EUROPA
RUSSIA
La luna gialla di
Anna Achmatova
Una luna ,quella di Anna
Achmatova ,sollecita e partecipe della drammatica condizione
della protagonista. Perché uccidere la
memoria, indurire l’anima, pensare di potersi
inventare una nuova vita,
non sempre tutto ciò è sufficiente per superare l’angoscia
di una separazione così
violenta. Allora solo Morte e Follia appaiono unica Speranza
58.Anna Achmatova
“In luogo di prefazione
Negli anni terribili della ežovščina 46 ho passato diciassette mesi
in fila davanti alle carceri di Leningrado.
Una volta qualcuno mi «riconobbe». Allora una
donna dalle labbra livide che stava dietro di
me e che, sicuramente, non aveva mai sentito
il mio nome, si riscosse dal torpore che era
caratteristico di noi tutti e mi domandò in un
orecchio (lì tutti
parlavano sussurrando): - Ma questo lei può descriverlo? - E io dissi:
- Posso. Allora una sorta
di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.
(Leningrado, 1 aprile 1957) . Il dramma
narrato è in effetti collettivo come il poeta stesso
riconosce nella prima delle
poesie con cui decide di aprire il poemetto, datata 1961 : no,
non sotto un cielo
straniero, non al riparo di ali straniere: io ero allora col mio popolo, là
dove, per sventura, il mio
popolo era. Ed è proprio e soltanto in questa coralità del dolore
che tutto diventa non più
accettabile, ché milioni di persone di aver perso i propri cari nella
logica del Terrore non se
ne fecero mai una ragione, ma più sopportabile, quello sì: . No,
non sono io, è qualcun altro che soffre. Io non
potrei essere così, ma ciò che è accaduto
neri drappi lo coprano, e
portino via le lanterne … Notte. Come infatti può il poeta accettare
se non nella condivisione
del dolore ciò che le è toccato in sorte trasformando così
radicalmente la sua vita di
un tempo? . Se ti avessero mostrato, burlona, beniamina di tutti
gli amici, Si intende con
questo termine il periodo in cui Nikolaj Ežov fu Commissario del
Popolo agli Interni, cioè
tra il 1936 e il 1938. Si riferisce al
carcere delle Croci (Kresty)
dove spesso si recava per
avere notizie del figlio. Ana Achmatova, La corsa del tempo.
Gaia peccatrice di Cárskoe
Seló, quel che sarebbe stata la tua vita: in piedi, con un pacco,
trecentesima sotto Le
croci, fondendo il ghiaccio dell’anno nuovo con le tue lacrime
cocenti. Dondola il pioppo
della prigione laggiù, e non un suono … ma quante vite
innocenti lì hanno fine …
(1938) . La scelta dunque di rifiutare l’esilio si è rivelata folle
e sacra nello stesso tempo.
Chi avrebbe potuto raccontare nel segreto della memoria
altrui se non lei, chi
meglio di lei la rovina che si stava abbattendo sull’amata Russia?
Introduzione. Ciò accadeva
quando sorrideva solo il morto, lieto della propria pace.
E accanto alle sue carceri
Leningrado penzolava come una vana appendice. E quando,
impazzite dal tormento, già
marciavano schiere di condannati ed un canto laconico di
addio cantava il fischio
delle vaporiere. Sopra di noi le stelle della morte, e innocente
la Russia si torceva sotto
stivali insanguinati, sotto le gomme di nere marúsi. E chi
dunque meglio di lei per
narrare gli attimi veloci in cui si era consumato l’arresto e
definitiva era diventata la
separazione, chi i passi sordi sul selciato del marciapiede
che conduceva alla prigione
nella speranza di ottenere qualche notizia, chi meglio
di lei i secondi angosciosi
dell’attesa trascorsi gomito a gomito con amiche sconosciute?
Ti hanno condotto via
all’alba, ti andavo dietro come ad esequie, nella buia stanza
piangevano i bimbi,
gocciava il cero sull’altarino. Sulle tue labbra il freddo dell’icona.
Un
sudore di morte lungo la fronte … Non si scorda! Come
le mogli degli strelizzi,
ululerò sotto le torri el Cremlino. (1935,
Autunno. Mosca. Diciassette mesi che grido,
ti chiamo a casa. Mi gettavo ai piedi del boia, figlio mio e mio incubo. Si
è confuso
tutto per sempre, e non riesco a comprendere chi è una
belva, chi è un uomo, e se
attenderò a lungo il supplizio. Rigogliosi fiori soltanto, tintinnio del turibolo e
tracce chissà dove, nel nulla. E mi fissa dritto negli occhi e minaccia
prossima morte
un’enorme stella. (1939). Volano lievi le settimane, non capisco quel che è stato.
Come le notti bianche, figlio, ti guardavano in prigione, come guardano di nuovo
con l’occhio
ardente di un rapace, e della tua alta croce e della morte parlano.
(Primavera 1939) .E sul momento della sentenza, che sembra
recidere per sempre
il filo della speranza: la sentenza .E sul mio petto
ancora vivo piombò la parola di
pietra. Non fa nulla, vi ero pronta, in qualche modo ne verrò a capo. Oggi ho da
fare
molte cose: occorre sino in fondo uccidere la memoria, occorre che l’anima impietrisca,
occorre di nuovo imparare a vivere. Se no,oltre la finestra,l’ardente
fremito dell’estate
come una festa. Da tempo lo presentivo: un giorno radioso e la casa
deserta. (Estate
1939. Casa della Fontanka) .
Alla
morte Tu verrai comunque: perché dunque non ora? Ti attendo, sono sfinita.
Ho
spento il
lume e aperto l’uscio a te, così semplice e prodigiosa. Prendi per questo
l’aspetto che ti aggrada,
irrompi come una palla avvelenata, o insinuati furtiva come
un provetto
bandito, o intossicami col delirio del tifo. O con una
storiella da te
inventata e nota a tutti fino alla nausea:
che io veda la punta di un berretto turchino
o il capopalazzo pallido di paura.
Ora per
me tutto è uguale. Turbina lo Eniséj,
risplende la stella polare. E annebbia un
ultimo terrore l’azzurro bagliore di occhi
dorati.
(19 agosto 1939. Casa della Fontanka) Già
ha coperto metà dell’anima La
follia con la sua ala, e un vino di fuoco mesce e
in una nera
valle chiama. Ed io ho
compreso che devo concederle la vittoria, dando ascolto
al mio delirio come se
ormai fosse di un altro. E
nulla consentirà che con me io porti via (per quanto
possa
implorarla e annoiarla con preghiere): né gli occhi terribili del figlio
pietrificato
dolore né il giorno in cui venne la bufera, né
l’ora dell’incontro in prigione, né il
dolce refrigerio
delle mani, né le ombre scosse dei tigli, né un lontano, lieve suono:
le parole dei
conforti estremi. (4 maggio 1940). “
È di fronte a tanta
disperazione che, laicamente, il pensiero va allora a Maria, icona
del dolore di tutte le madri che perdono il figlio
…
II.
Scorre placido il placido Don,
entra in casa una gialla luna,
il cappello a sghimbescio, entra,
vede un’ombra la gialla luna.
Questa donna è malata,
questa donna è sola,
morto il marito,
in carcere il figlio,
pregate per me.
da "La luna allo zenit"
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