UNA TRAVERSATA QUASI
EPICA
Un’idea apparentemente insensata quella di
raggiungere Mosca in volo e da lì compiere in treno la traversata continentale
fino a Vladivostock per poi raggiungere Tokyo di nuovo in aereo. Un tempo lento
prima di arrivare a destinazione e lì raccogliere idee, materiali e
informazioni per un’antologia di poesia giapponese contemporanea, haiku
e non solo. Forse un’idea folle,ma di tanto in tanto serve uno scatto eccessivo
per ricaricarsi. In questo momento della sua vita, Zoé vuole risettarsi,
vuole ritrovare la sua testa e il suo cuore liberi dalle scorie che la stanno
affondando.
Viaggiare
significa tentare un legame con il mondo, cercare di abbattere le distanze, le
barriere delle lingue, delle culture e delle religioni diverse, e Zoé,
cittadina del mondo, sa che il viaggio comincia attraverso le parole che può ricevere di nuovo
dall’altro, nel momento in cui si è riusciti a vincere l’estraneità, la
diffidenza, a entrare in contatto. Purtroppo, da qualche tempo, percepisce un
disagio, una difficoltà nuova a stabilire rapporti, a sentirsi integrata. Ha
perciò preso quella decisione estrema di seguire la suggestione di compiere in
treno la gran parte del viaggio. Per rimettersi in gioco, quasi a ripercorrere
le orme di Cendrars.[1]
Quando all’inizio dell’estate Zoé ha rincontrato Gordon dopo tanti anni ,si è
come resa conto , ha visto chiaramente, ben delineata, la sua solitudine.E tutte le sue inquietudini sono riaffiorate.Tuffarsi nel lavoro non sembra più bastare...
Intanto alla luce livida, emaciata del primo mattino, sfilano dal
finestrino le foreste infinite di
betulle, interrotte ora dai grumi grigi delle povere isbe, ora dalle dacie
circondate da steccati per trattenere qualche animale. Sembra d’essere
proiettati in un quadro di Chagall, dove la babuška infagottata, fazzoletto in capo e stivali ai
piedi, trasporta un secchio con la governa. Di tanto in tanto una fabbrica
dismessa a completare l’atmosfera di abbandono e squallore.
Meglio, molto meglio,
guardarsi lì intorno,dentro il vagone, per scoprire e sentirsi parte di questa umanità
viaggiante. Ma non è facile avvicinarsi a questi viaggiatori, alla ricerca di
lavoro in terre lontane dalla famiglia, dagli affetti. Talvolta la famiglia è
al seguito; allora, donne e bambini sembrano a fatica guadagnare un po’ di
spazio per muoversi, sepolti come sono, da montagne di sporte e fagotti. Il
treno è, al momento, la loro casa: il samovar per riscaldarsi con il tè, le
banchine delle stazioni per procurarsi i poveri pasti, acquistando qualcosa
anche dalle contadine che si sono spinte fin lì per vendere i loro prodotti.
Presenze goffe, nella essenziale semplicità dei loro gesti, ma anche misteriose, a modo loro, segrete, perché
chiuse in un mondo con una sua storia.
Zoé con il suo zaino, il suo I-pod, il suo libro di poesie e i suoi
occhiali, inevitabilmente estranea.
E poi c’è Borìs. Lui è diverso.
Robusto, gli zigomi alti, il mento quadrato, il naso sottile, capelli come la
seta, biondi e lucenti. Un volto giovane , ma già segnato dalla fatica di
vivere. Di giorno dorme come un masso, steso sulla sua cuccetta , il corpo
percorso da impercettibili fremiti, interrotto da sordi brontolii e sospiri
spezzati. Di notte il suo silenzio è assoluto, quando fissa per ore al
finestrino il buio delle tenebre. Quasi una sfida ostinata a un orizzonte
chiuso che lo imprigiona, che lo stringe come una morsa. Personaggio
inquietante, difficile da decifrare.
