IV.USA
9. Emily Elizabeth
Dickinson
nota come Emily
Dickinson
(Amherst-Massachusetts-
10 dicembre1830-Amrest,15
maggio 1886.)
è stata una poetessa statunitense,
Nacque nel 1830 ad Amherst
da una famiglia borghese
di tradizioni puritane.
I Dickinson erano
conosciuti per il sostegno fornito
alle istituzioni scolastiche
locali.
Suo nonno, Samuel Fowler Dickinson,
fu uno dei fondatori dell'Amherst College,
mentre il padre ricoprì la funzione di legale
e tesoriere dell'Istituto;
inoltre ebbe importanti incarichi
presso il Tribunale
Generale del Massachusetts,
il Senato dello Stato e la
Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti.
a.Solitudine
Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte - eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.
Emily Dickinson
a. C’è una solitudine dello spazio,
C’è una solitudine dello spazioUna solitudine del mare
Una solitudine della Morte, ma queste
Sono comunità
Confrontate con quell’area più profonda
Quell’intimità polare
Un’anima al cospetto di se stessa –
(Traduzione di Giuseppe Ierolli)
There is a solitude of space
There is a solitude of spaceA solitude of sea
A solitude of death, but these
Society shall be
Compared with that profounder site
That polar privacy
A soul admitted to itself –
nota del traduttore:
Nelle edizioni correnti,
esclusa quella di Franklin, c’è un verso
aggiunto alla fine: “Finite
Infinity.” (“Finità Infinita.”).
Johnson annota: “Non si
conosce nessun autografo di questa poesia,
qui riprodotta da due fonti:
i primi sette versi seguono la trascrizione
di Sue, che non copiò il
verso finale. L’ultimo verso è tratto dal testo
pubblicato.” [The Single
Hound, a cura di Martha Dickinson Bianchi
e Alfred Leete Hampson,
Little Brown, Boston, 1914]. Franklin trascrive
la poesia seguendo la copia
di Susan e considera il verso finale una
probabile aggiunta
editoriale.Si può ipotizzare che nell’edizione del
1914 la figlia Susan abbia potuto servirsi di un’altra
copia, autografa
o meno, ora perduta, per la
mancanza dell’originale La stuttura del
componimento dickinsoniano
lascia la questione irrisolta.
La struttura del componimento:
Lo spazio sinonimo di
solitudine,il mare è solitudine,la morte lo è.
A confronto ben più intime
e complsse però le profondità dell’anima
di fronte a se stessa.
L'intensità della
solitudine non si esaurisce nel semplice silenzio
della parola, nella
cancellazione d'ogni traccia di scambio con
l'altro. Seguendo la
metafora della Dickinson se lo spazio,
il mare,
la morte hanno una loro
solitudine, perché la loro infinità
sovrumana
taglia fuori l'uomo (là
dove si estendono non è prevista la parola),
esiste un silenzio ancora
più profondo, più fitto e inaccessibile. È il
confronto di un'anima con
se stessa, l'incontro con un punto cieco,
impenetrabile, "segretezza polare". Nella finitezza umana c'è
dell'infinito come nel
mare e nello spazio, del mistero, davanti al
quale si è
irrimediabilmente soli.La Dickinson sembra cogliere il
limite della parola e dello scambio con
l'altro. Per quanto si possa
comunicare, entrare in
empatia con un altro essere, c'è qualcosa
in lui di infinitamente
enigmatico, che fa resistenza non solo alla
condivisione reciproca, ma
alla stessa comprensione da parte del
singolo. Ne deriva una
solitudine radicale, che prescinde dalla
presenza o dall'assenza di
un partner, di un amico, di un analista
o di un semplice
interlocutore. Davanti a noi stessi, alla nostra
verità senza abbellimenti,
siamo senza appigli, senza scuse.
Dunque un confronto
schietto con la nostra parte più profonda,
inconscia e socialmente
non condivisa ci porta inevitabilmente
ad incontrare un ignoto
insondabile. Allora a cosa serve
un'analisi?
Perché cimentarsi in un
compito impossibile? Se né l'altro né noi
possiamo penetrare il
segreto che ci attraversa perché cercare?
Ma cercare, pur senza
trovare una risposta soddisfacente e che
esaurisce una volta per
tutte la complessità, oscuramente cura.
Fa bene. Riallaccia a
questa solitudine, che così diventa feconda
e non resta semplicemente
tragica. Cercare ci trasforma da
passeggeri passivi a
macchinisti, pur entro i circuiti infiniti di
binari già tracciati, pur
senza una meta definitiva, un porto di
sicuro approdo. Se
c'è un determinismo, se l'anima è anche il
risultato della storia,
essa non è solo la storia.C'è una complessità
inesauribile che inchioda
alla solitudine e nello stesso tempo apre
ad una forma possibile di
libertà. Il punto di resistenza ad ogni
definizione è anche quello
che ci permette di non essere schiacciati
da ciò che ci accade. La
plasticità del nostro essere cangiante e
mutevole è anche la nostra
forza, siamo "infinità
finita", infiniti pur
dentro recinti.Ecco perché
il principio che ispira ogni psicoterapia
psicanaliticamente intesa
e ogni psicanalisi pura (al di là degli
approcci) è uno spirito di
ricerca.È il ricercatore non l'analista,
che pure si presta da
supporto per la ricerca,a mettersi a nudo
con se stesso. L'analisi è
una ricerca svolta in solitudine, c'è una
parola sì, ma essa non si
rivolge sempre e solo all'analista. Il più
delle volte è un parlare a
se stessi in presenza di un altro che tace,
quasi mai il vero
destinatario della comunicazione.La figura che
tace, che ascolta, che
interviene non può mai sostituirsi al lavoro
che fa il paziente. Se in
lui non scatta lo spirito di ricerca, se non
si assume la solitudine
radicale che esso comporta non c'è analisi
ma solo lamento e ricerca
di conforto. A volte l'analisi è ricercata
come una fuga dalla solitudine, e questo ci sta, il primo
movimento
è sempre una richiesta di
aiuto ad un altro essere umano.
Ma la vera porta di
ingresso si apre nel momento in cui dopo i pianti
c'è un prendere in mano i cocci per venire a capo della
ricostruzione
del vaso che si è rotto.
L'analista fa da supporto,ma i pezzi sparpagliati
è il paziente che li prende in mano, è
lui che scopre che non ci sono
solo quelli ma un'infinità
di altre tessere. L'obiettivo non è ricostruire
il vaso ma scoprire che esso è da sempre
rotto. Bisogna fare i conti
con questa mancanza
costitutiva, incontrala, vederla, realizzarla.
Allora sì, è analisi. non
una volta sola, molte le ricadute, i tentennamenti,
le visioni, le prese d'atto..
L'incontro con l'
"infinità finita" della Dickinson, con la "castrazione"
diremmo in psicoanalisi,
non mortifica, ma apre dunque all'infinità,
all'inconscio e al duro,
solitario compito di non mollare mai ,pur nella
consapevolezza della potenza
inaggirabile del limite entro cui fiorisce
il mistero della vita.
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