venerdì 10 marzo 2017

Giuseppe Ungaretti.1

Non so se la poesia possa definirsi. Credo e professo che sia indefinibile,
e che essa si manifesti nel momento  della nostra espressione,nel quale le
 cose che ci stanno più a cuore ,che ci hanno agitato e tormentato di più
nei nostri pensieri,he più a fondo appartengono alla ragione stessa  della
nostra vita ,ci appaiono nella loro più umana verità; ma in una vibrazione
 che sembra  quasi oltrepassare la forza dell'uomo,e non possa mai essere
né conquista di tradizioni né di studio,sebbene dell'uno e dell'altro sia
sostanzialmente chiamata a nutrirsi.  La poesia è bene dunque un dono,
come comunemente è ritenuta,o meglio, essa è il frutto di un momento
di grazia,cui non sia stata estranea,specie nelle lingue di vecchia cultura,
una paziente,disperata sollecitazione.
Ciò mi porta anche a considerare che i modi della poesia  sono infiniti,
tanti quanti i poeti del passato e i poeti che verranno. sono innumerevoli
 modi anche se il discorso si limiti a considerare la poesia di cui venga ,
oralmente o per iscritto tramandato,a permanere traccia; altrimenti si
dovrebbe  dire che ogni persona umana ha i suoi momenti di effusione
poetica.
Ecco già  tre punti fissati:che la poesia è di tutti,ch'essa scaturisce da
un'esperienza strettamente personale,ch'essa quindi nella sua espressione
deve portare il segno inconfondibile dell'individualità di chi la esprime,e
deve avere nello stesso tempo quei caratteri d'anonimia per cui è poesia,
per cui non è estranea a nessun essere umano.
Erano i punti che si presentavano a costituire per me un proposito molto
chiaro,sino dagli inizi del mio lavoro. in quegli anni si svolgeva storicamente
un periodo di smarrimento e di confusione,e non dico che sia l'attuale più
ordinato e sicuro;ma ,nei suoi principi,oggi in Europa forse si sa meglio dove
 si incontri la poesia e quali possano esssere le sue mire.
Si aveva allora il sentimento tra i giovani che,dopo il Foscolo,il Leopardi e
 il Manzoni da noi non ci fossero più stati poeti,che si fosse rotta una tradizione,
che i poeti venuti dopo non avevano nulla a che fare ,se non a parole,con la
nostra civiltà. Si era ingiusti,si esagerava;ma è nell'ordine della natura che
i figli si affermino, ribellandosi ai padri.Ci  ripugnava in ogni caso fino alle
radici del sangue ,il decadentismo,quella scuola i cui maestri e i ridicoli
epigoni,si consideravano come gli ultimi superstiti d'una società da esaltare,
come la stessa vita,  con atteggiamenti neroniani.Ci renda bene conto di
 questo:era giusto che allora i giovani sentissero che il discorso fosse da
riprendere dall'abbici,e che tutto fosse da recuperare.I Futuristi in un certo
senso avrebbero potuto non ingannarsi se non avessero rivolto l'attenzione
ai mezzi forniti all'uomo dal suo progresso scientifico,invece che alla
coscienza dell'uomo che quei mezzi avrebbe dovuto moralmente dominare.
S'ingannarono soprattutto perché avevano fatto proprie le più assurde
illusioni derivate dal Decadentismo,immaginando che dalla guerra e dalla
distruzione potesse scaturire qualche forza  e qualche dignità. Così
immaginarono che anche la lingua fosse da mandare in rovina,per restituirle
qualche attività e qualche gloria.
Senza presumere troppo dell'importanza dei miei primi sforzi né svalutare i
miei coetanei ,Futuristi ,Crepuscolari o Vociani,in mezzo ai quali feci quei
miei primi passi,non credo si possa contraddire ciò che la critica ha riconosciuto.
Mi apparve subito cioè come la parola dovesse chiamarsi a nascere da una
tensione espressiva che la colmasse della pienezza del suo significato.  La
parola che fosse travolta nelle pompose vuotaggini da un'oratoria ,o che si
gingillasse in vagheggiamenti decorativi  e estetizzanti,o che fosse
prevalentemente presa dal pittoresco bozzettistico,o da malinconie sensuali,
o da scopi non puramente soggettivi e universali,mi pareva che fallisse al
 suo scopo poetico. Ma fu durante la guerra,fu la vita mescolata all'enorme
sofferenza della guerra,fu quel primitivismo:sentimento immediato e senza
veli;spavento della natura e cordialità rifatta istintiva  dalla natura,spntanea
e inquieta immedesimazione nell'essenza cosmica delle cose; - fu quanto,
d'ogni soldato alle prese con la cecità delle cose, con il caos e con la morte
faceva un essere che in un lampo si ricapitolava  dalle origini,stretto a
risollevarsi  sconvolto a provare per i suoi simili uno sgomento  e un'ansia
smsurati e una solidarietà paterna ,- fu quello stato di estrema lucidità  e
d'estrema passione a precisare nel mio animo la bontà della missione già
intravvista ,se una missione avesse dovuto attribuirmi  e fossi stato atto a
compiere,nelle lettere nostre.
Se la parola fu nuda,se si formava a ogni cadenza del ritmo,a gni battito
 nella sua verità, era perchè in primo luogo l'uomo si sentiva uomo,
religiosamente uomo,e quella gli sembrava la rivoluzione che necessariamente
dovesse in quelle circostanze storiche muoversi dalle parole. Le
condizioni  della poesia nostra e degli altri paesi allora ,non reclamavano
del resto altre riforme,se non questa fondamentale..
