giovedì 31 gennaio 2013

Una traversata quasi epica.



UNA TRAVERSATA QUASI EPICA
         Un’idea apparentemente insensata quella di raggiungere Mosca in volo e da lì compiere in treno la traversata continentale fino a Vladivostock per poi raggiungere Tokyo di nuovo in aereo. Un tempo lento prima di arrivare a destinazione e lì raccogliere idee, materiali e informazioni per un’antologia di poesia giapponese contemporanea, haiku e non solo. Forse un’idea folle,ma di tanto in tanto serve uno scatto eccessivo per ricaricarsi. In questo momento della sua vita, Zoé vuole risettarsi, vuole ritrovare la sua testa e il suo cuore liberi dalle scorie che la stanno affondando. 
        Viaggiare significa tentare un legame con il mondo, cercare di abbattere le distanze, le barriere delle lingue, delle culture e delle religioni diverse, e Zoé, cittadina del mondo, sa che il viaggio comincia attraverso  le parole che può ricevere di nuovo dall’altro, nel momento in cui si è riusciti a vincere l’estraneità, la diffidenza, a entrare in contatto. Purtroppo, da qualche tempo, percepisce un disagio, una difficoltà nuova a stabilire rapporti, a sentirsi integrata. Ha perciò preso quella decisione estrema di seguire la suggestione di compiere in treno la gran parte del viaggio. Per rimettersi in gioco, quasi a ripercorrere le orme di Cendrars.[1]
         Quando all’inizio dell’estate Zoé ha rincontrato Gordon dopo tanti anni ,si è come resa conto , ha visto chiaramente, ben delineata,  la sua solitudine.E tutte le sue inquietudini sono riaffiorate.Tuffarsi nel lavoro non sembra più bastare...
Intanto alla luce livida, emaciata del primo mattino, sfilano dal finestrino  le foreste infinite di betulle, interrotte ora dai grumi grigi delle povere isbe, ora dalle dacie circondate da steccati per trattenere qualche animale. Sembra d’essere proiettati in un quadro di Chagall, dove la babuška  infagottata, fazzoletto in capo e stivali ai piedi, trasporta un secchio con la governa. Di tanto in tanto una fabbrica dismessa a completare l’atmosfera di abbandono e squallore.
       Meglio, molto meglio, guardarsi lì intorno,dentro il vagone, per scoprire  e sentirsi parte di questa umanità viaggiante. Ma non è facile avvicinarsi a questi viaggiatori, alla ricerca di lavoro in terre lontane dalla famiglia, dagli affetti. Talvolta la famiglia è al seguito; allora, donne e bambini sembrano a fatica guadagnare un po’ di spazio per muoversi, sepolti come sono, da montagne di sporte e fagotti. Il treno è, al momento, la loro casa: il samovar per riscaldarsi con il tè, le banchine delle stazioni per procurarsi i poveri pasti, acquistando qualcosa anche dalle contadine che si sono spinte fin lì per vendere i loro prodotti. Presenze goffe, nella essenziale semplicità dei loro gesti, ma anche  misteriose, a modo loro, segrete, perché chiuse in un mondo con una sua storia.  Zoé con il suo zaino, il suo I-pod, il suo libro di poesie e i suoi occhiali, inevitabilmente estranea.
      E poi c’è Borìs. Lui è diverso. Robusto, gli zigomi alti, il mento quadrato, il naso sottile, capelli come la seta, biondi e lucenti. Un volto giovane , ma già segnato dalla fatica di vivere. Di giorno dorme come un masso, steso sulla sua cuccetta , il corpo percorso da impercettibili fremiti, interrotto da sordi brontolii e sospiri spezzati. Di notte il suo silenzio è assoluto, quando fissa per ore al finestrino il buio delle tenebre. Quasi una sfida ostinata a un orizzonte chiuso che lo imprigiona, che lo stringe come una morsa. Personaggio inquietante, difficile da decifrare.
     ‘Che cosa fa nella vita?Da dove viene? Dove è diretto? Ahimè, nessuno sembra poter rompere quel muro di silenzio che lo isola e incute rispetto, nessuno sembra poter penetrare quell’universo e attenuare il drammatico isolamento di Borìs, che gli appartiene  e che egli  sembra voler difendere ad ogni costo. Quali saranno stati i suoi amori? Stravaganti come quelli di Blok? Eccentrici come per Majakovskij? Ossessivi come quelli di Evtushenko?  Teneri come per Pasternàk oppure ardenti e appassionati come quelli di Anna Achmatova?...
       Flash improvvisi si susseguono abbaglianti davanti alla mia mente e mi fanno ritrovare particolari che riemergono da un lungo torpore ed oblio …
     Apro il libro per rileggere di Aleksàndr  Blok[3]:






















Entro nei templi oscuri[4]
Entro nei templi oscuri,
compio un povero rito.
Aspetto la Bellissima Dama
nello scintillio di rosse lampade.

