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La mia estate fu d’uva e di fichi.
C’era il regno della luce sui campi arati,
sopra la benedizione della terra.
E c’era pure la giovane di Rmesh
Colei che
quasi non ha pari,
la reginetta di bellezza dei pozzi e dei frutteti.
Quella dagli occhi azzurri,
eredità crociate,a quanto pare.
La potevi solo indovinare attraverso i vestiti
Qualcosa di prezioso,di alluso come versi
Che non si spiegano tutti in una volta.
Intendo quella che con secchia e corda attinse per
noi
Dalle buie profondità.
E come un velo di sposa saliva dalla valle la
foschia.
Festeggiava il sole verso ovest
E ci attendevano i monti,grigiastri di lontananza.
Un grazie anche ai cani del villaggio,
che non ci puntarono chissà perché i calcagni,
mentre andavamo avanti,fra gli ulivi d’argento
fino a lontanare ,godendo come del beneficio del
dubbio,
sulla via di Manara.
Un languido,quasi nostalgico paesaggio mediterraneo dell’ accoglienza,con tanto di uva e fichi,nonché ulivi dalla chioma d’argento a sottolineare la ragazza che ne fa parte, solare eppure segreta,semplice,all’apparenza,eppure capace di attingere nella più oscura profondità dell’essere, singolare reginetta di paese,dove anche i cani non azzannano i talloni costringendo alla fuga,ma lasciano procedere e allontanarsi attraverso gli ulivi,concedendo una fiducia sia pure un poco incerta.
Chaìm Guri è un poeta sempre molto interessante,dal percorso che evolve a
rappresentare una forma di più magnanima autocoscienza nazionale. Altrove ,sa
far nascere in modo ancora più diretto, dall’intreccio di sfera pubblica e
privata,uno stato d’animo in cui “la propria sembianza finisce per confondersi
con quella del nemico,dove la sofferenza dell’altro non è che il simulacro
della propria”.[3]
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