giovedì 4 luglio 2019

58.Lunario.Anna Achmatova




EUROPA



RUSSIA


La luna gialla di Anna Achmatova

Una luna ,quella di Anna Achmatova ,sollecita e partecipe della drammatica condizione
 della protagonista. Perché uccidere la memoria, indurire l’anima, pensare di potersi
inventare una nuova vita, non sempre tutto ciò è sufficiente per superare l’angoscia
di una separazione così violenta. Allora solo Morte e Follia appaiono unica Speranza

58.Anna Achmatova

“In luogo di prefazione Negli anni terribili della ežovščina 46 ho passato diciassette mesi
 in fila davanti alle carceri di Leningrado. Una volta qualcuno mi «riconobbe». Allora una
 donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito
 il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di noi tutti e mi domandò in un
orecchio (lì tutti parlavano sussurrando): - Ma questo lei può descriverlo? - E io dissi:
- Posso. Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.
 (Leningrado, 1 aprile 1957) . Il dramma narrato è in effetti collettivo come il poeta stesso
riconosce nella prima delle poesie con cui decide di aprire il poemetto, datata 1961 : no,
non sotto un cielo straniero, non al riparo di ali straniere: io ero allora col mio popolo, là
dove, per sventura, il mio popolo era. Ed è proprio e soltanto in questa coralità del dolore
che tutto diventa non più accettabile, ché milioni di persone di aver perso i propri cari nella
logica del Terrore non se ne fecero mai una ragione, ma più sopportabile, quello sì: . No,
non  sono io, è qualcun altro che soffre. Io non potrei essere così, ma ciò che è accaduto
neri drappi lo coprano, e portino via le lanterne … Notte. Come infatti può il poeta accettare
se non nella condivisione del dolore ciò che le è toccato in sorte trasformando così
radicalmente la sua vita di un tempo? . Se ti avessero mostrato, burlona, beniamina di tutti
gli amici, Si intende con questo termine il periodo in cui Nikolaj Ežov fu Commissario del
Popolo agli Interni, cioè tra il 1936 e il 1938.  Si riferisce al carcere delle Croci (Kresty)
dove spesso si recava per avere notizie del figlio. Ana Achmatova, La corsa del tempo.
Gaia peccatrice di Cárskoe Seló, quel che sarebbe stata la tua vita: in piedi, con un pacco,
trecentesima sotto Le croci, fondendo il ghiaccio dell’anno nuovo con le tue lacrime
cocenti. Dondola il pioppo della prigione laggiù, e non un suono … ma quante vite
innocenti lì hanno fine … (1938) . La scelta dunque di rifiutare l’esilio si è rivelata folle
e sacra nello stesso tempo. Chi avrebbe potuto raccontare nel segreto della memoria
altrui se non lei, chi meglio di lei la rovina che si stava abbattendo sull’amata Russia?
Introduzione. Ciò accadeva quando sorrideva solo il morto, lieto della propria pace.
E accanto alle sue carceri Leningrado penzolava come una vana appendice. E quando,
impazzite dal tormento, già marciavano schiere di condannati ed un canto laconico di
addio cantava il fischio delle vaporiere. Sopra di noi le stelle della morte, e innocente
la Russia si torceva sotto stivali insanguinati, sotto le gomme di nere marúsi. E chi
dunque meglio di lei per narrare gli attimi veloci in cui si era consumato l’arresto e
definitiva era diventata la separazione, chi i passi sordi sul selciato del marciapiede
che conduceva alla prigione nella speranza di ottenere qualche notizia, chi meglio
di lei i secondi angosciosi dell’attesa trascorsi gomito a gomito con amiche sconosciute?
Ti hanno condotto via all’alba, ti andavo dietro come ad esequie, nella buia stanza
piangevano i bimbi, gocciava il cero sull’altarino. Sulle tue labbra il freddo dell’icona. 
Un sudore  di morte lungo la fronte … Non si scorda! Come le mogli degli strelizzi,
ululerò sotto le torri el Cremlino. (1935, Autunno. Mosca. Diciassette mesi che grido,
ti chiamo a casa. Mi gettavo  ai piedi del boia, figlio mio e mio incubo. Si è confuso 
tutto per sempre, e non riesco a comprendere chi è una belva, chi è un uomo, e se 
attenderò a lungo il supplizio. Rigogliosi  fiori soltanto, tintinnio del turibolo e
tracce chissà dove, nel nulla.  E mi fissa dritto negli occhi e minaccia prossima morte
 un’enorme stella. (1939). Volano lievi  le settimane, non capisco quel che è stato.
Come le notti bianche, figlio, ti guardavano in  prigione, come guardano di nuovo 
con l’occhio ardente di un rapace, e della tua alta croce e della morte parlano. 
(Primavera 1939) .E sul momento della sentenza, che sembra recidere per sempre
il filo della speranza: la sentenza .E sul mio petto ancora vivo piombò la parola di
pietra. Non fa nulla, vi ero pronta, in qualche modo ne verrò a capo. Oggi ho da fare 
molte cose: occorre sino in fondo uccidere  la memoria, occorre che l’anima impietrisca, 
occorre di nuovo imparare a vivere. Se no,oltre la finestra,l’ardente fremito dell’estate
 come una festa. Da tempo lo presentivo: un giorno radioso e la casa deserta. (Estate 
1939. Casa della Fontanka) .
Alla morte Tu verrai comunque: perché dunque non ora? Ti attendo, sono sfinita. 
Ho spento il lume e aperto l’uscio a te, così semplice e prodigiosa. Prendi per questo
l’aspetto che ti aggrada, irrompi come una palla avvelenata, o insinuati furtiva come
un provetto bandito, o intossicami col delirio del tifo. O con una storiella da te
inventata e nota a tutti fino alla nausea: che io veda la punta di un berretto turchino 
o il capopalazzo pallido di paura. Ora per me tutto è uguale. Turbina lo Eniséj,
risplende la stella polare. E annebbia un ultimo  terrore l’azzurro bagliore di occhi
dorati. (19 agosto 1939. Casa della Fontanka) Già ha coperto metà dell’anima La 
follia con la sua ala, e un vino di fuoco mesce e in una nera valle chiama. Ed io ho
compreso che devo concederle la vittoria, dando ascolto al mio  delirio come se 
ormai fosse di un altro. E nulla consentirà che con me io porti via (per quanto possa 
implorarla e annoiarla con preghiere): né gli occhi terribili del figlio pietrificato
dolore né il giorno in cui venne la bufera, né l’ora dell’incontro in prigione, né il
dolce refrigerio delle mani, né le ombre scosse dei tigli, né un lontano, lieve suono:
le parole dei conforti estremi. (4 maggio 1940). “
È di fronte a tanta disperazione che, laicamente, il pensiero va allora a Maria, icona 
del  dolore di tutte le madri che perdono il figlio …

II.

Scorre placido il placido Don,
entra in casa una gialla luna,
il cappello a sghimbescio, entra,
vede un’ombra la gialla luna.
Questa donna è malata,
questa donna è sola,
morto il marito,
in carcere il figlio,
pregate per me.


  da "La luna allo zenit"                                                                

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