Nell'ombra accanto ad un'alta colonna
tremo al cigolare delle porte.
E mi guarda in viso, illuminata,
soltanto l'immagine, solo la Sua parvenza.

Oh, sono avvezzo a codeste icone
della maestosa Bellissima Dama!
Fuggono in alto per le cornici
sorrisi, favole e sogni.

Oh, Santa, 
Come sono affettuose le candele,
come consolanti sono le Tue fattezze!
Io non sento sospiri né parole,
ma credo, Diletta, che tu sei qui.

        Sì,come ricordavo: un amore mistico, dal gusto un po’ teatrale, che ci permette di accedere alla ritualità fastosa del tempio ortodosso per assistere al conflitto interiore  del Poeta. Il suo amore è sicuro, anche se sordo alle preghiere della tradizione, e salvifico piuttosto attraverso  la via surreale e poetica delle favole e dei sogni che dalle icone  prendono il volo. Oppure..
.Ecco di Vladimir Majakovskij[5] :



















 La  blusa del bellimbusto.[6]
Io mi cucirò neri calzoni
del velluto della mia voce.
E una gialla blusa di tre tese di tramonto.
Per il Nevskij del mondo, per le sue strisce levigate
andrò girellando col passo di Don Giovanni e di bellimbusto.
Gridi pure la terra rammollita nella quiete:
“Tu vieni a violentare le verdi primavere!”
Sfiderò il sole con un sogghigno arrogante:
“Sul liscio asfalto mi piace biascicar le parole!”.
Sarà forse perché il cielo è azzurro
e la terra mia amante in questa nettezza festiva,
che io vi dono dei versi allegri come ninnoli,
aguzzi e necessari come stuzzicadenti.
Donne che amate la mia carne e tu, ragazza
che mi guardi come un fratello,
coprite me, poeta, di sorrisi:
li cucirò come fiori sulla mia blusa di bellimbusto.[7]

      Che atteggiamento smargiasso! Provocante come il colore della sua blusa, quello del grande poeta futurista, fiero della sua voce  scura che può permettersi di storpiare , quando sfida l’amante terra, il tempo, il sole e la natura in tutto il suo splendore. Ironicamente è fiero  dei versi consapevolmente caustici e  “necessari come stuzzicadenti ”  di uno come lui, bisognoso di sensualità e tenerezza  e che rivela la sua fragilità  travestita nella promessa di appuntare come un trofeo di fiori, sulla sua blusa emblematica, i sorrisi che le ragazze sapranno rivolgergli ….
     Bon! Ora le inservienti  passano l’aspirapolvere per tenere pulita la carrozza... ne approfitterò per cercare nel libro quella poesia di Pasternàk del 1917. Ricordo che mi aveva colpita quando la lessi la prima volta . Parla della camera del Poeta, piccola, ma calda e avvolgente, povera ma accogliente e riconoscibile … non certo un’ anonima stanza d’albergo. Tutto è familiare, come i ricordi  dei semplici gesti di quando l’abitava con la sua donna. Gesti di serenità e di gioia beneaugurante come il cinguettio degli uccelli e lo sbocciare dei bucaneve che annunciano la primavera.             Grazie a Lei la sua vita si rinnova come se  lo avesse sfilato dallo scaffale come un libro abbandonato e lo avesse liberato dalla polvere del tempo... La polvere del monolocale dove vivevo con Miguel.. Quanto tempo fa? Una vita!     Ah!Eccola: Borìs Pasternàk[8]























Per superstizione[9]
Scatola con una rossa melarancia
è la mia cameretta.
Oh, non imbrattarsi nelle stanze d'albergo
fino alla bara, fino all'obitorio!
Mi sono qui stabilito di nuovo
per superstizione.
l colore dei parati è marrone come una quercia
 e - mi canta la porta.