‘Che cosa fa nella vita?Da dove
viene? Dove è diretto? Ahimè, nessuno sembra poter rompere quel muro di
silenzio che lo isola e incute rispetto, nessuno sembra poter penetrare
quell’universo e attenuare il drammatico isolamento di Borìs, che gli appartiene e che egli
sembra voler difendere ad ogni costo. Quali saranno stati i suoi amori?
Stravaganti come quelli di Blok? Eccentrici come per Majakovskij? Ossessivi
come quelli di Evtushenko? Teneri come
per Pasternàk oppure ardenti e appassionati come quelli di Anna Achmatova?...
Flash improvvisi si susseguono abbaglianti
davanti alla mia mente e mi fanno ritrovare particolari che riemergono da un
lungo torpore ed oblio …
Entro nei templi
oscuri,
compio un povero
rito.
Aspetto la
Bellissima Dama
nello scintillio di
rosse lampade.
Nell'ombra accanto
ad un'alta colonna
tremo al cigolare
delle porte.
E mi guarda in
viso, illuminata,
soltanto
l'immagine, solo la Sua parvenza.
Oh, sono avvezzo a
codeste icone
della maestosa
Bellissima Dama!
Fuggono in alto per
le cornici
sorrisi, favole e
sogni.
Oh, Santa,
Come sono
affettuose le candele,
come consolanti
sono le Tue fattezze!
Io non sento
sospiri né parole,
ma credo, Diletta,
che tu sei qui.
Sì,come ricordavo: un amore mistico,
dal gusto un po’ teatrale, che ci permette di accedere alla ritualità fastosa
del tempio ortodosso per assistere al conflitto interiore del Poeta. Il suo amore è sicuro, anche se
sordo alle preghiere della tradizione, e salvifico piuttosto attraverso la via surreale e poetica delle favole e dei
sogni che dalle icone prendono il volo.
Oppure..
.Ecco di Vladimir Majakovskij[5] :
La blusa del bellimbusto.[6]
.Ecco di Vladimir Majakovskij[5] :
La blusa del bellimbusto.[6]
Io mi cucirò neri
calzoni
del velluto della mia voce.
E una gialla blusa di tre tese di tramonto.
Per il Nevskij del mondo, per le sue strisce levigate
andrò girellando col passo di Don Giovanni e di bellimbusto.
del velluto della mia voce.
E una gialla blusa di tre tese di tramonto.
Per il Nevskij del mondo, per le sue strisce levigate
andrò girellando col passo di Don Giovanni e di bellimbusto.
Gridi pure la terra
rammollita nella quiete:
“Tu vieni a violentare le verdi primavere!”
Sfiderò il sole con un sogghigno arrogante:
“Sul liscio asfalto mi piace biascicar le parole!”.
“Tu vieni a violentare le verdi primavere!”
Sfiderò il sole con un sogghigno arrogante:
“Sul liscio asfalto mi piace biascicar le parole!”.
Sarà forse perché
il cielo è azzurro
e la terra mia amante in questa nettezza festiva,
che io vi dono dei versi allegri come ninnoli,
aguzzi e necessari come stuzzicadenti.
e la terra mia amante in questa nettezza festiva,
che io vi dono dei versi allegri come ninnoli,
aguzzi e necessari come stuzzicadenti.
Donne che amate la
mia carne e tu, ragazza
che mi guardi come un fratello,
coprite me, poeta, di sorrisi:
li cucirò come fiori sulla mia blusa di bellimbusto.[7]
che mi guardi come un fratello,
coprite me, poeta, di sorrisi:
li cucirò come fiori sulla mia blusa di bellimbusto.[7]
Che atteggiamento smargiasso!
Provocante come il colore della sua blusa, quello del grande poeta futurista,
fiero della sua voce scura che può
permettersi di storpiare , quando sfida l’amante terra, il tempo, il sole e la
natura in tutto il suo splendore. Ironicamente è fiero dei versi consapevolmente caustici e “necessari come stuzzicadenti ” di uno come lui, bisognoso di sensualità e
tenerezza e che rivela la sua
fragilità travestita nella promessa di
appuntare come un trofeo di fiori, sulla sua blusa emblematica, i sorrisi che
le ragazze sapranno rivolgergli ….
