domenica 24 marzo 2019

La nuvola in Darwich..1



VICINO ORIENTE

PALESTINA 

La nuvola in Mahmoud Darwich

     Il tema del dépaysement subito nell’incipit. Il faticoso cammino 
per tappe  d’avvicinamento alla meta della sposa promessa, che è, 
allo stesso  tempo, il sofferto allontanamento dal proprio paese – 
come un astronauta che vaga nel cosmo – procede parallelamente 
con il dipanarsi del groviglio 
di dubbi che provoca il senso di identità perduto. La giovane non 
vede ancora la sua immagine riflessa in un paese dai campi non 
familiari e dal  cielo grigio e rimprovera il suo amato di essere 
all’origine dello smarrimento dell’aspetto privato dell’immagine 
di sé, della perdita dei legami, degli affetti,della famiglia, che si 
riconoscevano nelle semplici, rassicuranti pratiche quotidiane 
d’un tempo. Ed ecco allora l’invocazione perché il suo sposo
sia materno in terra straniera e la guidi ai confini del sogno prima 
che giunga l’alba a fissare la sua identità futura. Non vuole essere 
una sposa che sia l’ornamento aggiunto all’universo di lui né quella 
che a ltrove avrebbe potuto essere la superficie riflettente che
avrebbe contribuito con l’acqua delle sue nuvole ad arricchire il 
suo pozzo.Quali sembianze assumerà inoltre il suo aspetto fuori 
dalle mura? L’amore della giovane sposa è appassionato, ma un
velo inconsueto ttenua lo splendore della gioia per le sue nozze.
È il ricordo malinconico  per ciò che si è cancellato. L’amore è allora 
ancora più prezioso e forte  perché resiste allo struggente ricordo
del passato e al ricordo della forza necessaria a volerlo cancellare. 
I due stranieri, che erano  in due paesi lontani, stanno per spogliarsi
delle loro identità individuali per fonderle in una? Oppure, sarà 
soltanto la giovane donna che dovrà trasformare la sua unicità
plasmandola sulla seconda, su quella di lui? Avrà così esposto 
pericolosamente al rischio la sua libertà? Ma questi dubbi, queste
inquietudini sono fonti di conoscenza e di avvicinamento al “volto
 dell’Altro”[1].
La passione sincera che si schiude alle sue carezze rende più sicura
 la determinazione a non tornare sui suoi passi. Mai più si 
riapproprierà del suo nome, mai più tornerà a calcare la sua terra.
 I due nuovi fondamenti del sé saranno indissolubilmente legati a 
quelli dello sposo.

7.Mahmoud .DARWICH

Mahmud Darwish Mahmud Darwish nasce nel 1941 nel villaggio di
al-Birwa, in Galilea, Palestina, oggi  distrutto . Nel 1948 - durante il
primo conflitto arabo-israeliano - l'esercito di Israele scacciò i suoi
abitanti e lo rase  al suolo.I genitori di Mahmoud cercarono rifugio
in Libano, ma riuscirono a rientrare nel loro paese, illegalmente,
l’anno successivo, diventato parte di Israele, i loro beni confiscati e 
alcun diritto di cittadinanza.Pubblicò la sua prima raccolta di poesie,
 Foglie d'Ulivo, nel 1964. 
Divennero famose alcune poesie che raccontano la condizione
dolorosa  e folle dell'esilio. La poesia di Darwish assumeva un ruolo
di riferimento collettivo per la causa palestinese. Nel 1970 
abbandonò definitivamente  la Palestina/Israele per un periodo di 
studio  in Unione Sovietica. Da allora trascorse la sua vita risiedendo 
per periodi diversi nelle principali città del mondo arabo: Il Cairo, 
Beirut, Amman. Dopo un periodo di esilio a Cipro, visse tra Beirut e 
Parigi. Lavorò anche al Cairo presso il quotidiano  nazionale "al-Ahrām". 
La seconda metà degli anni ottanta furono l'epoca del suo maggiore
impegno politico. Nel 1987 fu eletto nel Comitato Esecutivo  dell'OLP. 
Si dimise nel 1993, perché contrario agli accordi di Oslo. Mahmoud 
Darwish ha redatto il testo della Dichiarazione d'Indipendenza dello 
Stato Palestinese, documento promulgato nel 1988 e riconosciuto da
diversi stati.Dopo 26 anni di esilio, ottenne un permesso per visitare la 
sua famiglia nello stato di Israele. E’ morto a Houston, Texas, USA, nel 
2008, per le complicanze di un delicato intervento al cuore.

