venerdì 4 luglio 2014

Poeti russi del '900.S.A.Esènin.2



Sergèj Alecsàndrovic Esènin a Mosca


“Sin dall’inizio Esènin sorprese i lettori con la vivacità di poesie che sgorgavano senz’artificio da un’emozione ingenua,da un fervore elementare. Come nell’arte di Blok ,dietro i versi di Esènin fu sempre la figura del poeta,personaggio letterario,la cui ombra si estese man mano su tutto lo spazio della sua produzione. Dapprima lirico campestre,con gli stivali di marocchino e l'azzurra camicia russa,                                                     

...con gli stivali di marocchino e l'azzurra camicia russa...


in mezzo ai raffinati di Pietroburgo;poi immaginista turbolento....


...”in cilindro e con le scarpe lucide”a Pietroburgo.
frequentatore di bettole che spegneva nel bere la sua mestizia inconsolabile:Esènin divenne una curiosità di cronaca e nei suoi  versi  più volte si cercò il documento anziché la poesia.E lui stesso,quasi insuperbito della sua fama di mettiscandali,non si curò di attenuare le sue contraddizioni,ma parve accentuarle in un’aspra disarmonia.
Impulsivo,sconnesso,agitato da divergenti stati d’animo,passò con umore mutevole dall’umiltà al teppismo,dalla preghiera al sacrilegio,spesso mischiando nel più arruffato di sordine docili note di devozione e veementi immagini volgari.
Alle radici del suo mondo poetico è uno sconfinato amore per il villaggio nativo,per le pianure,i boschi,le paludi di Rjazàn’.Con una tavolozza di morbidi colori in cui prevale l’azzurro,con musicale malinconia Esènin ritrae nelle prime raccolte paesaggi di betulle e capanne,di foreste e di campanili,di avene e di salici al vento. Dai suoi pastelli melodiosi si profila una Russia sonnolenta,mansueta,immersa in un clima mistico,pervasa di primordiale lirismo,una Russia che abbaglia con il fulgore di desolate lontananze,con il luccichio di stagni e di laghi. Sebbene attristato dalla miseria dei  mužìk e del villaggio patriarcale,Esènin riflette l’ambiente contadino in uno specchio idillico,in un tranquillo assopimento,senza sdegno e con umile rassegnazione. Pronto ad accogliere e a benedire ogni cosa,si affratella alle piante e agli animali ,identifica l’universo con la semplice vita campestre. Questo sentimento di passiva accettazione scorre  per tutta l’opera di Esènin,sino alla fine; e nelle ultime cose assume un contorno mestissimo e funebre.[…]
Fiducioso nella missione sociale del mužìk,vide nella Rivoluzione il trionfo dei contadini e la festosa rinascita dei campi. Egli accolse esultante il nuovo Nazaret  con alcuni poemi cosmogonici,sfoggiando un complesso sistema di simboli difficilmente decifrabili.[…]Si direbbe che Esènin per inneggiare alla Rivoluzione,senta il bisogno di intessere le sue strabilianti metafore in una sorta di compendi poetici,simili a quei trattati sulla composizione del mondo che piacevano alla fantasia medievale.[…]ma i suoi sogni crollarono presto:s’accorse che  la Rivoluzione perseguiva scopi industriali smantellando le vecchie strutture e ne diede colpa alle macchine che soffocavano spietatamente  la vita idillica del contado. Benché rassegnato,si crucciò che la ricostruzione sovietica trasformasse fin dalle fondamenta la Russia delle isbe. Travolto anche lui come un frantume del grande uragano,vide che il suo mondo cadeva in rovina,che la sua concezione religiosa  era svanita con il tramonto del vecchio villaggio[…].
Nelle sue ultime cose  con fluidità melodiosa e vocaboli semplici,quasi banali, con l’afflizione di chi è quasi sul punto di allontanarsi per sempre ,Esènin esprime il rammarico per la giovinezza perduta,il pentimento per la vita sregolata,l’angoscia di sfiorire,e trova sollievo nell’umiliare se stesso,rimproverandosi le ubriache gozzoviglie e l’incapacità di inserirsi nel ritmo costruttivo dell’epoca.[…]”

Da: Angelo Maria Ripellino.Poesia russa del Novecento.Feltrinelli.1965.





Nessun commento:

Posta un commento