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Jeanine Baude |
Nulla di puramente decorativo nella scrittura di
Jeanine Baude:
utto si regge sul filo di una intima interdipendenza, tutto
si
specchia, si snoda con la massima consequenzialità. I libri
della poetessa
francese, sono veri e propri progetti letterari
che si traducono in atti
d’amore nei confronti della vita, come
ne Le chant de Manhattan, Ed.
Seghers, 2006(pagine
posteriori
all’undici settembre e di cui riportiamo alcuni stralci).
L’intero canto vuol essere non solo un invito al viaggio in
una città come New York e
più particolarmente Manhattan –
vissuta nella sua viscerale quotidianità – come
vero e
proprio microcosmo dell’umanità gioiosa e dolente.Umanità
che diventa unico corpo-spirito durante l’infinita flânerie
dell’autrice. Ecco allora il dipanarsi della Storia dei popoli
(le migrazioni,
il razzismo, il dolore e la speranza), la
vertigine d’una città votata al métissage coi giorni e le notti
che si rincorrono, il reticolo di strade e il cumulo di
suoni e
odori,gli arrivi e le partenze, il jazz, la tragedia col suo
bagaglio di brutti sogni:«Il dolore, non è soltanto una parola
ma il colore delle
pietre». In sottofondo echeggia la storia
di una fede nella capacità poetica
intesa come metafora
dell’esistenza stessa.
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The night is beautiful
So the faces of my people.
The stars are beautiful
So the eyes of my people.
Beautiful, also, is the sun.
Beautiful, also, are the souls of my people.
Langston Hughes “My People”
You speak and sing
And that you dread
The abstraction?
- The song in the head?
Why should I dread
What outlasts
Louis Zukofsky “A-12”
***
continua
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