Joumana Haddad
Albero azzurro
Quando i tuoi occhi incontrano la mia solitudine
il silenzio diventa frutto
e il sonno tempesta
si socchiudono porte proibite
e l’acqua impara a soffrire.
Quando la mia solitudine incontra i tuoi occhi
il desiderio sale e si spande
a volte marea insolente
onda che corre senza fine
nettare che cola goccia a goccia
nettare più ardente che un tormento
inizio che non si compie mai.
Quando i tuoi occhi e la mia solitudine si incontrano
mi arrendo nuda come la pioggia
generosa come un seno sognato
tenera come la vite che matura al sole
molteplice mi arrendo
una brace in ogni occhio
finché nasca l’albero del tuo amore
tanto alto e ribelle
tanto alto e tanto mio
freccia che ritorna all’arco
palma azzurra piantata nelle mie nuvole
cielo crescente che niente fermerà.
Joumana Haddad
(Traduzione di Oriana Capezio)
«Non so se si possono ‘definire’
veramente, le caratteristiche di una poetica, spesso troppo lunatica e capricciosa
(almeno cosi la vedo io) per accettare di essere definita. Comunque direi che
nel mio caso essa risiede soprattutto nella fisicità della parola e nella
chimica del fuoco; nel rifiuto di delimitarsi, rassegnarsi e stabilirsi; nella
libertà assoluta (e terrorizzante) di una mutabilità continua, di una
precarietà minacciosa; nel non voler essere lineare, prevedibile e afferrabile:
insomma, nell’esercizio dell’inquietudine, e nella disciplina della ricerca:
l’inquietudine come motore di vita, e la ricerca come un perseguimento
palpabile di me stessa, cioè del mondo, del ‘tutto’, attraverso la cellula più
piccola, più insignificante, dell’io. Perciò quest’atto di scrivere con le
unghie, perciò questa ferocia, o piuttosto auto-ferocia: scrivere poesia è sempre
stato, per me, sinonimo di scavare dentro, nonostante il dolore, le ferite, la
paura, i dubbi, i vermi, la polvere, il buio. Scavare nella carne della carne
dell’anima. Nella carne della carne del corpo. Nella carne della carne
dell’immaginario. Scavare per scoprire cosa c’è sotto, non per arrivare alla
fine di un tunnel. Scavare con l’impazienza di una golosa, con la sensualità di
un’impudica, con l’umiltà di una perdente, e con la spietatezza di una
criminale. Scrivere è anche sinonimo di sfidare. Sfidarmi. Sfidare gli altri
non m’interessa. E, se a volte provoco, questa provocazione è solo un “danno
collaterale”, mai uno scopo .
Tratto da: La verità del corpo –
Intervista a Joumana Haddad - di
Lello Voce
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