Wendy Rose |
Wendy Rose[1] .15.
L’opposizione esplicita o sotterranea tra paesaggio
urbano e ambiente naturale riveste
molte poesie di una specie di dialogo teso che spesso si estende alla sofferta
divisione del mondo tra bianche ed Indiani. E lo status di sanguemisto costituisce ,ancor più per le donne,un motivo
supplementare di precarietà. Nella poesia di questa autrice mezzosangue rappresenta una vera parola chiave per capire
non solo una discendenza bianca e indiana materna,ma per di più la mancanza di identità tribale da parte del padre Hopi per la cui tribù vige il regime
matrilineare. La scrittrice sottolinea allora,più che il sentimento di
imprigionamento in uno spazio ambiguo tra due mondi,la percezione di non
appartenenza e un vuoto di tradizioni. Ma con ostinazione la sua ricerca si
concentra verso ciò che ,dentro di
sé,sente vivere come tradizione indiana.,certo senza più sacralità di voci e di
spazi. la catena generazionale,l’eredità conseguente non costituiscono uno
status acquisito con la nascita,ma il risultato di un lungo e doloroso percorso.
La sua storia si rispecchia allora in quei frammenti di oggetti di cui è
cosparsa la sua poesia ,quei “cocci di vasellame”,insomma,lasciati dagli
antenati,quegli equilibri complessi,difficili,fatti di corrispondenze fra le pari
ed il tutto che non appaiono nella condizione più diffusa dell’indiano
contemporaneo .
Afferma un disperato bisogno di parole,che assumono per
lei la funzione di esprimere la sua
lotta per acquisire completezza e
integrità culturale.
Per lei il ritorno a casa faticosamente e tenacemente
ricostruito è certamente il villaggio
hopi,presente nel suo sangue come “una libellula impazzita”.
Lunga divisione:una storia tribale
La nostra
pelle pende cascante
a cavallo di
bordi erbosi;
pietre
lanciate in alto
ricadenti
tra i picchetti,
una grande
lacerazione
e squarci
che affiorano.
siamo
comprati e divisi
nell’argilla
dei vasi;moriamo
su patiboli
di granito
sui profili
delle Sierre
e restiamo
supini con le labbra dischiuse
conficcando
canti sul mondo.
chi siamo
noi,siamo forse
ancora
vivi?Il dottore,
addormentato,dice
di no.
Così fuori
dall’eternità
lottiamo
finché il nostro sangue
non si
sparga grondando dai nostri corpi
a logorare
l’orlo del tramonto.
E’ il nostro
sangue che vi dà
questi cieli
del Sud Ovest.
Anno dopo
anno noi diamo,
arpionati di
speranza,solo per cadere
rotolando
giù per i canyon,
i nostri
canti via via più fievoli
nella
lontananza.
allatto
coyote
trafitta di
dolore.
[1]
1948.Nata a Oakland,da padre Hopi e da madre Miwok,molto attiva in varie
organizzazioni indiane che operano in ambito politico e sociale,con un Ph. D.
in antropologia,ed è stata docente di american Indian Studies a Berkeley,presso
l’Università della California e presso il California State College a
Fresno,dove vive.Numerose le sue pubblicazioni di poesie,alcune delle quali
comprendono anche i suoi acquerelli.
(continua)
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