Negli anni succeduti all'altra guerra  una strana teoria ebbe corso e fu
largamente accreditata.Furono gli scrittori ,i miei amici che s'incontravano
nella rivista La Ronda a sostenerla.. Per essi il verso  era morto e sepolto,
e la poesia moderna non poteva trovare la sua forma  se non in una prosa
numerosa . Rima si solo, e per quasi due lustri ,a dimostrare polemicamente,
e con le prove del mio lavoro,che il canto ancora  e sempre aveva esigenze
metriche molto piùrigorose. furono le mie preoccupazioni d'allora a portarmi
dalle ricerche di perfetta coincidenza tra la tensione ritmicadel vocabolo e la
sua qualità espressiva,mio principale tormento durante la formazione della
Allegria, a ricerche più complesse de unità verbale. Riconquistata dal ritmo
la sua funzione, mi parve potesse anche il verso riconquistare la sua come era
stata segnata a un orecchio italiano,dalla natura fonica delle nostre parole e
dalla tradizione sintattica e armonica  tramandata alle forme da secoli di una
esperienza impareggiabile. fu un lavoro difficilissimo e ostinato,tanto il nostro
orecchio era guasto.ma devo dire che non procedevo dall'esterno,che non si
trattava d'applicare alle parole uno schema metrici: si trattava di portare le
parole a prendere naturalmente quegli sviluppit del movimento ritmico che
le legasse metricamente in modo armonioso,cioè in modo che il loro senso
prendesse quanto più fosse loro possibile neanch'essa, è legata  potenza emotiva
e risalto di giustezza espressiva. la metrica non è accademica neanch'essa ,
è legata alla vita delle parole, e sappiamo da Dante a Petrarca, cioè nel giro
di pochi anni,già quale profonda riforma dimostrasse. Sappiamo di più ,
sappiamo come per il Leopardi ,procedendo dalla Canzone Petrarchesca, si
presentasse il problema di dover scombussolare da capo a fondo il suo modello
se voleva, come , per esempio, gli riuscì nella Ginestra, raggiungere una eloquenza
che fosse quella ispirata  dal suo singolarissimo genio.
La metrica è un fatto di considerevole funzione in poesia;ma fatto rimarrà sempre ,
come qualsiasi altro rispetto al discorso umano,di valore subordinato. Il fatto capitale
nell'umano discorso sono le cose che si hanno da affermare, a edificazione di tutti,
per conoscere se stesso.. Se ebbi da allora da meditare sulla memoria ,fu meno
perché vi fossi avviato da tecnici progressi da conseguire   che per la pienezza
di significato ch'essa aveva compito di dare alla parola ,infondendole peso,
estendendone e rendendone profonde le prospettive. Una parola che ha vita di secoli
che in tanta storia riflette tante cose diverse,che ci rimette a colloquio con tante
persone la cui presenza carnale  è sulla terra scomparsa, ma non quella dello spirito
se in  noi operano ancora le loro parole; - una parola che può farci sentire, per il
nostro dolore o il nostro conforto,nella suo viva stoeia la millenaria vicenda dello
operoso e drammatico popolo al quale apparteniamo, - una tale parola  ,se aveva
, un Leopardi, poteva ancora suggerire a un poeta d'oggi la via migliore d'arricchirsi
e moralmente  e nelle sue lirich espansioni. Fu così che sentii che la mia poesia
dovesse sempre più compenetrarsi di memoria come del suo tema sostanziale.la
stessa antinomia dell'individuo nei confronti della società moderna,la stessa poszione
dell'uomo al cospetto di dio,la stessa umanità dell'uomo, d'un essere  per sua natura
e sua volontà così grande e così fragile, la stessa causalità e la stessa finalità che dal
principio alla consumazione dei secoli uniscono l'uomo nella stessa tragedia
innumerevolmente rpetuta dalle nascite e dalle morti e dall'inquietudine  e dall'odio
e dall'amore, - tutto mi si compendiava nella mia  meditazione sulla memoria.Gli
stessi paesaggi mi sianimavano alla lucedel ricordo. lo stesso presentmento di
 catastrofe  che mi avveniva d'avere riflettendo alla crisi poliutica e sociale dei
tempi e al'irrimediabile dissennatezza degli uomini ,lo stesso mio dibattito per
uscire dalle incertezze davanti all'idea del Soprannaturale,gli stessi miei passaggi
da un errore a un'illusione  d'intravvedere la verità suprema che tutto attesta , -
tutto attingeva impeto e sofferenza per me dalla facoltà di ricordare che ha
l'uomo, per la quale l'uomo è l'uomo.

Se, tuttavia,la memoria in sé non contenesse un'antitesi che la muove e la rende
nonostnte tutto cordiale e amabile,sarebbe disperazione e condurrebbe al suicidio
e non alla poesia. Conduce la memoria alla poesia,perchè essa porta l'uomo e
porta la parola a quell'atto di desiderio di rinnovamento dell'universo per il
quale l'umanità fa sulla terra il suo lungo viaggio d'espiazione. Estrema aspirazione
della poesia è compiere il miracolo nelle oarole d'un mondo di felicità. risuscitato
nella sua purezza originaria  e splendido di felicità. Toccano quasi qualche volta
le parole,nelle ore somme dei sommi poeti,quella bellezza perfetta che era l'idea
divina dell'uomo e del mondo nell'atto d'amore in cui vennero creati.   

                                                             cantinua
   










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