martedì 1 marzo 2016

Dino Campana.31.LA NOTTE.16.



                                                                LA NOTTE.16.





E allora figurazioni di un’antichissima libera vita, di enormi miti solari, di stragi di orgie si crearono avanti al mio spirito. Rividi un’antica immagine, una forma scheletrica vivente per la forza misteriosa di assi un mito barbaro, gli occhi gorghi cangianti vividi di linfe oscure, nella tortura del sogno scoprire il corpo vulcanizzato, due chiazze due fori di palle di moschetto sulle sue mammelle estinte. Credetti di udire fremere le chitarre là nella capanna d’e di zingo sui terreni vaghi della città, mentre una candela schiariva il terreno nudo. In faccia a me una matrona selvaggia mi fissava senza batter ciglio. La luce era scarsa sul terreno nudo nel fremere delle chitarre. A lato sul tesoro fiorente di una fanciulla in sogno la vecchia stava ora aggrappata come un ragno mentre pareva sussurrare all’orecchio parole che non udivo, dolci come il vento senza parole della Pampa che sommerge. La matrona selvaggia mi aveva preso: il mio sangue tiepido era certo bevuto dalla terra: ora la luce era più scarsa sul terreno nudo nell’alito metalizzato delle chitarre. A un tratto la fanciulla liberata esalò la sua giovinezza, languida nella sua grazia selvaggia, gli occhi dolci e acuti come un gorgo. Sulle spalle della bella selvaggia si illanguidì la grazia all’ombra dei capelli fluidi e la chioma augusta dell’albero della vita si tramò nella sosta sul terreno nudo invitando le chitarre il lontano sonno. Dalla Pampa si udì chiaramente un balzare uno scalpitare di cavalli selvaggi, il vento si udì chiaramente levarsi, lo scalpitare parve perdersi sordo nell’infinito. Nel quadro della porta aperta le stelle brillarono rosse e calde nella lontananza: l’ombra delle selvagge nell’ombra.




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