Bon! Ora le inservienti passano l’aspirapolvere per tenere pulita la
carrozza... ne approfitterò per cercare nel libro quella poesia di Pasternàk
del 1917. Ricordo che mi aveva colpita quando la lessi la prima volta . Parla
della camera del Poeta, piccola, ma calda e avvolgente, povera ma accogliente e
riconoscibile … non certo un’ anonima stanza d’albergo. Tutto è familiare, come
i ricordi dei semplici gesti di quando
l’abitava con la sua donna. Gesti di serenità e di gioia beneaugurante come il
cinguettio degli uccelli e lo sbocciare dei bucaneve che annunciano la
primavera. Grazie a Lei la
sua vita si rinnova come se lo avesse
sfilato dallo scaffale come un libro abbandonato e lo avesse liberato dalla
polvere del tempo... La polvere del monolocale dove vivevo con Miguel.. Quanto
tempo fa? Una vita! Ah!Eccola: Borìs
Pasternàk[8]
Scatola con una
rossa melarancia
è la mia cameretta.
Oh, non imbrattarsi nelle stanze d'albergo
fino alla bara, fino all'obitorio!
Mi sono qui stabilito di nuovo
per superstizione.
l colore dei parati è marrone come una quercia
è la mia cameretta.
Oh, non imbrattarsi nelle stanze d'albergo
fino alla bara, fino all'obitorio!
Mi sono qui stabilito di nuovo
per superstizione.
l colore dei parati è marrone come una quercia
e - mi canta la porta.
Non mi lasciavo sfuggire il chiavistello,
tu sgusciavi via,
e il mio ciuffo sfiorava la bizzarra frangetta
e le tue labbra - le viole.
O vezzosa, in nome di una volta
anche questa volta le tue
vesti cinguettano come un bucaneve
all'aprile "Buongiorno!".
È peccato pensare che non sei una vestale:
sei entrata con una sedia,
hai preso la mia vita come da uno scaffale
e ne hai soffiato via la polvere.
Non mi lasciavo sfuggire il chiavistello,
tu sgusciavi via,
e il mio ciuffo sfiorava la bizzarra frangetta
e le tue labbra - le viole.
O vezzosa, in nome di una volta
anche questa volta le tue
vesti cinguettano come un bucaneve
all'aprile "Buongiorno!".
È peccato pensare che non sei una vestale:
sei entrata con una sedia,
hai preso la mia vita come da uno scaffale
e ne hai soffiato via la polvere.
Lessico semplice, quotidiano, capace però di evocare la tenerezza della
vita di una coppia affiatata. La sola
eccezione alta è quella del termine vestale, incastonato in un
giro negativo di frase ipotetica, quasi
ad esaltare il tributo di gratitudine che il poeta offre alla compagna che, laica
sacerdotessa, è restata con dedizione al suo fianco
...Ed ecco Anna Achmatova[10] con i suoi amori impetuosi e drammatici :
...Ed ecco Anna Achmatova[10] con i suoi amori impetuosi e drammatici :
La piuma sfiorò il mantice della carrozza.
Io lo fissai negli occhi.
soffriva il cuore, senza nemmeno sapere
la causa della sua pena.
Io lo fissai negli occhi.
soffriva il cuore, senza nemmeno sapere
la causa della sua pena.
Sera senza vento, stretta dalla malinconia
sotto la volta del cielo nuvoloso,
il Bois de Boulogne pareva
disegnato su un vecchio album con inchiostro di china.
sotto la volta del cielo nuvoloso,
il Bois de Boulogne pareva
disegnato su un vecchio album con inchiostro di china.
Odore di benzina e di lillà,
una guardinga quiete...
Di nuovo egli toccò le mie ginocchia
con mano quasi tranquilla.
una guardinga quiete...