Non mi lasciavo sfuggire il chiavistello,
tu sgusciavi via,
e il mio ciuffo sfiorava la bizzarra frangetta
e le tue labbra - le viole.

O vezzosa, in nome di una volta
anche questa volta le tue
vesti cinguettano come un bucaneve
all'aprile "Buongiorno!".

È peccato pensare che non sei una vestale:
sei entrata con una sedia,
hai preso la mia vita come da uno scaffale
e ne hai soffiato via la polvere.

       Lessico semplice, quotidiano,  capace però di evocare la tenerezza della vita di una coppia affiatata.  La sola eccezione alta  è quella  del termine vestale, incastonato in un giro negativo di frase ipotetica,  quasi ad esaltare il tributo di gratitudine che il poeta offre alla compagna che, laica sacerdotessa, è restata con dedizione al suo fianco                
    ...Ed ecco Anna Achmatova[10] con  i suoi amori  impetuosi  e drammatici :






















La passeggiata [11] 
La piuma sfiorò il mantice della carrozza.
Io lo fissai negli occhi.
soffriva il cuore, senza nemmeno sapere
la causa della sua pena.
Sera senza vento, stretta dalla malinconia
sotto la volta del cielo nuvoloso,
il Bois de Boulogne pareva
disegnato su un vecchio album con inchiostro di china.
Odore di benzina e di lillà,
una guardinga quiete...
Di nuovo egli toccò le mie ginocchia
con mano quasi tranquilla.

       Una situazione di sofferenza vaga d'amore sullo sfondo di una Parigi,così cara agli intellettuali russi,il cui grigio rinforza l'atmosfera di  insinuante malinconia.
       Nell'ultima strofa un guizzo olfattivo che anticipa forse una quiete non ancora accertata,poi il gesto rassicurante di quella mano "quasi tranquilla" che torna a sfiorare le ginocchia di lei.E ora:

La porta è socchiusa[12] 
La porta è socchiusa,
dolce il respiro dei tigli...
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.
Il cerchio intorno alla lampada, giallo...
Tendo l’orecchio ai fruscii.
Perché mai sei fuggito?
Non capisco...
Sereno e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è perfetta,
cuore,  sii dunque saggio.
Sei stanco, tanto,
batti più sordo e più lento...
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.
    
  Ancora una volta un amore sofferto. Il contrasto doloroso tra la dolcezza della natura che fa sentire dall’esterno il suo alitare e il segno gelido dell’abbandono di lui all’interno. Speranza di un ripensamento. Smarrimento. Dopo la quartina dell’indecisione, della fluidità di una speranza vana, due quartine ancora in contrasto  tra il saggio razionalismo, che vorrebbe imporsi al cuore  troppo stanco, e il consolatorio affidarsi a “un’immortalità dell’anima per sentito dire”.
        Ma, ecco qualcosa di diverso. Una situazione rovesciata, anche se, nel capovolgimento dei ruoli, sempre la sofferenza d’amore la fa da protagonista.

Strinsi le mani sotto il velo oscuro. [13]...
“Perché sei così pallida oggi?”
Perché d’amara tristezza
l’avevo appena ubriacato.
Come dimenticarlo? Uscì vacillando,
sulle labbra una smorfia di dolore...
Corsi giù per le scale, non toccai la ringhiera,
gli corsi dietro fino al portone.
Soffocando, gridai: “È stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai”.
Lui sorrise tranquillo, duro
e mi disse: “Non restare al vento”.
    
    Una quartina d'apertura per confessare il fatale errore.poi il flash-back per ricordare la dolorosa
 reazione di lui e il precipitoso tentativo riparatore di lei.La quartina finale per dire il congedo irreparabile,tanto più gelido,quanto più civile e segno di autocontrollo recuperato,è la manifestazione della sua  premura per lei.Ogni strofa connotata  da un'efficace immagine dominante:le mani sotto la veletta scura,la discesa precipitosa dalle scale ignorando il sostegno della ringhiera,la replica gentile e indifferente di lui alla sua minaccia di ricatto estremo.
   
 Guardo,scostando le tendine che schermano le finestre,il paesaggio che scorre,mentre le inservienti tornano a riassettare. Chissà se gli amori di Borìs saranno stati esuberanti e possessivi come quello di Evghienij Evtušenko[14] in:

    




















No, di nulla mi serve la metà’[15]
A me – l’intero cielo! La terra tutta - ai miei piedi!
Fiumi e mari e torrenti montani
Miei -  sulla spartizione non sono d’accordo!

