sabato 8 dicembre 2018

Lo specchio in Guy Goffette17


Belgio


17.LO SPECCHIO IN GUY GOFFETTE


E siamo all'oggi .in Guy Goffette lo specchio è arrugginito e sembra capace di
non proiettare che ombre della memoria di un passato perduto, mentre tutt'intorno
nulla resta dell'impalcatura della notte e delle calde meraviglie del sogno

Guy Goffette
La poésie est le journal intime d'un animal marin qui est sur terre et qui veut voler

 L’autore de "La Vie promise" è uno  dei  poeti contemporanei più importanti. E'
inoltre romanziere e saggista. Ha consacrato opere di empatia a Verlaine, Auden,
 Becker e  Bonnard e, nella sua poesia dalla caratteristica limpidezza, la vertigine
metafisica procede più spesso dal quotidiano e dalla  malianconia. Quando non
apre il  "cammino fremente, vertiginoso, fruttato dell’infanzia e il  suo gusto
 violento di vivere nella fuggitiva bellezza delle cose."...


La poesia di Guy Goffette non si commenta: la si respira. Capace di creare spazi d’attenzione e tensione all’interno del silenzio, è il discreto architetto di stanze fatte di respiro dalle quali affacciarsi per riprendere il filo col tempo che ci spoglia (e dal quale viene spogliato egli stesso), stanze nelle quali è ripetuto l’invito a soggiornare non per interrompere un cammino o disertarlo, ma per celebrare lo sposalizio tra realtà e ricordo, tra illusione e una vita promessa, dove il futuro è il richiamo a disegnare le figure dei giorni andati, presenti e che verranno. Un compito non facile, un percorso chiaro e già perfettamente delineato sin dalla raccolta d’esordio Rosso quotidiano e perseguito in oltre venti raccolte poetiche e cinque romanzi.
La poesia delle opere successive, da La vita promessa (Gedit, Bologna 2004), per esempio, a Elogio per una cucina di provincia, a Un mantello di fortuna, è una poesia diretta, immediata, che cerca la chiarezza stilistica e d'immagine. C'è un grande slancio comunicativo, un tentativo di sfruttare al massimo le potenzialità iconiche della parola, quasi costringendola a prendere la forma delle cose, ad abbracciarle.
Guy Goffette, Elogio per una cucina di provincia

dalla Prefazione di Fabiano Alborghetti


Ha definito Nomadie "Un ritorno alle sorgenti della mia voce".
 Traducendolo ho così voluto risalire anche io alle sorgenti di una voce che 
da qualche anno amo, ascolto, riascolto, per cercare di coglierne anche le 
più nascoste sfumature.

Alla sorgente l'acqua nasce in spinta, poi s'intorbida, discende, scorre.
 Nel gorgo, nel punto di passaggio rispetto alla produzione poetica più
recente di Goffette, si situa Nomadie.