Di nuovo egli toccò le mie ginocchia
con mano quasi tranquilla.
Una situazione di sofferenza vaga d'amore sullo sfondo di una Parigi,così cara agli intellettuali russi,il cui grigio rinforza l'atmosfera di insinuante malinconia.
Nell'ultima strofa un guizzo olfattivo che anticipa forse una quiete non ancora accertata,poi il gesto rassicurante di quella mano "quasi tranquilla" che torna a sfiorare le ginocchia di lei.E ora:
La porta è socchiusa[12]
La porta è socchiusa,
dolce il respiro dei tigli...
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.
dolce il respiro dei tigli...
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.
Il cerchio intorno alla lampada, giallo...
Tendo l’orecchio ai fruscii.
Perché mai sei fuggito?
Non capisco...
Tendo l’orecchio ai fruscii.
Perché mai sei fuggito?
Non capisco...
Sereno e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è perfetta,
cuore, sii dunque saggio.
domani sarà il mattino.
Questa vita è perfetta,
cuore, sii dunque saggio.
Sei stanco, tanto,
batti più sordo e più lento...
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.
batti più sordo e più lento...
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.
Ancora una volta un amore sofferto.
Il contrasto doloroso tra la dolcezza della natura che fa sentire
dall’esterno il suo alitare e il segno
gelido dell’abbandono di lui all’interno. Speranza di un ripensamento.
Smarrimento. Dopo la quartina dell’indecisione, della fluidità di una speranza
vana, due quartine ancora in contrasto
tra il saggio razionalismo, che vorrebbe imporsi al cuore troppo stanco, e il consolatorio affidarsi a “un’immortalità
dell’anima per sentito dire”.
Ma, ecco qualcosa di diverso.
Una situazione rovesciata, anche se, nel capovolgimento dei ruoli, sempre la
sofferenza d’amore la fa da protagonista.
Strinsi le mani sotto il velo oscuro. [13]...
“Perché sei così pallida oggi?”
Perché d’amara tristezza
l’avevo appena ubriacato.
Come dimenticarlo? Uscì
vacillando,
sulle labbra una smorfia di dolore...
Corsi giù per le scale, non toccai la ringhiera,
gli corsi dietro fino al portone.
sulle labbra una smorfia di dolore...
Corsi giù per le scale, non toccai la ringhiera,
gli corsi dietro fino al portone.
Soffocando, gridai: “È
stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai”.
Lui sorrise tranquillo, duro
e mi disse: “Non restare al vento”.
uno scherzo. Muoio se te ne vai”.
Lui sorrise tranquillo, duro
e mi disse: “Non restare al vento”.
Una quartina d'apertura per confessare il fatale errore.poi il flash-back per ricordare la dolorosa
reazione di lui e il precipitoso tentativo riparatore di lei.La quartina finale per dire il congedo irreparabile,tanto più gelido,quanto più civile e segno di autocontrollo recuperato,è la manifestazione della sua premura per lei.Ogni strofa connotata da un'efficace immagine dominante:le mani sotto la veletta scura,la discesa precipitosa dalle scale ignorando il sostegno della ringhiera,la replica gentile e indifferente di lui alla sua minaccia di ricatto estremo.
Guardo,scostando le tendine che schermano le finestre,il paesaggio che scorre,mentre le inservienti tornano a riassettare. Chissà se gli amori di Borìs saranno stati esuberanti e possessivi come quello di Evghienij Evtušenko[14] in:
No, di nulla mi serve la metà’[15]
A me – l’intero
cielo! La terra tutta - ai miei piedi!
Fiumi e mari e
torrenti montani
Miei - sulla spartizione non sono d’accordo!
No, vita, con una
parte tu non mi blandisci.
Per intero tutto! Le
spalle ce le ho forti!
Della felicità la
metà non voglio
Né del dolore voglio
la metà!
