Borìs Pasternàk |
BORÌS
PASTERNÀK
Fa parte di
quell’area futurista moderata - il
gruppo “Centrifuga”- nel senso che mentre condivide
con quell’avanguardia le ricerche verbali , non rompe tuttavia con la tradizione.
Diversamente da Majakovskij che si proclamava ”tredicesimo apostolo”o da Esènin che si autodefiniva “famoso poeta russo”,
Pasternàk è ritroso e modesto,appare
costantemente alieno da ogni esibizione teatrale,non urla,si guarda dal
declamare – come abitualmente faceva Majakovskij – strofe irruente e tumultuose ,ma
cesella con cura i suoi versi,nutriti delle memorie dell’infanzia,e riduce la
troppo rumorosa realtà ad un sommesso fruscìo ,che evoca familiari colloqui .L’ambiente
è quasi sempre una villa alla periferia
di Mosca. Anche qui ritroviamo oggetti ed arredi domestici osservati con
l’attenzione che una lente può permettere. La natura è rappresentata con un
lessico casalingo,familiare.
Nella natura il poeta si muove con un atteggiamento
stupito. Sorpreso,sembra portare alla luce le cose per la prima volta ,quasi ad
attribuire alla creazione che lo circonda l’incontaminazione delle origini .I
suoi paesaggi sembrano quadri ancora
freschi di vernice ch’egli ha appena scoperto. Una natura peraltro avvolta in
un mantello umido di pioggia e rugiada. Acquazzone
è infatti l’immagine prediletta ,lo sfondo costante della sua poesia .Marina
Cvetàeva chiamò la sua opera “luminoso acquazzone”(svetovòj lìven). Coinvolgendo perfino l’olfatto,con
sapienti accorgimenti sonori riesce a esprimere i mutamenti dell’aria,i rovesci,i temporali,l’alternarsi di neve e
bufere ,insomma tutta la possibile gamma dei maltempi che si scatenino intorno
a sé. C’è una fragranza di pioggia e di
terra bagnata nelle sue liriche ,annotava Angelo Maria Ripellino,nessun poeta
russo ha mai cantato con tanta bravura le variazioni atmosferiche,fino a
intrecciarle con la sostanza stessa
della sua poesia.
Egli sminuzza le proprie rievocazioni in un tessuto dove rappresenta i piccoli dettagli,fa
sfilare una vera folla di ricordi personali,di notazioni intime,di elementi biografici che rischiano di
far perdere di vista il quadro d’insieme e di rendere complessa la sua
comprensione. Ma il lettore paziente e
appassionato che sa penetrarla resta folgorato da quell’universo di
parole gioiosamente luminoso,da cui sembra sgorgare un fluido dolcemente
terapeutico. Uno stile,il suo,su cui la tecnica della musica sembra avere
grande influe con il trasferimento
nella composizione dei versi ,le leggi e i modi specifici di quella musicale .Frequente è l’uso del
contrappunto di temi o metafore divergenti che si sviluppano in modo parallelo
e dinamico su molteplici piani(per es. la sorprendente concatenazione ritmica delle immagini intrecciate e sovrapposte di “Finestra,leggìo” e “Quando un giorno”). . Le sue trame poetiche procedono per scatti
concettuali in un suggestivo,apparentemente disordinato balbettio, che è poi
calcolata costruzione di stile.
Sempre inconsueto,imprevisto,nemico dei luoghi comuni
come delle espressioni generiche scrive
tutto teso ad agglutinare le sue precise metafore ,infilate spesso una dentro l’altra come i
pezzi di un gioco di pazienza., funzionale alla rappresentazione del movimento
e della crescita delle sequenze del suo
racconto e del mutamento dei paesaggi
via via delineati.
Un uomo che ha bisogno di solitudine,che vive un’epoca
poco propensa al silenzio,alla quiete ,che sembra quasi volersi sottrarre ai legami con il proprio tempo,anche se quell’epoca è viva e
presente nel contesto delle sue composizioni,anche se ,come dicono i titoli dei
suoi libri,ha cercato più volte di avvicinarsi ai motivi sociali,”oltre le barriere”,in una”seconda nascita”.
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