domenica 15 gennaio 2017

Camillo Sbarbaro.CONGEDO.





        Quest'anno le agavi del litorale han messo il fiore:un'alberello
di pannocchie bionde,alloggio alle vespe.
        Sullavertebra nuda della strada,sui monti calvi e calcinati
luglio s'accanisce.Scarnito all'osso,il paese s'apre secca fauce sul
mare;che ne elude la sete spruzzandolo di schiume amare.


       Mi specchio ancora in questo paesaggio;questa aridità mi sostenta.
Nell'ulivo incassato nel muro mi riconosco,nello sterpo che vive
nella rena ardente.
       Ma  - per dissolvermi - guardare una volta bastava:filo d'erba
anch'io,lucertola su sasso.per gli occhi mi alleggerivo di me.
       A tutte l'ore adesso il mio individuo persiste.come troppo cresciuto
s'inframmette,ingombrante e caparbio.

       Placarlo si potesse,comporlo in pace ino al nuovo risveglio se giunga!
Nient'altro che spoglia,che sproporzionata vita vive ancora!

       Certe albe il senso d'essere è così filiforme,che distogliere il capo
basterebbe,pare,per calare senza srttappo nel nulla.
         Invece,tenacia dell'esistenza! Quante volte innanzi di morire
veniamo logicamente a morte.

        La mia è ora la vita del greto.Oh una goccia che cada nella
feroce secchezza! Così l'anima invoca un soffio di poesia.

         Nuvola vagabonda,goccia rara e calda come sangue .Che ristrepiti
la piena tra le rive inverdite,remoto pare quanto che butti e fogli
uno stipo tarlato.

         Alveo in tempo di magra.

         Di me tra le fiamme bianche degli olivi  non si muove che la marionetta sinistra.
                                                                                                  (Trucioli)



  



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