità tribale da parte  del padre Hopi per la cui tribù vige il regime matrilineare. La scrittrice sottolinea allora,più che il sentimento di imprigionamento in uno spazio ambiguo tra due mondi,la percezione di non appartenenza e un vuoto di tradizioni. Ma con ostinazione la sua ricerca si concentra  verso ciò che ,dentro di sé,sente vivere come tradizione indiana.,certo senza più sacralità di voci e di spazi. la catena generazionale,l’eredità conseguente non costituiscono uno status acquisito con la nascita,ma il risultato di un lungo e doloroso percorso. La sua storia si rispecchia allora in quei frammenti di oggetti di cui è cosparsa la sua poesia ,quei “cocci di vasellame”,insomma,lasciati dagli antenati,quegli equilibri complessi,difficili,fatti di corrispondenze fra le pari ed il tutto che non appaiono nella condizione più diffusa dell’indiano contemporaneo  .
Afferma un disperato bisogno di parole,che assumono per lei  la funzione di esprimere la sua lotta per  acquisire completezza e integrità culturale.
Per lei il ritorno a casa faticosamente e tenacemente ricostruito  è certamente il villaggio hopi,presente nel suo sangue come “una libellula impazzita”.



Lunga divisione:una storia tribale




La nostra pelle pende cascante
a cavallo di bordi erbosi;
pietre lanciate in alto
ricadenti tra i picchetti,
una grande lacerazione
e squarci che affiorano.
siamo comprati e divisi
nell’argilla dei vasi;moriamo
su patiboli di granito
sui profili delle Sierre
e restiamo supini con le labbra dischiuse
conficcando canti sul mondo.
chi siamo noi,siamo forse
ancora vivi?Il dottore,
addormentato,dice di no.
Così fuori dall’eternità
lottiamo finché il nostro sangue
non si sparga grondando dai nostri corpi
a logorare l’orlo del tramonto.
E’ il nostro sangue che vi dà
questi cieli del Sud Ovest.
Anno dopo anno noi diamo,
arpionati di speranza,solo per cadere
rotolando giù per i canyon,
i nostri canti via via più fievoli
nella lontananza.
allatto coyote
trafitta di dolore.


[1] 1948.Nata a Oakland,da padre Hopi e da madre Miwok,molto attiva in varie organizzazioni indiane che operano in ambito politico e sociale,con un Ph. D. in antropologia,ed è stata docente di american Indian Studies a Berkeley,presso l’Università della California e presso il California State College a Fresno,dove vive.Numerose le sue pubblicazioni di poesie,alcune delle quali comprendono anche i suoi acquerelli.




                                                               (continua)

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