Wendy Rose |
Wendy
Rose.16.
“Una mezzosangue va da una mezza casa all’altra”,dice Wendy
Rose nella poesia qui di seguito il cui titolo allude già alla costruzione
delle proprie radici,ad immaginare un suo kachina personale - una
specie di spirito benigno – che la segua nel suo itinerario forzatamente al di
fuori della comunità. Ed ecco che l’antropologia diviene per l’antropologo
indiano testimonianza dolorosamente viva con la quale egli si identifica e di
cui riconosce il legame con il presente.
Da qui il denso spessore metaforico della immagine ricorrente di ossa,proposte
nella nudità del loro biancore,affioranti o nascoste sotto la terra,ma non come
simbolo di morte,ma sempre come materia viva,
condivisione genealogica. E Wendy Rose estende il suo
senso di comunione anche nel testo precedente quando fa coprire la vasta
distesa desertica da un metaforico manto funebre fatto della pelle di tanti
Indiani massacrati,incorporando,una volta ridiventata terra ,il colore del
sangue che fa fiammeggiare i tramonti
del sudovest.
Trent’anni fa
un brandello
di cotone marrone volò via
dai pioppi
di
Hotevilla;il cielo si rischiarò
per aprirgli
un varco verso l’occidente.
Ricordo:un
solitario Hopi
riuscì a
raggiungere il mare. Era il 1947
ma le
cicatrici sono ancora vive
dentro di me
.Parlano nella mia carne,raschiano e mi scuotono le ossa,
ma
accerchiano l’anima
come poiane.
Devo
spiegare perchè
i
canti si levano contratti e fievoli?
E’
così: già troppo clamore
su di me
da
trascinare così
mio
rumore stonato.
la
California muove la mia penna
ma Hotevilla si dibatte nel mio sangue
come
un’immensa
libellula impazzita.
Con cura
così come
noi piantiamo il granturco
in singoli
pezzetti di terra,in ogni pezzetto
un buco
della grandezza di un dito.
Così
costruiremo le vostre
radici.
Disse questo
mentre i
tassi tracciavano linee
parallele
sulla sua pelle,
ognuna un
segno del clan,
mentre
Builder Kachina
chiurlava al
suo fianco,invisibile
eppure
bloccandomi tutta
col suo
grido.
Ciò che non
possiamo trovare
lo
costruiremo ma
lentamente,
lentamente.
Dopo tutto
questo
stiamo
ancora
sfuggendo la
siccità .
Le case
cambiano, le strade
trascinate
via.
La siccità è
una cosa stagionale
misurata in
secoli
non dal sonno;
il tempo non
è mai
senza casa.
Qui è dove
io ricordo
che sono un’
Anazasi,antica
abitatrice
delle rocce,evento
che si è
fermato sulla faccia del mondo
tutto questo
tempo.
Qui non
c’è niente di gran valore.
Solo la
mia storia. Un mezzosangue va
da
una mezza casa all’altra;
file
di mezze case
per
tutto il mondo.
Ognuna
è un suono
che
scuote la forza
del
silenzio.
Soluzione. che possa il tuono
spingermi a nord col suo rullio! Che io salga,
ogni parola un appiglio,alla Casa dei Kachina! Che possa trovare
la
Gente della Nuvola!
Del resto già in Paula Gunn Allen
l’immagine ricorrente delle “ombre”,indica certamente una dimensione mitico -religiosa,ma
rappresenta anche la metafora di una zona limite,lo spazio
ibrido fra due tradizioni ,percorso dal mezzosangue a rappresentare
recupero,scontro,mediazione.
(continua)
[1]Le identità e i ruoli
del Sacro Popolo Kachina sono tradizionalmente flessibili,questo non fa
parte della tradizione Hopi,ma dell’immaginazione dell’autrice.
[2] Villaggio hopi
sulla mesa* più occidentale.
[*]mesa,altopiano.
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