lunedì 5 giugno 2017

Vittorio Sereni.Sul poeta nel '900

Il nome di poeta appare sempre più una qualifica socialmente difficile da portare e da sostenere 
persino nel suo normale ambito letterario. questo dimostrano di sentire alcuni dei più avveduti,
forse anche dei più vivi,tra quelli che sono giovani ora o che appena si affacciano alla maturità. 
Lo specialistico discorso della poesia in quanto tale infastidisce quanto più tende a portarsi sul
terreno delle poetiche comparate o contrapposte a tutto scapito del naturale rapporto autore-lettore;
e quanto più tende ad avere per meta ultima ed esclusiva, oltre alla poesia un'idea più o meno nuova,
e non perciò meno astratta, di questa . i giovani di cui s'è detto credono sempre meno all'eccezionalità,
al primato dell'atto poetico come intervento risolutore  o come unica promessa di mobilità e d'avventure. qualche altro, meno giovane, lo ha imparato a sue spese. Parrebbe facile constatare che il discorso si 
è riacceso - ma è tutt'altro discorso da quello accennato -  intorno a una parte diversa assegnata all'atto poetico: atto naturale, uno tra i tanti, dell'uomo, di questo e di quell'uomo,oppure contributo, con i
mezzi specifici dell poesia, al più generale discorso sulla cultura? Un vecchio e geloso istinto porterebbe a denunziare l'inanità di un dilemma così formulato  e a concludere abbastanza semplicisticamente 
 che l'atto, purché valido, costituisce sempre contributo di per sé, tale da iscriversi per forza propria nell'orizzonte della cultura, a volte  modificandolo profondamente. l'esperienza concretatiene altro linguaggio, addita una serie di altre inanità che stentano il risultato d'arte sul filo delle private emozioni, quasi si spinge ad  auspicare una poesia costituita in oggetto (tutt'altra cosa , anche se per avventura coincidente , dalla poetica degli oggetti), anonima,non firmata ... Un aspetto  di inconsapevole dilettantismo non si disgiunge dalla vecchia "fede nella poesia" e sempre più riesce difficile sottrarsi 
a "questa profonda ripugnanza, questo bisogno di respingere, oggi, le righe mozze dei poeti " che l'amico Giansiro Ferrata  dichiarava tempo fa nel confermare la propria fiducia a un libro di versi  che ha contato anche per noi.
    Risponde a questo stato d'animo - perché non d'altro si tratta - il suggerimento affacciato da Solmi 
a proposito di "pensiero organico"; ma ad allontanare il sospetto della formula programmatica potrebbero valere queste sue altre parole sul bisogno di ravvisare, senza ombra di rettorica,una nuova grandezza:
   " Torneremo a trovarla  ... per pura via intuitiva, nella forza della presa che,come
di una mano imperosa, l'appello dell'autentica poesia esercita sempre su di noi. oggi
pretendiamo nuovamente dal poeta che egli ci dica ciò che a noi veramente importa,
venga incontro a domande essenziali,torni a offrirci,dietro la fuggitiva apparenza , il 
fondo stesso delle cose. De rea mea agitur ... Può la poesia  ancora esercitare la sua
presa di possesso del mondo?".   
   Come si vede, mentre la prima proposizione induce alla quiete, a una tranquilla libertà, quel 
che è detto poi ripropone i termini della coscienza insoddisfatta , concede al necessario interlocutore 
 e contradditore laparte che i tempi gli assegnano. Quali domande  essenziali e che cosa è ciò che a
 noi vermente importa? - verrebbe fatto di chiedere. S'era sempre pensato che un'espressione di a
rte suscitasse domande e insieme portasse risposte; o che fosse nella sua felice natura il coincidere, quasi incosciamente , con gli interrogativi che sono nell'aria, chiarirli e magari annullarli. a questo
 punto il refrattario a ogni ideologia orripila di fronte al passaggio obbligato, allo spesso diaframma
di sensi unici e dei sensi vietati e sta  per gettare la spugna.
    Sembra oggi inevitabile che la libertà creativa debba essere condizionata,prima ancora  che a una lunga  "recenzione della realtà", a un preliminare dibattito sull'interpretazione della medesima. ed è nell'oroscopo dei destini immediati che il discorso sulla cultura, con tutte le sue implicazioni, sia
assunto a oggetto e contenuto concreto della poesia, specie di scotto con cui questa paga il diritto 
di cittadinanza  entro la cerchia della cultura . Già ne scorgiamo qualche segno più che palese; e vediamo anche di quali aggiramenti e peripezie è capace la febbre ideologica nell'affrontare il rischio 
di ritrovarsi a un  più complesso,ma alla fine anche più desolato autobiografismo. Vorremmo vedervi
un attentato alla naturalezza del fatto poetico? Qualcosa ci avverte che in questo timore, in questa suscettibilità, è la prova senza appello degli spiriti deboli , anche se troppe volte abbiamo ragioni
di perplessità di fronte alla tendenza a fare d'un risultato d'arte, specifiamente poetico o no, un "pezzo" utile allo sviluppo di un'ampia operazione dimostrativa o - peggio - il terreno d'esercizio d'una sorta d'acrobatismo intellettuale.
   In ogni caso,ciò che non si vorrebbe mai vedere stravolto o semplicemente alterato è la naturale  capacità di comunicazione della poesia e la corrispondente attitudine ad accoglierne la voce.


                                                                         Vittoro Sereni
da "Poesia italiana contemporanea" 1909 - 1959
a cura di Giacinto Spagnoletti . GUANDA 

 
       

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