Octavio Paz |
Tratto da "Versante est" (1962 - 1968)
IL BALCONE
Quieta
nel
colmo della notte
non
alla deriva dei secoli
non
distesa
inchiodata
come
un'idea fissa
nel
centro dell'incandescenza
Delhi
Due
sillabe alte
circondate
da sabbia e insonnia
A
voce bassa le dico
Nulla si muove
eppure
l'ora cresce
si dilata
È
l'estate
marea
che si sparge
Odo
la vibrazione del cielo basso
sulle
pianure in letargo
Enormi
masse osceni conclavi
nubi
piene d'insetti
schiacciano
nane
sagome incerte
(Domani
avranno un nome
si
ergeranno e saranno case
saranno
alberi domani)
Nulla si muove
L'ora è più grande
io più
solo
infisso
nel
centro del vortice
Se
stendo la mano
corpo
soffice l'aria
essere
promiscuo senza volto
Appoggiato
al balcone
vedo
(Non
appoggiarti,
se
sei solo, alla balaustra,
dice
il poeta cinese)
Non è l'altezza né la notte e la sua luna
o
gli infiniti che si offrono alla vista
è
la memoria e le sue vertigini
Questo
che vedo
questo che gira
sono
le insidie le trappole
dietro
non c'è nulla
sono
le date e i loro turbini
(Trono
d'osso
trono del mezzogiorno
quell'isola
Nei
suoi bordi lionati
per
un attimo vidi la vita vera
Aveva
il volto della morte
erano
lo stesso viso
dissolto
nello
stesso mare scintillante)
Ciò
che vivesti oggi ti disvive
non
sei là
qui
sono
qui
nel
mio principio
Non
mi rinnego
mi reggo
Appoggiato
al balcone
vedo
nuvoloni
e un pezzo di luna
ciò
che è visibile qui
case
gente
il
reale presente
vinto
dall'ora
ciò
che è qui
invisibile
il
mio orizzonte
Se
questo inizio è un inizio
non
comincia con me
con lui cominciò
in
lui mi perpetuo
Appoggiato al balcone
vedo
questa
lontananza così vicina
Non
so come chiamarla
benché
la tocchi col pensiero
La
notte che va a picco
la
città come un monte franato
bianche
luci azzurre gialle
fari
improvvisi muri d'infamia
e i
grappoli terribili
mucchi
d'uomini e bestie per terra
e l'intrico
dei loro sogni intrecciati
Vecchia
Delhi fetida Delhi
viuzze
piazzuole moschee
come
un corpo accoltellato
un
giardino sotterrato
Piove
polvere da secoli
il
tuo manto turbini di polvere
un
mattone spezzato il tuo guanciale
Su
una foglia di fico
mangi
gli avanzi delle tue divinità
i
templi tuoi sono bordelli di condannati a non guarire
sei
coperta di formiche
recinto
abbandonato
mausoleo sgretolato
sei
nuda
come
un cadavere profanato
ti
strapparono sudario e gioielli
Eri
coperta di poesie
tutto
il tuo corpo era scrittura
ricordati
riacquista
la parola
sei
bella
sai
parlare cantare ballare
Delhi
due
torri
piantate
nella pianura
due sillabe alte
A
voce bassa le dico
appoggiato
al balcone
infisso
non
nel suolo
nel
suo vortice
nel
centro dell'incandescenza
Sono
stato là
non
so dove
Sono
qua
Il non
so è il dove
Non
la terra
il
tempo
nelle
sue mani vuote mi sostiene
Notte
e luna
movimenti
di nubi
tremore
d'alberi
stupore dello spazio
infinito
e violenza nell'aria
polvere
iraconda che si sveglia
luci
s'accendono all'aeroporto
mormorio
di canti lungo il Forte Rosso
Lontananze
passi
d'un pellegrino sono errante
su
questo fragile ponte di parole
L'ora
m'innalza
fame
d'incarnazione patisce il tempo
Oltre
me stesso
in qualche luogo attendo
il mio arrivo.
Nel mio blog su viaggi reali e immaginari gabysouk,è iniziata la pubblicazione della serie di post su un "Viaggio sul teatro francofono contemporaneo in quattro continenti:Europa,Francia,Jean Tardieu,Oswald e Zenaide-Africa,Congo,Sony Tabou Tansi,Monologo d'oro e nozze d'argento." Io sono molto coinvolta in questa ricerca. Penso potrebbe essere intrigante anche per i miei amici lettori di questo blog sui poeti contemporanei del mondo curiosare attraverso gli umori di continenti,tanto diversi e tuttavia percorsi da analoghi fremiti,urgenze,spinte sintoniche al cambiamento
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