venerdì 2 ottobre 2020

IV.USA.9.Emily Dickinson .a.Solitudine





IV.USA

9. Emily Elizabeth Dickinson
nota come Emily Dickinson
(Amherst-Massachusetts-

10 dicembre1830-Amrest,15 maggio 1886.)
è  stata una poetessa statunitense,
considerata tra i maggiori lirici moderni[1].
 Nacque nel 1830 ad Amherst
da una famiglia borghese di tradizioni puritane.
I Dickinson erano conosciuti per il sostegno fornito
alle istituzioni scolastiche locali.
 Suo nonno, Samuel Fowler Dickinson,
 fu uno dei fondatori dell'Amherst College,
 mentre il padre ricoprì la funzione di legale
e tesoriere dell'Istituto; inoltre ebbe importanti incarichi
presso il Tribunale Generale del Massachusetts,
il Senato dello Stato e la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti.

a.Solitudine

Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte - eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un’anima al cospetto di se stessa:
infinità finita.

Emily Dickinson

a. C’è una solitudine dello spazio,

C’è una solitudine dello spazio
Una solitudine del mare
Una solitudine della Morte, ma queste
Sono comunità
Confrontate con quell’area più profonda
Quell’intimità polare
Un’anima al cospetto di se stessa –

(Traduzione di Giuseppe Ierolli)

There is a solitude of space

There is a solitude of space
A solitude of sea
A solitude of death, but these
Society shall be
Compared with that profounder site
That polar privacy
A soul admitted to itself –


nota del traduttore:
Nelle edizioni correnti, esclusa quella di Franklin, c’è un verso
aggiunto alla fine: “Finite Infinity.” (“Finità Infinita.”).
Johnson annota: “Non si conosce nessun autografo di questa poesia,
qui riprodotta da due fonti: i primi sette versi seguono la trascrizione
di Sue, che non copiò il verso finale. L’ultimo verso è tratto dal testo
pubblicato.” [The Single Hound, a cura di Martha Dickinson Bianchi
e Alfred Leete Hampson, Little Brown, Boston, 1914]. Franklin trascrive
la poesia seguendo la copia di Susan e considera il verso finale una
probabile aggiunta editoriale.Si può ipotizzare che nell’edizione del
1914 la figlia  Susan abbia potuto servirsi di un’altra copia, autografa
o meno, ora perduta, per la mancanza dell’originale La stuttura del
componimento dickinsoniano lascia la questione irrisolta.

La struttura del componimento:
Lo spazio sinonimo di solitudine,il mare è solitudine,la morte lo è.
A confronto ben più intime e complsse però le profondità dell’anima
di  fronte a se stessa.
L'intensità della solitudine non si esaurisce nel semplice silenzio
della parola, nella cancellazione d'ogni traccia di scambio con
l'altro. Seguendo la metafora  della Dickinson se lo spazio, il mare,
la morte hanno una loro solitudine, perché  la loro infinità sovrumana
taglia fuori l'uomo (là dove si estendono non è prevista la parola),
esiste un silenzio ancora più profondo, più fitto e inaccessibile. È il
confronto di un'anima con se stessa, l'incontro con un punto cieco,
impenetrabile, "segretezza polare". Nella finitezza umana c'è
dell'infinito come nel mare e nello spazio, del mistero, davanti al
quale si è irrimediabilmente soli.La Dickinson sembra cogliere il
 limite della parola e dello scambio con l'altro. Per  quanto si possa
comunicare, entrare in empatia con un altro essere, c'è qualcosa
in lui di infinitamente enigmatico, che fa resistenza non solo alla
condivisione reciproca, ma alla stessa comprensione da parte del
singolo. Ne deriva una solitudine radicale, che prescinde dalla
presenza o dall'assenza di un partner, di un amico, di un  analista 
o di un semplice interlocutore. Davanti a noi stessi, alla nostra
verità senza abbellimenti, siamo senza appigli, senza scuse.
Dunque un confronto schietto con la nostra parte più profonda,
inconscia e socialmente non condivisa ci porta inevitabilmente
ad incontrare un ignoto insondabile. Allora a cosa  serve un'analisi?
Perché cimentarsi in un compito impossibile? Se né l'altro né noi
possiamo penetrare il segreto che ci attraversa perché cercare?
Ma cercare, pur senza trovare una risposta soddisfacente e che
esaurisce una volta per tutte la complessità, oscuramente cura.
Fa bene. Riallaccia a questa solitudine, che così diventa feconda
e non resta semplicemente tragica. Cercare ci trasforma  da
passeggeri passivi a macchinisti, pur entro i circuiti infiniti di
binari già tracciati, pur senza una meta definitiva, un porto di
sicuro approdo.  Se c'è un determinismo, se l'anima è anche il
risultato della storia, essa non è solo la storia.C'è una complessità
inesauribile che inchioda alla solitudine e nello stesso tempo apre
ad una forma possibile di libertà. Il punto di resistenza ad ogni
definizione è anche quello che ci permette di non essere schiacciati
da ciò che ci accade. La plasticità del nostro essere cangiante e
mutevole è anche la nostra forza, siamo "infinità finita", infiniti pur
dentro recinti.Ecco perché il principio che ispira ogni psicoterapia  
psicanaliticamente intesa e  ogni psicanalisi pura (al di là degli
approcci) è uno spirito di ricerca.È il ricercatore non  l'analista,
che pure si presta da supporto per la ricerca,a mettersi a nudo
con se stesso. L'analisi è una ricerca svolta in solitudine, c'è una
parola sì, ma essa non si rivolge sempre e solo all'analista. Il più
delle volte è un parlare a se stessi in presenza di un altro che tace,
quasi mai il vero destinatario della comunicazione.La figura che
tace, che ascolta, che interviene non può mai sostituirsi al lavoro
che fa il paziente. Se in lui non scatta lo spirito di ricerca, se non
si assume la solitudine radicale che esso comporta non c'è analisi
ma solo lamento e ricerca di conforto. A volte l'analisi è ricercata
come una fuga dalla  solitudine, e questo ci sta, il primo movimento
è sempre una richiesta di aiuto ad un altro essere umano.
Ma la vera porta di ingresso si apre nel momento in cui dopo i pianti
c'è un prendere  in mano i cocci per venire a capo della ricostruzione
del vaso che si è rotto. L'analista fa da supporto,ma i pezzi sparpagliati
 è il paziente che li prende  in mano, è lui che  scopre che non ci sono
solo quelli ma un'infinità di altre tessere. L'obiettivo non è  ricostruire
 il vaso ma scoprire che esso è da sempre rotto. Bisogna fare i conti
con questa mancanza costitutiva, incontrala, vederla, realizzarla.
Allora sì, è analisi. non una volta sola, molte le ricadute, i tentennamenti,
 le visioni, le prese d'atto..
L'incontro con l' "infinità finita" della Dickinson, con la "castrazione"
diremmo in psicoanalisi, non mortifica, ma apre dunque all'infinità,
all'inconscio e al duro, solitario compito di non mollare mai ,pur nella
consapevolezza della potenza inaggirabile del limite entro cui fiorisce
il mistero della vita.




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