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O il tuo
corpo! il tuo profumo mi velava gli occhi: io non vedevo il tuo corpo (un dolce
e acuto profumo): là nel grande specchio ignudo, nel grande specchio ignudo
velato dai fumi di viola, in alto baciato di una stella di luce era il bello,
il bello e dolce dono di un dio: e le timide mammelle erano gonfie di luce, e
le stelle erano assenti, e non un Dio era nella sera d’amore di viola: ma tu
leggera tu sulle mie ginocchia sedevi, cariatide notturna di un incantevole
cielo. Il tuo corpo un aereo dono sulle mie ginocchia, e le stelle assenti, e
non un Dio nella sera d’amore di viola: ma tu nella sera d’amore di viola: ma
tu chinati gli occhi di viola, tu ad un ignoto cielo notturno che avevi rapito
una melodia di carezze. Ricordo cara: lievi come l’ali di una colomba tu le tue
membra posasti sulle mie nobili membra. Alitarono felici, respirarono la loro
bellezza, alitarono a una più chiara luce le mie membra nella tua docile nuvola
dai divini riflessi. O non accenderle! non accenderle! Non accenderle: tutto è
vano vano è il sogno: tutto è vano tutto è sogno: Amore, primavera del sogno
sei sola sei sola che appari nel velo dei fumi di viola. Come una nuvola
bianca, come una nuvola bianca presso al mio cuore, o resta o resta o resta!
Non attristarti o Sole! Aprimmo la finestra al cielo notturno. Gli uomini come
spettri vaganti: vagavano come gli spettri: e la città (le vie le chiese le
piazze) si componeva in un sogno cadenzato, come per una melodia invisibile
scaturita da quel vagare. Non era dunque il mondo abitato da dolci spettri e
nella notte non era il sogno ridesto nelle potenze sue tutte trionfale? Qual
ponte, muti chiedemmo, qual ponte abbiamo noi gettato sull’infinito, che tutto
ci appare ombra di eternità? A quale sogno levammo la nostalgia della nostra
bellezza? La luna sorgeva nella sua vecchia vestaglia dietro la chiesa
bizantina.
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