martedì 5 febbraio 2019

L'ombra in Wallace Stevens.2





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 PENNSYLVANIA

  L’ombra in Wallace Stevens

E’ elemento che arricchisce ,con la musica, di suggestione e fascino le sete azzurre di lei.

 2.Wallace Stevens°,

Poeta di grande personalità, fu sensibile a influenze della poesia europea, in particolare francese,
da Baudelaire  a Mallarmé. Nonostante i molti echi dei grandi romantici inglesi, soprattutto Keats,
 la sua poesia va inserita nel contesto del processo di rinnovamento del linguaggio compiuto dal Modernismo letterario  angloamericano.
Dalla raffinata ed enigmatica eleganza della prima raccolta Harmonium (1924) alle riflessioni
 più politiche di Ideas of Order (Idee di ordine, 1936), ai poemi della tarda maturità, a Stevens
interessa costantemente  approfondire il rapporto dialettico realtà-fantasia, e lo fa con una
 spettacolare serie di  variazioni e seguendo  un imponente progetto la cui realizzazione lo
colloca tra I poeti  più consapevoli e compiuti  del ‘900.  
     Quella di Stevens è una poesia  in cui il codice linguistico è fortemente integrato con quello visivo- pittorico. Poiché fu un grande estimatore di arte orientale, di Impressionismo e di Cubismo,  ritrasse gli spazi aperti trasfigurandoli attraverso l’espressione delle tonalità di colore e della luminosità, mentre seguì il metodo cubista  di scomposizione e sintesi delle nature morte e, con un gusto tutto orientale, fu attento alla disposizione grafica delle parole e all’uso  significativo dei colori (per es. verde = realtà, blu = immaginazione).
       L’uomo che suona il clavicembalo, nei versi di Stevens,  trasforma il suono che produce in sentimento, e il desiderio della persona o delle cose immaginate, trasformate in suono, diventano poesia, e dunque piacere. In questa poesia fortemente sensuale,  la bellezza mortale della carne si fa, dunque,  immortale nel suo divenire poesia:
 Qualcuno ha detto che l’esperienza di lettura di Wallace Stevens è  “ l’abisso in cui si cade, leggendolo”°  Come la vita, la poesia è ambigua e il poeta attraverso la poesia, che è oscura,  vuole penetrare il vuoto della vita. Non serve l’interpretazione, perché la “ferocia” è nella semplicità delle cose quotidiane, e la poesia non vuole scrivere di queste cose, ma diventa le cose stesse, che sono nulla. Un  nulla che è sostituito dal poeta con la sua fiducia nell’arte, considerata una narrazione suprema, una cosa sola con la realtà.  La salvezza dal caos della vita.

 °Nadia Fusini, “L’alfabeto che uccide. Wallace Stevens”, in Finisterrae, n°1, Autunno /Inverno 1985, Reggio Emilia, Elitropia ed.

,

Peter Quince*] al clavicembalo** 

 Come su questi tasti le mie dita                       
fan musica, così gli stessi suoni                        
fanno musica sull’anima mia.

 Musica,  è senso, quindi, non è suono;          
e in egual modo, tutto ciò ch’io sento,
in questa stanza, te desiderando,

pensando alle tue sete azzurre d’ombra,                         
è musica; ed è simile alle note 
ridestate nei vecchi da Susanna[3].

 In una verde sera calda e chiara,                                   
si bagnava Susanna*** nel giardino silenzioso
Mentre i vecchioni dagli occhi arrossati

 Sogguardando sentirono vibrare
I bassi dentro l’anima segreta in maliosi accordi
E palpitare, nelle vene esangui, pizzicati d’osanna.

  da “326 poesie dal mondo per una storia d’amore”Onyx ed. e.book-
   a cura di Maria Gabriella Bruni e Isabella Nicchiarelli

       









 
*È il nome di un personaggio shakespeariano (“Sogno di una note di mezza estate”); la presenza dei suoni p e c nel nome esprime disprezzo per il personaggio, che nella commedia è un mediocre attore  e regista.
.** Wallace Stevens, ” Peter Quince al clavicembalo”,in  Harmonicum, 1915,  su Others: a Magazine of the New Verse, New York, edited by Alfred Kreymborg.
***Allusione alla storia biblica di Susanna e i vecchioni




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