No, vita, con una parte tu non mi blandisci.
Per intero tutto! Le spalle ce le ho forti!
Della felicità la metà non voglio
Né del dolore voglio la metà!

La metà di quel cuscino solo voglio,
dove stretto alla guancia con delicatezza,
debole stella, stella cadente,
alla tua mano balugina un anello.

      ...Hélas! Un ciclone bulimico, quello della giovinezza che tutto vuole afferrare, tutto vuole divorare. E l’anafora martella questa energia ingorda fino al dénouement e a una sorta di candida agnizione: il cuscino no, non lo vuole monopolizzare. Anzi, pretende qui la condivisione con la delicata stella dalla mano inanellata, che lancia bagliori … ‘
           E cercando con gli occhi di nuovo Borìs, Zoé si accorge che  non potrà mai sapere nulla dei suoi amori, non potrà mai chiedergli nulla. La sua persona si è dissolta nella notte, notte silenziosa, enigmatica, come quando lui era ancora presente tra di loro. Intanto il treno continua a procedere verso la meta  sferragliando. Nel dormiveglia Borìs e Gordon stranamente si  identificano: due assenze su cui interrogarsi.
           Non potrò mai sapere la risposta. Borìs...Borìs...Gordon...Borìs...Scomparsi...Vorrei...Che fine ha fatto Gordon? Mi manca.  “ C’è sempre un’assenza che mi tormenta ” [16]
           Il treno avanza con lentezza irreale, in un ambiente che per la tempesta di neve si è fatto semisolido, semifluido, che ha il colore del latte e deve pungere con aghi di brina. Le nozioni di tempo e di distanza sono entrambe abolite dal freddo. Allungata sulla cuccetta, Zoé deve essersi assopita un poco. Torna al finestrino a guardare, libri e I-pod sembrano appartenere ad un’altra vita e dimensione. Nel cielo rischiarato ora brillano poche stelle. Il treno è ripartito sulla neve color della luna. Passa il capotreno e  gli chiede notizie.
           -Domani saremo a Vladivostock. È la secca risposta.



[1] Cfr. Blaise Cendrars “ Prose du Transibérien et de la petite Jeanne de France ‘’.Opera‘simultanea’,in parallelo con il dipinto di Sonia Delaunay.
[2] Loreena McKennitt, dall’album ‘The Book of Secrets’, 1997
[3] Aleksàndr Blok:nasce a Varsavia nel 1880 e muore nel 1921.
[4] Datata 25/X/1902. Da: “ Poesia russa del novecento “. A cura di A. M. Ripellino. Guanda ed.1954.
[5]Vladimir Majakovskij nasce a Bagdadi,Georgia, nel 1894 e muore suicida a Mosca nel 1930.
[6]È la famosa blusa gialla che Majakovskij indossava negli anni del cubofuturismo. In realtà le bluse erano due:la prima gialla ;il giallo era considerato il colore del Futurismo;era larga in basso,con il colletto rivoltato,la stoffa sottile,così che attraverso la blusa gialla – che era abbastanza lunga – si vedevano le brache nere … l’altra blusa era a strisce gialle e nere(cfr.Sklovskij).

[7] Di Vladimir Majakovskij, .Datata 1913.Da:”Poesia russa del Novecento”,Op.Cit. Trad.Angelo Maria Ripellino.
[8] Borìs Pasternàk nasce a Mosca nel 1890 e  muore nel 1960. Premio Nobel nel 1958.
[9]Borìs Pasternàc,Per superstizione,datata 1917,da poesia russa del Novecento,op cit.
[10]Anna Achmatova,pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko nasce nel 1889 e muore nel 1966.
[11]Datata 1913/14. Da Rosario.In “Anna Achmatova” A cura di Raissa Naldi.Nuova Accademia ed.1967.
[12] Datata 1911. Da: Sera. Ibidem.
[13] Da: Sera. 1911.Ibidem.                                                                                                                                         
[14] Evghienij Evtušenko nasce a Zima,Siberia, nel 1933. La raccolta di poesie  1952/1990 è pubblicata nel1991.
[15] Datata:1963. Da:”Condannato all’immortalità”, Interlinea ed. Novara.2008,a cura di Evelina Pascucci.
110.Cfr.Camille Claudel in una lettera a Rodin

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