sabato 21 maggio 2022

300. Oodgeroo (della tribù dei) Noonnuccal.

 

             Fu Oodgeroo (della tribù dei) Noonnuccal[1] ad introdurre la prospettiva aborigena nella poesia australiana  e ne mostrò per la prima volta la potenzialità[2]. Alcuni poeti bianchi, come lo stesso Dawe, si rivelarono curiosi e sensibili al tema, ma furono gli scrittori aborigeni in lingua inglese a produrre quella poesia amara, contraddittoria, in cui lo sfruttamento, l’impegno politico, il tema dell’ambiente e il senso di perdita continuano ad essere i nodi principali, oltre alle caratteristiche comuni ad altre letterature post-coloniali, quali l’ibridismo (riscrittura), l’interculturalità e l’intertestualità. Quella che ne risulta non è poesia della tradizione aborigena né di tradizione europea, ma una simbiosi.

            Quando per alcuni la poesia diventò uno strumento politico di riaffermazione della propria identità e  una forma di consolazione dalle tristezze della vita, alcuni critici ne negarono il valore letterario. La stessa Oodgeroo fu accusata di scrivere versi non scorrevoli, con rime talvolta forzate. D’altronde, tutti gli scrittori di madrelingua diversa dall’Inglese, scrivono con una profonda ansia linguistica, sottolineata dal fatto che la loro lingua adottiva è strettamente collegata alla tradizione letteraria dei colonizzatori. L’ispirazione, le tematiche e la visione del mondo sono aborigene, ma non la loro tecnica poetica.

Doni   [3]                                                                                          

 

‘Ti porterò l’amore’, disse il giovane amante,                                    
‘una luce allegra che balli nel tuo occhio scuro.                                
Porterò orecchini di osso bianco,                                                         
e allegre piume di pappagallo per ornare i tuoi capelli ‘                 

Ma lei scosse semplicemente la testa.                                                
‘Ti metterò un bimbo fra le braccia’, lui disse,                                
‘ sarà un grande capo, un grande sciamano.                                   
Farò sì che tutti ricordino le canzoni che parlano di te                   
che tutte le tribù in tutti Iicampi nomadi                                      
li cantino per sempre.’                                                                     

Ma lei non fu colpita                                                                        

‘Ti porterò la luce della luna ferma sulla laguna,                  
e ruberò per te il canto di tutti gli uccelli,                              
ti porterò le stelle del cielo,                                                      
e ti metterò in mano l’arcobaleno lucente.’          

‘No’, disse lei, ‘portami delle larve da mangiare.’   

              

         Naturalmente, la lettura di questi lavori  deve essere dinamica perché non solo entra in gioco la relazione fra una molteplicità di sensibilità soggettive e l’oggetto dei testi, ma anche la diversità dei sistemi culturali. Non possiamo applicare strutture, criteri e giudizi esterni o avvicinarci a questi testi con la curiosità del colonialista. Per limitare le storture della nostra lettura dobbiamo tener conto della funzione scrittura, perché le due funzioni sono transculturali. Nei primi scritti aborigeni moderni[4], ci si riferisce alla cultura aborigena come a qualcosa di passato, cancellato e da salvare per la propria emancipazione all’interno della società australiana. Oggi, gli autori aborigeni, nel loro uso estremo del parlato e nella proposta di un vocabolario urbano, nella predominanza di sonorità tribali intrecciate a slogan pubblicitari e canzoni di successo,  tendono ad essere sempre più oscuri, in una sorta di colonizzazione al contrario, in cui il lettore bianco è esterno alla comprensione del testo.

 


[1] La poetessa Kath Walker nasce nel 1920 in quella terra all’estremità meridionale di Moreton Bay, paese della tribù dei Nonnuccal, che gli Aborigeni chiamano Minjierriba e i Bianchi Stradbroke . Cambiò il suo nome in O. Nonnuccal nel dicembre del 1987 per protestare contro le celebrazioni del Bicentenario del 1988. In quell’occasione disse:”Ho rinunciato al mio nome inglese perchè il Parlamento in Inghilterra ci ha ignorato per 200 anni. Non sapevano pronunciare e scrivere i nostri nomi aborigeni e così ce ne hanno dati altri inglesi». Muore nel 1993 a Moongalba, la scuola che ha fondato nella Stradbroke Island.

[2] La scarsa considerazione di questa cultura si basava sull’idea dell’Australia, scoperta e occupata nel 1788,  come terra nullius (terra di nessuno) e sul fatto che ancora nel 1950 gli aborigeni non erano cittadini australiani. In quegli anni (1953-1957), il Regno Unito effettuò nel Sud del paese alcuni test atomici segreti che causarono la contaminazione radioattiva del suolo, la cosiddetta Black Mist (Nebbia Nera). Soltanto nel 1980 la notizia divenne di pubblico dominio. Con il referendum del 1967, gli aborigeni ottennero il diritto al voto e la parità di salario. Con le lotte degli anni Sessanta, si cominciò a prendere coscienza del genocidio perpetrato sulle popolazioni aborigene e scoppiò lo scandalo delle stolen generations (le generazioni rapite), cioè la sottrazione dei figli ai genitori indigeni e il loro affidamento a famiglie bianche.

[3] Kath Walker, “Doni,” a cura di Susan Hampton e Kate Llewellyn, in The Penguin Book of Australian Women Poets, Ringwood, Penguin, 1986; trad. Isabella Nicchiarelli.

[4]We are going” , raccolta di poesie di Kath Parker, del 1964.

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