Mahmud Darwish[2] a rappresentare da solo la Palestina con i suoi
poemi. È un grande visionario a cui Marcel Khalife dedicò tanta musica
e un affetto  condiviso da milioni di Arabi “dall’oceano al golfo” come
si suole dire laggiù.

         La sua è una poesia di parole dove la terra natale martoriata e
quella mutevole dell’esilio alimentano immagini che si inseguono e 
si accavallano come fiammate improvvise, come folgorazioni di luce 
da cui il lettore è abbagliato. Una poesia che, anche nella traduzione,
conserva il fascino straordinario di quelle parole che formano un
turbinare di miraggi leggeri e splendenti  come la levitazione dei Dervisci
durante le loro danze mistiche, anche se va inevitabilmente perduto il
senso originario del ritmo e del suono, fondamentali alla loro natura di 
canti.

Due i testi che di lui ripropongo in due post in  successione ai miei
 amici lettori

Canzone di nozze[3]  

Sono venuta da te come gli astronauti,

Di pianeta in pianeta. La mia anima

Si apre dalle tue dieci dita sul mio corpo.

Prendimi a te, porta la colomba

 Ai confini del grido sui tuoi fianchi: l’orizzonte

E l’eco. Lascia i cavalli galoppare invano

Dietro di me, ché non vedo ancora la mia immagine

Nella loro acqua … Non vedo nessuno,

Nessuno, non ti vedo. Che ne hai fatto

Della mia libertà? Chi sono dietro

Le mura della città? Non una madre a strofinare

I miei lunghi capelli con il suo eterno henné

Non una  sorella che li  intrecci. Chi sono fuori dalle mura,

Tra i campi neutri e un cielo grigio? Sii

Mia madre nel paese degli stranieri e portami

Dolcemente verso ciò che sarò domani.


Chi sarò domani? Nascerò dalla tua

Costola, donna senz’altra preoccupazione

Che decorare il tuo universo? O piangerò laggiù

Una pietra che guidava le mie nuvole all’acqua del tuo pozzo?

Portami ai confini

Della terra prima che il mattino spunti su una luna

In lacrime di sangue nel letto. Portami dolcemente

Come la stella porta i sognatori, invano

E invano.

Invano guardo dietro ai monti di Moab

Nessun vento a riportare il vestito da sposa. Ti amo,

Ma il mio cuore vibra del ritorno dell’eco e langue

Per un altro iris. C’è tristezza più ambigua

Per l’anima della gioia della ragazza

Per le sue nozze? E ti amo benché mi ricordi

Di ieri e mi ricordi di aver dimenticato

L’eco nell’eco.


Eco nell’eco, sono venuta da te

Come il nome, che passa di essere in essere.

Poco fa eravamo due stranieri in due paesi lontani,

Cosa sarò  dopodomani quando sarò due?

Che ne hai fatto della mia libertà?

Più ti temo più ti avvicino,


E non ho meriti,amore mio straniero,

Se non la mia passione.

Sii dunque una volpe buona tra le mie vigne

E con il verde dei tuoi occhi fissa il mio dolore.

Non tornerò al mio nome e alle mie steppe

Mai più

Mai più.

             




[1] Cfr. Emmanuel Levinas. Filosofo contemporaneo, ebreo lituano naturalizzato francese.
[3]Mahmud Darwish, “Canzone di nozze”, da  Il letto della straniera, Epochè ed., 2009.

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