VICINO ORIENTE
PALESTINA
La nuvola in
Mahmoud Darwich
per tappe d’avvicinamento alla meta della sposa promessa, che è,
allo stesso tempo, il sofferto allontanamento dal proprio paese –
come un astronauta che vaga nel cosmo – procede parallelamente
con il dipanarsi del groviglio
di dubbi che provoca il senso di identità perduto. La giovane non
vede ancora la sua immagine riflessa in un paese dai campi non
familiari e dal cielo grigio e rimprovera il suo amato di essere
all’origine dello smarrimento dell’aspetto privato dell’immagine
di sé, della perdita dei legami, degli affetti,della famiglia, che si
riconoscevano nelle semplici, rassicuranti pratiche quotidiane
d’un tempo. Ed ecco allora l’invocazione perché il suo sposo
sia materno in terra straniera e la guidi ai confini del sogno prima
che giunga l’alba a fissare la sua identità futura. Non vuole essere
una sposa che sia l’ornamento aggiunto all’universo di lui né quella
che a ltrove avrebbe potuto essere la superficie riflettente che
avrebbe contribuito con l’acqua delle sue nuvole ad arricchire il
suo pozzo.Quali sembianze assumerà inoltre il suo aspetto fuori
dalle mura? L’amore della giovane sposa è appassionato, ma un
velo inconsueto ttenua lo splendore della gioia per le sue nozze.
È il ricordo malinconico per ciò che si è cancellato. L’amore è allora
ancora più prezioso e forte perché resiste allo struggente ricordo
del passato e al ricordo della forza necessaria a volerlo cancellare.
I due stranieri, che erano in due paesi lontani, stanno per spogliarsi
delle loro identità individuali per fonderle in una? Oppure, sarà
soltanto la giovane donna che dovrà trasformare la sua unicità
plasmandola sulla seconda, su quella di lui? Avrà così esposto
pericolosamente al rischio la sua libertà? Ma questi dubbi, queste
inquietudini sono fonti di conoscenza e di avvicinamento al “volto
dell’Altro”[1].
La passione sincera che si schiude alle sue carezze rende più sicura
la determinazione a non tornare sui suoi passi. Mai più si
riapproprierà del suo nome, mai più tornerà a calcare la sua terra.
I due nuovi fondamenti del sé saranno indissolubilmente legati a
quelli dello sposo.
Mahmud Darwish Mahmud Darwish nasce nel 1941 nel villaggio di
al-Birwa, in Galilea, Palestina, oggi distrutto . Nel 1948 - durante il
primo conflitto arabo-israeliano - l'esercito di Israele scacciò i suoi
abitanti e lo rase al suolo.I genitori di Mahmoud cercarono rifugio
in Libano, ma riuscirono a rientrare nel loro paese, illegalmente,
l’anno successivo, diventato parte di Israele, i loro beni confiscati e
alcun diritto di cittadinanza.Pubblicò la sua prima raccolta di poesie,
Foglie d'Ulivo, nel 1964.
Divennero famose alcune poesie che raccontano la condizione
dolorosa e folle dell'esilio. La poesia di Darwish assumeva un ruolo
di riferimento collettivo per la causa palestinese. Nel 1970
abbandonò definitivamente la Palestina/Israele per un periodo di
studio in Unione Sovietica. Da allora trascorse la sua vita risiedendo
per periodi diversi nelle principali città del mondo arabo: Il Cairo,
Beirut, Amman. Dopo un periodo di esilio a Cipro, visse tra Beirut e
Parigi. Lavorò anche al Cairo presso il quotidiano nazionale "al-Ahrām".
La seconda metà degli anni ottanta furono l'epoca del suo maggiore
impegno politico. Nel 1987 fu eletto nel Comitato Esecutivo dell'OLP.
Si dimise nel 1993, perché contrario agli accordi di Oslo. Mahmoud
Darwish ha redatto il testo della Dichiarazione d'Indipendenza dello
Stato Palestinese, documento promulgato nel 1988 e riconosciuto da
diversi stati.Dopo 26 anni di esilio, ottenne un permesso per visitare la
sua famiglia nello stato di Israele. E’ morto a Houston, Texas, USA, nel
2008, per le complicanze di un delicato intervento al cuore.
al-Birwa, in Galilea, Palestina, oggi distrutto . Nel 1948 - durante il
primo conflitto arabo-israeliano - l'esercito di Israele scacciò i suoi
abitanti e lo rase al suolo.I genitori di Mahmoud cercarono rifugio
in Libano, ma riuscirono a rientrare nel loro paese, illegalmente,
l’anno successivo, diventato parte di Israele, i loro beni confiscati e
alcun diritto di cittadinanza.Pubblicò la sua prima raccolta di poesie,
Foglie d'Ulivo, nel 1964.
