martedì 17 gennaio 2017

Camillo Sbarbaro.Quisquilie

 

...lasciato Rosai ( e le sue mani da strangolatore)alle prese con la fiorentina,

 ebbi uscendo in via della Porcellana una sgradita sorpresa:nel frattempo s'era

 messo a piovere. All'appuntamento con Franchi mancava più d'un'ora:non potevo

come m'ero promesso impiegarla a bighellonare. Perché non profittarne per andare

 a salutare Papini? nei giorni,pochi,  che mi restavano da trascorrere a Firenze,

difficile che un'ora vuota come quella si ripresentasse. Cercai intorno una carrozzella;

nei pressi del Troja* ne stazionava sempre qualcuna; ma a decidermi fu,devo dire, 

la qualità insolita del veicolo adocchiato: su ruote, una scatola nerolucida per la coppia 

furtiva che tirando sui vetri le tendine volesse passare inosservata; non una carrozzella: 

un cab,un vero cab parigino da belle époque. Non esitai e diedi al fiaccheraio l'indirizzo

 di via Campanella.

  Non per questo, non per rivedere i protagonistidel periodo di Lacerba, appena congedato

 ero volato a Firenze . Giànel quattordici,Soffici e più raramente Papini, li avevo solo

incontrati : incontri casuali e fugaci al Pazkowsky o per via. Per l'inclinazione che conservo,

 la stessa che d'istinto mi fa preferire alla strada la stradina, anche allora me l'ero fatta

piuttosto con altri, della mia età e statura; e era di questi amici  coi quali m'ero sentito

a mio agio ch'ero venuto a cercare la compagnia, lasciata mi pareva  il giorno prima.

  Uscendo dalla Conflagrazione spiritualmente illeso,non dubitavo partendo di trovare

tal quale l'ambiente che avevo frequentato cinque anni innanzi. A una delusione non 

mi preparava il ichiamo all'ordine di Ardengo e meno ancora la conversione di Gian

Falco, coerente ai miei occhi in uno che mirava soprattutto a stupire, a stare a galla

comunque. arrivato, m'accorsi invece  che anche là ( e più di altrove) la sanguinosa

parentesi  aveva, almeno in superficie, lasciato il segno. Gli artisti non frequentavano

più i oti caffè; rare comparse vi facevano due o tre volti familiari: Ottone Rosai appunto 

o Raffaello Franchi ... I compagni di baldoria e di nottambulismo,Italo Tavolato e

Arturo Reghini, s'erano trasferiti a Roma, dove in seguito li rintracciai: il primo, in 

via Borgognona, corrispondente d'un foglio tedesco; l'altro, l'indimenticabile   mago,

in una scuola privata:avversato per la sua opposizione al fascismo, vi dava per campare

 lezioni di matematica. Soffici, dovetti andare a cercarlo al Poggio, con un trenino asmatico

 che a ogni salitina rinculava  per prendere la rincorsa.

Vistomi solo, non mi rassegnai a credere defunta l'antica primavera e resuscitandone a 

mio uso e consumo una parvenza mi diedi la prova che bastavo ancora a me stesso.

  A via Campanella mi aprì un servo in livrea e mi lasciò a tu per tu  con un busto  del

padron di casa che campeggiava nell'nticamera. Intorno spirava agio; Non per nulla

c'era stata di mezzo la pubblicazione della Storia di Cristo ; e per contrasto   rividi

l'abitazione dove alla vigilia della guerra avevo la prima volta incontrato Papini; a

un terzo piano di via de' Bardi; tetra,ma in carattere con lo scrittore d'allora,sandalistico

e di professione stroncatore.

  Quel giorno,per non essereda meno del proprio personaggio,mi aveva bruscamente accolto

osservando che il mio vestito era d'un'eleganza pacchiana; probabile; io sapevo solo di avere

indosso il primo abito non fatto in famiglia. Peccato che di quel colloquio ( o mnologo? )non

ricordassi al momento altro di memorabile.

  Questa volta uscivo da due anni passati, anche per sua procura, in trincea; e a tradimento mi

tornòa mente unasua  frase apparsa sulla Riviera ligure l'anno che la guerra andava peggio e 

non più scordata:"A difendere i miei cinquanta (?) chili vestiti di stoffa inglese, c'è un fucile

 sul Sabotino e un cannone a Verdun"..Per uno che al massacro aveva dato anche lui la sua

spintarella ...

  Scacciai il molesto ricordo: mi si faceva incontro, untuoso, un pretino e fui in presenza di

 Papini. Il quale, non m'ero seduto che mi chiese - non venivo di là? - notizie del porto di 

Genova: sua efficienza, movimento di navi, dati statistici ... Confessai la mia ignoranza:

il porto c'era,altro non sapevo. Prendendo a testimoni i presenti, deplorò il disinteresse dei

cosiddetti intellettuali per le questioni concrete,i problemi vitali. E, scartati come perditempo

i discorsi seri, m'annunciò - questo sì m'interessarebbe - la mia inclusione nella antologia che

preparava: i poeti d'oggi;  nella presentazione, ai soliti data e luogo di nascita, avevo altro da

 aggiungere? ... Mah! volendo si poteva accennare che avevo prtecipato alla guerra. Sorrise e, 

rivolto ai presenti, notò che nella vita dei più resterebbe quello l'unico avvenimento. Nel che, 

il tono sottintendeva  un suo merito personale.

  La visita non m'aveva dato motivo di ricredermi sull'uomo, ma nel frattempo aveva smesso

di piovere.

 

                                                       da "Quisquilie" di Camillo Sbarbaro,,ed.Vanni Scheiwiller,Milalo 1967.


* Il Troja è(o era), in via  della Porcellana , una gargotta per ghiottoni.


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