La metà di quel
cuscino solo voglio,
dove stretto alla
guancia con delicatezza,
debole stella, stella
cadente,
alla tua mano
balugina un anello.
...Hélas! Un ciclone bulimico,
quello della giovinezza che tutto vuole afferrare, tutto vuole divorare. E
l’anafora martella questa energia ingorda fino al dénouement e a una
sorta di candida agnizione: il cuscino no, non lo vuole monopolizzare. Anzi,
pretende qui la condivisione con la delicata stella dalla mano inanellata, che
lancia bagliori … ‘
E cercando con gli occhi di nuovo Borìs,
Zoé si accorge che non potrà mai sapere
nulla dei suoi amori, non potrà mai chiedergli nulla. La sua persona si è
dissolta nella notte, notte silenziosa, enigmatica, come quando lui era ancora
presente tra di loro. Intanto il treno continua a procedere verso la meta sferragliando. Nel dormiveglia Borìs e
Gordon stranamente si identificano: due
assenze su cui interrogarsi.
Non potrò mai sapere la risposta. Borìs...Borìs...Gordon...Borìs...Scomparsi...Vorrei...Che
fine ha fatto Gordon? Mi manca. “ C’è
sempre un’assenza che mi tormenta ” [16]…
Il treno avanza con lentezza
irreale, in un ambiente che per la tempesta di neve si è fatto semisolido,
semifluido, che ha il colore del latte e deve pungere con aghi di brina. Le
nozioni di tempo e di distanza sono entrambe abolite dal freddo. Allungata
sulla cuccetta, Zoé deve essersi assopita un poco. Torna al finestrino a
guardare, libri e I-pod sembrano appartenere ad un’altra vita e
dimensione. Nel cielo rischiarato ora brillano poche stelle. Il treno è
ripartito sulla neve color della luna. Passa il capotreno e gli chiede notizie.
-Domani saremo a Vladivostock. È la
secca risposta.
[1] Cfr. Blaise Cendrars “ Prose
du Transibérien et de la petite Jeanne de France ‘’.Opera‘simultanea’,in
parallelo con il dipinto di Sonia Delaunay.
[2] Loreena McKennitt, dall’album ‘The Book
of Secrets’, 1997
[4] Datata 25/X/1902. Da: “ Poesia
russa del novecento “. A cura di A. M. Ripellino. Guanda ed.1954.
[5]Vladimir Majakovskij nasce a
Bagdadi,Georgia, nel 1894 e muore suicida a Mosca nel 1930.
[6]È la famosa blusa gialla che
Majakovskij indossava negli anni del cubofuturismo. In realtà le bluse erano
due:la prima gialla ;il giallo era considerato il colore del Futurismo;era
larga in basso,con il colletto rivoltato,la stoffa sottile,così che attraverso
la blusa gialla – che era abbastanza lunga – si vedevano le brache nere …
l’altra blusa era a strisce gialle e nere(cfr.Sklovskij).
[7] Di Vladimir Majakovskij, .Datata
1913.Da:”Poesia russa del Novecento”,Op.Cit. Trad.Angelo Maria Ripellino.
[8] Borìs Pasternàk nasce a Mosca nel
1890 e muore nel 1960. Premio Nobel nel
1958.
[9]Borìs Pasternàc,Per
superstizione,datata 1917,da poesia russa del Novecento,op cit.
[10]Anna Achmatova,pseudonimo di Anna
Andreevna Gorenko nasce nel 1889 e muore nel 1966.
[11]Datata 1913/14. Da Rosario.In
“Anna Achmatova” A cura di Raissa Naldi.Nuova Accademia ed.1967.
[12] Datata 1911. Da: Sera. Ibidem.
[13] Da: Sera. 1911.Ibidem.
[14] Evghienij Evtušenko nasce a Zima,Siberia, nel
1933. La raccolta di poesie 1952/1990 è
pubblicata nel1991.
[15] Datata:1963. Da:”Condannato
all’immortalità”, Interlinea ed. Novara.2008,a cura di Evelina Pascucci.
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