Divennero famose alcune poesie che raccontano la condizione
dolorosa e folle dell'esilio. La poesia di Darwish assumeva un ruolo
di riferimento collettivo per la causa palestinese. Nel 1970
abbandonò definitivamente la Palestina/Israele per un periodo di
studio in Unione Sovietica. Da allora trascorse la sua vita risiedendo
per periodi diversi nelle principali città del mondo arabo: Il Cairo,
Beirut, Amman. Dopo un periodo di esilio a Cipro, visse tra Beirut e
Parigi. Lavorò anche al Cairo presso il quotidiano nazionale "al-Ahrām".
La seconda metà degli anni ottanta furono l'epoca del suo maggiore
impegno politico. Nel 1987 fu eletto nel Comitato Esecutivo dell'OLP.
Si dimise nel 1993, perché contrario agli accordi di Oslo. Mahmoud
Darwish ha redatto il testo della Dichiarazione d'Indipendenza dello
Stato Palestinese, documento promulgato nel 1988 e riconosciuto da
diversi stati.Dopo 26 anni di esilio, ottenne un permesso per visitare la
sua famiglia nello stato di Israele. E’ morto a Houston, Texas, USA, nel
2008, per le complicanze di un delicato intervento al cuore.
Mahmud Darwish[2]
a rappresentare da solo la Palestina con i suoi
poemi. È un grande visionario a cui Marcel Khalife dedicò tanta musica
e un affetto condiviso da milioni di Arabi “dall’oceano al golfo” come
si suole dire laggiù.
poemi. È un grande visionario a cui Marcel Khalife dedicò tanta musica
e un affetto condiviso da milioni di Arabi “dall’oceano al golfo” come
si suole dire laggiù.
La sua è una poesia di
parole dove la terra natale martoriata e
quella mutevole dell’esilio alimentano immagini che si inseguono e
si accavallano come fiammate improvvise, come folgorazioni di luce
da cui il lettore è abbagliato. Una poesia che, anche nella traduzione,
conserva il fascino straordinario di quelle parole che formano un
turbinare di miraggi leggeri e splendenti come la levitazione dei Dervisci
durante le loro danze mistiche, anche se va inevitabilmente perduto il
senso originario del ritmo e del suono, fondamentali alla loro natura di
canti.
quella mutevole dell’esilio alimentano immagini che si inseguono e
si accavallano come fiammate improvvise, come folgorazioni di luce
da cui il lettore è abbagliato. Una poesia che, anche nella traduzione,
conserva il fascino straordinario di quelle parole che formano un
turbinare di miraggi leggeri e splendenti come la levitazione dei Dervisci
durante le loro danze mistiche, anche se va inevitabilmente perduto il
senso originario del ritmo e del suono, fondamentali alla loro natura di
canti.
Due i testi che di lui
ripropongo in due post in successione ai miei
amici lettori
amici lettori
Sono venuta da te come
gli astronauti,
Di pianeta in pianeta.
La mia anima
Si apre dalle tue
dieci dita sul mio corpo.
Prendimi a te, porta
la colomba
Ai confini del grido sui tuoi
fianchi: l’orizzonte
E l’eco. Lascia i
cavalli galoppare invano
Dietro di me, ché non
vedo ancora la mia immagine
Nella loro acqua … Non
vedo nessuno,
Nessuno, non ti vedo.
Che ne hai fatto
Della mia libertà? Chi
sono dietro
Le mura della
città? Non una madre a strofinare
I miei lunghi capelli
con il suo eterno henné
Non una sorella che li intrecci. Chi sono fuori dalle mura,
Tra i campi neutri e
un cielo grigio? Sii
Mia madre nel paese
degli stranieri e portami
Dolcemente verso ciò
che sarò domani.
Chi sarò
domani? Nascerò dalla tua
Costola, donna
senz’altra preoccupazione
Che decorare il tuo
universo? O piangerò laggiù
Una pietra che guidava
le mie nuvole all’acqua del tuo pozzo?
Portami ai confini
Della terra prima che
il mattino spunti su una luna
In lacrime di sangue
nel letto. Portami dolcemente
Come la stella porta i
sognatori, invano
E invano.
Invano guardo dietro
ai monti di Moab
Nessun vento a
riportare il vestito da sposa. Ti amo,
Ma il mio cuore vibra
del ritorno dell’eco e langue
Per un altro iris. C’è
tristezza più ambigua
Per l’anima della
gioia della ragazza
Per le sue nozze? E ti
amo benché mi ricordi
Di ieri e mi ricordi
di aver dimenticato
L’eco nell’eco.
Eco nell’eco, sono
venuta da te
Come il nome, che passa
di essere in essere.
Poco fa eravamo due
stranieri in due paesi lontani,
Cosa sarò dopodomani quando sarò due?
Che ne hai fatto della
mia libertà?
Più ti temo più ti
avvicino,
E non ho meriti,amore
mio straniero,
Se non la mia
passione.
Sii dunque una volpe
buona tra le mie vigne
E con il verde dei
tuoi occhi fissa il mio dolore.
Non tornerò al mio
nome e alle mie steppe
Mai più
Mai più.
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