Alcuni dei temi portanti che emergono con più costanza e vigore sono
 la nostalgia, l’infanzia, la difficoltà d’amare, la poesia dei luoghi come
anche (o soprattutto) la verità, tormentata o gioiosa che sia, temi che per
 alcune raccolte sono divenuti i cardini sui quali schiudere le porte della
 parola: in Nomadia era l’attacco a una casa “prigione” quanto un ritorno
 alle sorgenti della voce; in Assolo d’ombre sono peregrinazioni assorte;
 poesie d’amore, spiritualità o morte per La vita promessa ; la durezza
 della vita cittadina in Un mantello di fortuna oppure la rievocazione
della cucina di campagna come luogo originario, il principio al quale
 ritornare e dove trovare salvazione in questo splendido Elogio per una 
cucina di provincia.
La "Nomadia" è un luogo dello spirito, è il luogo da cui tutto prende inizio. 
E da qui prende inizio anche la poesia di Goffette, piena della nostalgia per
 un nondove che è luogo dell'anima, della sua riappacificazione, idealmente
 realizzata nel regno dell'infanzia, quella "vita promessa" da sempre negata 
e sempre presente come confluenza del passato nella contingenza, e come 
attesa del futuro. La Nomadia è il luogo salvifico, un territorio senza confini
 che offre rifugio dalla limitatezza delle quattro pareti di una casa divenuta
 prigione, e che pare essere sinonimo anche della società stessa, delle 
convenzioni che la informano, privando spesso l'individuo della sua libertà.
 Di quella libertà che Goffette cerca nel dentro, nel suo rispecchiarsi in un
 fuori rivisitato attraverso gli occhi della poesia che riscopre, che crea mille
 mondi resi possibili dall'immaginazione o dal ricordo.
C'è come un rovesciamento dell'accezione comune dell'esilio: qui è la casa
 il luogo deputato all'espatrio dell'esule, che la propria vera dimora se la
 porta sulle spalle. Qui la patria, o terra promessa, è la Nomadia, il luogo
 ideale, al di fuori dello spazio e del tempo, l'isola interiore. È l'oasi nel 
deserto degli affetti, costretti a una forzata contiguità dalle pareti di una 
casa che è una nave incagliata nell'immobilità, il cui abitante sta come un
"cavallo falcato / che non corre più se non con gli occhi", verso la Nomadia,
 che è nostalgia di libertà, negata nella "terra sotto sequestro" della casa.



I vagabondi


Questo corpo spalancato prima dell’alba e che la notte

non chiude mai del tutto oh cucina d’infanzia

se lo consegni è passo dopo passo

a chi, nell’ombra come noi,

acconsente a morire lontano dai tuoi fuochi, sulle strade

in mare o più in alto delle nuvole, dopo aver superato

la barriera e spezzato le ultime immagini

che lo tenevano per i capelli.

Furono i tuoi ospiti a sorpresa, i tuoi operai

dell’ultima ora, questi amanti che la pioggia porta via

con la sabbia dei lampi

verso un mare più vasto e inutile, e tutti

ora che l’impalcatura del sogno è caduta

con la notte, e non resta che attendere

tutti, ricordano il tuo ventre, le tue ginocchia

i tuoi occhi fuggiti nella luce dolce d’inverno

il tuo calore di cagna

e il tuo giardino colmo di muschio dai profumi intrecciati

come i boccoli degli angeli nell’abetaia di mezzanotte.

Oh memoria, bella prigioniera del vento

che nessuno nella sua disfatta disfa

neppure se ha perduto il nome e la donna e la follia

memoria, nostro unico bagaglio in questo luogo senza radici

(ma che altro opporre all’angoscia che ci serra

gli uni contro gli altri, eppure tutti estranei

e ben più solitari di un bosso crocifisso

nell’estate infernale dei granai, sì, quale altro filo

per non cedere nel labirinto

all’arida esistenza delle mummie?)

O cucina talmente aperta e così calda nel tuo dolore

da sempre, per tutto il tempo, da poter dire Andate pure

a vedere se mi trovate altrove, in un moto di stizza

sappiamo che sei là, che aspetti come la notte

l’esaltazione delle voci, delle grida e la tavolata dove,

come un cuore attaccato al mestolo che versa

la primavera nei piatti, sorridi

alle ombre dello specchio arrugginito e ti perdi

nei passi di allora nei ricordi bianchi o neri

nell’odore persistente dei lillà che blocca il corridoio

come una stanza chiusa per sempre dove sfilano

uno dopo l’altro gli amati defunti e gli altri

per esempio chi è fuggito in Abissinia ad abbracciare

una rosa viva – pena perduta – e chi

è impazzito per amore di un cavallo, tutti

attorno alla tavola tu li raduni

come i seni, la testa, le gambe, le due ali

della casa, senza scordare quale fu la parte di ciascuno:

l’acqua, il sale, la zuccheriera e i piatti

– e così trascorre il tempo, il fuoco è spento

le ombre hanno un viso inconsolabile di nuovo

Pazienza! Ricostruisci per i boschi che gemono

e per la conta muta della scala

pezzo per pezzo, questo puzzle rimasto così a lungo sparpagliato.
 

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