sabato 5 gennaio 2013

Il Talento Poetico dei Tuareg.-2-




Carovana nel Sahara.
Il talento poetico dei Tuareg.
[...]Altro atteggiamento quello dell’uomo del deserto, del Tuareg nomade, che soffre la sua condizione solitaria. La vita sociale, fatta essenzialmente di parole, si oppone al silenzio che lo racchiude. Forse anche per questo i Tuareg  tengono in gran conto la poesia. Permette di uscire dal silenzio di un universo senza interlocutori, dove è consentita soltanto una vita sociale con interlocutori immaginari.
           L’autore di poesia si propone come colui che procede  nel silenzio della steppa, senza nessuno con cui parlare , inquieto,verso una donna amata da cui non sa se riceverà favori oppure che va errando  e geme sull’amara solitudine, in cui lo condanna la perfida crudeltà di lei.
         Raggiungere l’amata, quando gli è concesso, è per lui la consolazione, il premio che cancella ogni sofferenza.  Le si rivolge allora con:”...privato della tua presenza mi metteva in una tristezza che mi uccideva”. Risentire il morso della passione è, nella lingua poetica, avere l’anima che brucia, essere roso da una sete crudele. I favori accordati dall’amata  - che si tratti dell’amplesso o di un dolce incontro  nella penombra di una tenda -sono il  modo di rinfrescare l’anima, il rimedio alla sete.
            Il  deserto fa nascere seti  reali e figurate. Talvolta le due seti si confondono e allora si vede il poeta supplicare   che lo si irrori d’acqua, e che gli si dia da bere per placare i suoi tormenti”
Sullo schermo scorre la traduzione di questo nuovo frammento:

“la sua pelle riluce come un campo su un rilievo che domina la pianura[1]
e al di sopra del quale la nuvola  gonfia si è rovesciata, in una pioggia regolare
e  monotona, in mezzo ai lampi e mentre l’acqua scorre  in mille rivoli al suolo,
abbeverando la terra  e lavandola …”

          Ecco allora  il poeta dipanare dolorosi dibattiti interiori, dove i pensieri inquieti che agita e che lo agitano, diventano parole di interlocutori immaginari personificati  come l’Amore, il Tormento.
L’atteggiamento del curatore resta quello distaccato del contemplativo che non si lascia coinvolgere dalla realtà quotidiana. Ma l’attenzione del pubblico e il silenzio assoluto rendono l’attesa palpabile.
         Il Desiderio si presenta sempre come un Demone che gli mormora parole che turbano i sensi, vantando il fascino di una Bella inaccessibile  o ricordandogli perfidamente come gli fu favorevole un tempo. Amore,Tormento, Desiderio possono prendere consistenza fino a impadronirsi delle redini della sua montura!
        E  il pubblico partecipe si volge  e segue curioso lo scorrere della traduzione dei testi sullo schermo:
“… spingo la mia montura ed eccola come se  non fossi più io  ,ma un diavolo imperioso che la conduceva[2]
altrettanto presto che lo farebbe una puledra dalla rapida corsa.
Mi dice: -  Parliamo un po’ di un certo accampamento
tra Sebia e Aselkam?
Dà un colpo di speroni e dice: - Spingi il tuo cammello,
che questo giorno non passi senza che tu abbia gustato la dolcezza di una pelle
 azzurrata d’ indaco e quella di un sorriso, più bello di una stoffa di pregio;
il suo collo porta una collana d’argento e un pettorale cesellato, parures[3] che egli merita;
quando tu alzi  gli occhi, vedi la sua guancia e il sopracciglio accordarsi,
che un angelo sembra aver disegnato con un bastoncino di fard affilato.”
o anche:
“ L’Amore e il Desiderio mi tirano con  una cavezza; dicono[4]: - Peste a quest’uomo che non ha più intelligenza!
Afferra la tua cavalcatura, inforcala mentre tutti riposano,
esci da questo deserto dove regna un fetido odore.
 Ti  condurremo verso una gota  sulla quale si consoleranno le tue pene”.

-Da questi versi, dall’intensità quasi visionaria, facilmente si può scivolare per slittamenti successivi  impercettibili  fino al tema della follia. Insomma una poesia tuareg non è che ‘la canzone del MalAmato’[5]:

“Sono colui che ti ama,l’amore che ho per te[6]
È forte come un tempo ed oggi mi toglie la ragione,
 E mentre la mia anima si lacera,egli mi tormenta e mi consuma;
Non posso restare tranquillo e vado qua e là  senza sapere dove sono;
Tutte le notti vado senza scopo,incapace di  trovare la mia strada,
Seguendo le stelle  che si scorgono nella Via Lattea sull’orizzonte
Così facevo ancora l’ultima notte,all’ora in cui la stella del pastore rende tremulo il suo splendore …”
     
      “Semi  di parole,seminati nel campo della storia e di cui noi raccogliamo i frutti”[7]–continua lo studioso-
        Un testo,trasmesso oralmente dalla viva voce dell’uomo, si costituisce, proprio in quell’istante,  in un  unicum incomparabile. A questa unicità si deve la grande vitalità delle tradizioni orali, pur apparentemente fragili.
       Articolare la parola equivale a quel che fa il vivente di fronte al caos dell’universo. Impone un ordine,per merito della sua vocalità, dello spessore corporeo da cui promana; il linguaggio insomma cerca di orientare: in questo senso, qualcuno arriva ad affermare che “la pratica della parola è, fondamentalmente, poesia.[…] La parola pronunciata si conquista sul silenzio, ne è tratta, vi ritorna, dopo essersi rivelata in mezzo a noi e averci rivelato l’ordine ultimo delle cose[...]”



[1]Da "Graines de paroles".E'crits pour Geneviève Calame -Griaule .éd.du CNRS.1989.Trad dal fr.di M.G.Bruni.
[2]Ibidem.
[3]Ornamenti preziosi.
[4]Da "Graines de paroles".Op.Cit.Trad.dal fr.M.G.Bruni.
[5]Celebre poesia-lamento di Guillaume Apollinaire,poeta francese amicoi pittori cubisti che presentava ai Salons.
[6]da"Graines de paroles".Op.Cit.Trad.di M.G.Bruni.
[7]Ibidem






Nessun commento:

Posta un commento